Premio Racconti nella Rete 2014 “La vita è bella se la ami” di Antonino Lentini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Nella notte, lunga e silenziosa, si svegliò sobbalzando e con la mano accarezzò il viso del ragazzo che le dormiva accanto. Ascoltò il suo flebile respiro. Ispezionò il suo corpo, fragile e sudato.
La notte tra poco sarebbe svanita per lasciare il posto ad un nuovo giorno. Forse migliore di ieri.
Si alzò delicatamente dal letto, s’infilò le ciabatte e andò in bagno per lavarsi il volto e scrollarsi di dosso il sudore che impregnava le sue ascelle. Le bastarono pochi minuti per indossare un abito scuro e mesto. Come un soldato con l’elmetto in testa fu pronta per affrontare un altro giorno. Altre ventiquattrore aride e interminabili. Si vestì, ancora una volta, con le armi della speranza e del coraggio. Ritornò nella camera da letto e prese il suo rosario. Lasciò la finestra chiusa e si limitò a far scorrere, lungo lasse di legno, la tenda trasparente che la copriva. Con impeto afferrò la torcia sul comò e illuminò con il fascio di luce la foto del suo Tom sorridente sopra la sua bici nuova. L’impianto elettrico della casa era funzionante, a norma di legge, ma la donna da tempo non lo utilizzava. Con gli occhi offuscati dalla tristezza fissò a lungo quella foto e si nutrì con le sensazioni che essa le regalò. Tirò un lungo sospiro e con il polso si asciugò una lacrima che imperiosa scese giù. Controllò, con cura, il macchinario che teneva in vita, da parecchie stagioni, il suo Tom. Si rimboccò le maniche e con un panno spazzò il sottile strato di polvere che su di esso si era depositato durante la notte. Poi, accuratamente lo copri con un lenzuolo bianco di lino. Tom dormiva. Dormiva profondamente. Da tanto tempo. Troppo tempo. La sua bici era lì, vicino al letto. Fiammante e con la catena ben oleata. Mamma Gina l’aveva riparata dopo quel terribile impatto che l’aveva piegata in due.
Prima di uscire di casa posò il suo sguardo su Tom. Con lui rimase Mirko, il figlio minore. Era lui l’uomo di casa. Superò tutti gli edifici della strada che conduceva alla parrocchia del suo quartiere e solo allora si accorse che fuori splendeva il sole e che un bellissimo arcobaleno bucava il cielo. Il suo volto si illuminò.
Con gli occhi pieni di luce e l’animo in pace uscì dalla Chiesa e lesta ritornò a casa. Alzò lo sguardo in cielo e notò che l’arcobaleno era ancora lì che incorniciava la sua piccola casa.
Accelerò il passo. Neppure il tacco della sua scarpa che si spezzò, sotto il suo corpo pesante, ne frenò l’avanzata. Spalancò la porta di casa, con la forza di un tsunami. Un fascio di luce penetrò dalla finestra spalancata della camera da letto e inaspettatamente l’investì. Lasciò la porta aperta. Avanzò e vide Mirko, con gli occhi sbarrati, che fissava Tom e gli teneva delicatamente la mano.
Temette il peggio.
Si tolse il foulard che le attanagliava la gola e a testa bassa, come un prigioniero quando va al patibolo, si avvicinò al letto di Tom. Non ricordava più il colore dei suoi occhi. Quando li spalancò si ricordò di quanto fossero belli quegli occhioni azzurri, limpidi come gocce di rugiada.
L’inverno, buio e rigido, scandito dal susseguirsi di giorni vuoti, finalmente passò. Arrivò la primavera e con essa una ventata d’aria fresca e profumata che prepotentemente invase la casa della donna. La sua immagine curva riflessa nello specchio le suggerì di riaprire l’armadio e rispolverare la gonna e la camicia di seta che indossava nei giorni di festa. Si fece bella, come la ricordava il suo Tom.
Tom tornò. Si aggrappò alla vita e, giorno dopo giorno, lottò per ritornare quello di prima. A causa di quel tragico incidente aveva perso tutto, tranne il coraggio. Grazie ad esso ritrovò la chiave della porta della vita.
Giulio, suo padre, se l’avesse visto, sarebbe stato fiero di lui.
La sua storia lentamente ritornò a scorrere.
Quella mattina Tom si svegliò quando le stelle ancora erano accese. Dietro i vetri della finestra di casa attese l’alba per rendere omaggio al nuovo giorno, impaziente di spendere la sua vita. Gli bastò respirare l’aria che si faceva strada nelle sue narici per essere felice. Con il cuore in festa si infilò i pantaloni corti e passò in rassegna tutti i suoi giochi.
Mirko, invece, russò fino a tarda mattinata. Appena sveglio si stropicciò gli occhi e come un automa allungò la mano sotto il cuscino e tirò fuori uno strano aggeggio.
< Cos’è ? > gli chiese Tom, con aria insospettita.
< Grrr…grrr…> gli rispose Mirko senza degnarlo di uno sguardo.
< Mamma…mamma perché Mirko non mi risponde? > gridò Tom stringendo i pugni.
< Chiedilo a lui > gli rispose mamma Gina con un impercettibile sorriso sulle labbra.
< L’ho già fatto, ma Mirko ha reagito come un cane randagio quando gli tirano l’osso che tiene stretto tra i denti >.
Mamma Gina sollevò le spalle, si asciugò le mani sul grembiule da cucina e con un filo di voce gli replicò: < scommettiamo che ha tra le mani il suo smartphone >.
