Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Racconti nella Rete 2009 “Guizzi metallici” di Sara Spinardi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009

Il telefono si era messo a squillare, suo padre aveva sollevato la cornetta e detto con voce roca “Ti ho già detto che arrivo tra poco, tu intanto preparati”. Poi aveva preso a percorrere il negozio a grandi passi nervosi, sempre più rapidi; di colpo si era bloccato, aveva deglutito, composto un numero sulla tastiera, atteso qualche secondo e poi aveva detto“Buongiorno, vorrei prenotare un volo per la destinazione più lontana che avete. Il prima possibile. Sì, va bene. No, solo andata. Sì, viaggio solo. Sarò da voi tra circa mezz’ora. Mi chiamo Mario Sevini. Grazie. Arrivederci”.

Sandro si era sentito mancare il fiato; aveva premuto forte le mani sui mattoni del muretto sul quale era accovacciato. Aveva nascosto il viso tra le ginocchia, poi era tornato a sbirciare dal buco nella finestra. Adesso suo padre stava coprendo le poltrone con del nylon. Perché non entrava nessuno a farsi tagliare i capelli, o a farsi radere la barba? Lo guardò mentre riponeva pettini e rasoi nei cassetti. Nel giro di pochi minuti sui ripiani non rimase più nulla. Quando si era arrampicato sulla scala non era questo che pensava di vedere. Voleva solo spiarlo per descrivere meglio possibile il suo lavoro. Quando suo padre aveva indossato la giacca e si era guardato intorno con gli occhi lucidi Sandro non era più riuscito a stare fermo, ed era saltato giù dal muretto, trascinandosi dietro la scala, che era caduta con un gran tonfo metallico.Appena toccato terra si era messo a correre, sollevando nuvole di polvere sulla strada sterrata. Poco prima di svoltare per casa sua si era fermato per riprendere fiato; la testa gli pulsava e aveva la gola secca. Si sentiva le guance bagnate ma non se le toccò, non voleva avere pianto. Se i suoi vestiti erano tutti lì, se ogni cosa era al suo posto, allora era solo uno scherzo, e a cena avrebbero riso un sacco di questa storia.

La casa spiccava bianca tra i prati. Sandro attraversò il cortile, Bobo gli venne incontro mugolando, lui gli fece cenno di non abbaiare. Bobo ubbidì. Sandro si avvicinò al muro e lo percorse fino alla finestra che dava sulla cucina. Ci guardò dentro: sua madre era lì, come sempre. Indossava una maglietta gialla, sbiadita e stretta, che le disegnava delle curve enormi sulla schiena. Sembrava che la maglietta stesse per scoppiare. Stava maneggiando la mezzaluna e tutto il suo corpo ondeggiava come un grosso budino.A Sandro lei sembrava sempre la stessa, proprio la stessa di quella mattina, e anche di cinque anni prima.Entrò in casa, facendo bene attenzione a non fare rumore, salì le scale, evitando il quarto gradino, che cigolava. Tutto in quella casa era stato fatto con materiale di recupero, così ogni cosa funzionava solo a metà.In punta alle scale svoltò a destra, oltrepassò la sua camera, si infilò in quella dei suoi genitori e andò deciso verso l’armadio. Lo aprì e contò le giacche di suo padre. Ne mancavano due. Lo stesso coi pantaloni e le camicie. Si lasciò cadere sul pavimento con un tonfo. Rimase a lungo immobile, le braccia e le gambe gli pendevano molli dal corpo. Poi si alzò di scatto e corse in camera sua sbattendo al porta, negli occhi uno sguardo febbrile. Aprì l’armadio e ci affondò una mano dentro: quando la tirò fuori stringeva un piccolo oggetto che lanciava bagliori metallici. Va bene, il suo compleanno sarebbe stato la settimana prossima, ma se solo lo trovava e gli dava il regalo magari non sarebbe partito, magari sarebbe rimasto lì con loro, e ci avrebbero riso su a cena. Il fiocco si era un po’ schiacciato, cercò di arricciarlo per farlo tornare come prima, ma non ci riuscì.

Si infilò in tasca il regalo, la carta argentata scricchiolò leggera.

Sandroooo, sei tu?” la voce di sua madre rimbalzò morbida sui gradini. Sandro prese