Tom esterrefatto esclamò < Cos’è lo smartphone?. E’ forse quella piccola scatola nera che attrae, come una potente calamita, gli occhi di Mirko? >. Scrollò la testa e con le mani congiunte aggiunse: < Povero Mirko, il suo sguardo sembra rapito da questo strano arnese. Forse, un giorno, lo risucchierà dentro >.
La donna sorrise. Regalò a Tom una carezza e lo rassicurò: < Non temere per tuo fratello. Quello che ha in mano è un telefono >.
< Aahh…un telefono piccolo > esclamò Tom tirando un sospiro di sollievo.
< Esatto. Un telefonino che Mirko utilizza anche per giocare…>.
< Capisco…Però… che strazio giocare da solo, inchiodato su una poltrona >.
Con il cuore infranto, Tom si strinse la cinghia dei pantaloni e, come se avesse il fuoco in corpo, si catapultò in giardino. Aveva voglia di finire la sua capanna di legno. In essa avrebbe ospitato gli amici che ancora non aveva. Con la precisione di un cecchino trafisse le tavole con chiodi grossi, adoperando la mazzuola che un tempo fu di suo padre. < Beng…beng…>. Per mamma Gina ogni martellata era un colpo al cuore. Temeva per l’incolumità del suo Tom. Per farsi coraggio fischiettò e lo lasciò fare.
Esausto Tom ritornò a casa. Si lavò frettolosamente le mani e agguantò il cornetto, farcito di marmellata, che mamma Gina gli aveva lasciato sul tavolo da cucina. Avidamente lo divorò. Si leccò le labbra e disse: < Mamma…andiamo al parco a vedere i pesci rossi nel laghetto >.
Mamma Gina con uno sguardo dolce si rivolse a Mirko e gli disse: < Su…vieni anche tu al parco…ci divertiremo >. Ma egli, con la faccia imbronciata e lo sguardo spento, le rispose: < Non mi va…sono stufo di fare sempre le stesse cose >.
Tom scrollò la testa. Prese per mano la mamma e la trascinò al parco.
Impettito percorse la lunga strada che collegava la sua casa al parco, via Giulio Bevilacqua. Era la via che il sindaco del paese aveva battezzato con il nome di suo padre, come segno di gratitudine per il suo impegno a favore dei più disagiati. La malattia che lo colpì cancellò la sua vita ma non la sua storia.
Quando giunse al parco Tom iniziò a correre. A correre con la bocca aperta. Era affamato. Affamato dei profumi dei campi, dei colori dei fiori, del vento che gli accarezzava i capelli. Sfinito si abbandonò sull’erba soffice e profumata. Con le gambe divaricate e le braccia aperte ammirò il cielo azzurro e limpido. Il sole brillava sul suo volto.
Avvertì lo stomaco brontolare < bluu…bluu….>. Si alzò in piedi e massaggiandosi la pancia sentenziò: < Mamma andiamo a casa. Ho una fame che mi mangerei un lupo >.
Mamma Gina lo prese per mano e saltellando < una, due, tre… stella…> ritornarono a casa.
Senza togliersi neanche il soprabito mamma Gina andò ai fornelli e preparò una bella frittata. Tom appena la vide liberò un sorriso che volò dritto al cuore della donna. In un baleno ne divorò una fetta che accompagnò con un bicchiere di vino buono.
Mirko, nel frattempo, tornò dalla palestra. Con la sua stazza da rugbista e con le labbra cucite spalancò la porta di casa. Lasciò cadere a terra il suo borsone pesante. <Boomm >. A Miao, il gatto siamese di mamma Gina, si rizzò il pelo e frastornato schizzò nel giardino. Con tono minaccioso chiese alla donna: < Cosa c’è da mangiare oggi ?>.
< Frittata > gli rispose intimidita.
< Lo sapevo. In questa casa c’è sempre la solita minestra. Non lo sai che la frittata non mi piace?. Maledizione… anche oggi salterò il pranzo > sbuffò Mirko. Poi sentenziò: < Questa giornata è iniziata male e finirà peggio >.
Mamma Gina abbassò lo sguardo e afflitta andò in camera da letto. Si strinse al petto la foto di suo marito. Gli mancava. Tom, come un angelo custode, la seguì.
< Gli volevi tanto bene a papà > le disse con un filo di voce.
< Si. Un bene dell’anima >.
< Io non ricordo tanto di lui ma, per farti felice, posso inventarmi una storiella…>
< No. Non occorre. I tuoi occhi e la tua sensibilità ogni momento mi parlano di lui >.
< Mamma ti voglio tanto bene… > le replicò Tom, accarezzandole i capelli. Poi si rivolse al fratello e gli disse: < Questo pomeriggio vado in piazza per partecipare al torneo di scacchi. Sfiderò il campione in carica. Vuoi venire con me? >.
< Cooosaa ? > gli gridò Mirko, con un gli occhi fuori dalle orbite. < Tu sei fuori di testa Tom. Ho tante cose da fare e non ho tempo da perdere >. Si schiodò dalla poltrona e si incollò al divano in compagnia di una bottiglia di vodka.
Tom fece spallucce e consultò l’orologio al polso. Per lui ogni attimo era prezioso. Raggiante, con gli occhi che gli brillavano, propose alla mamma: < Mamma se vuoi puoi venire tu con me >.
Mamma Gina indugiò a rispondere. Scrutò il suo Mirko irrequieto steso sul divano, come una bandiera senza vento, e disse: < Vai pure Tom. Io rimango a casa. Tuo fratello ha bisogno di me >.
Tom annuì. Si strinse il nodo alla cravatta e a schiena dritta si avviò fischiettando.
Si sentiva vivo. Felice di poter camminare, giocare, amare…scrivere la sua storia.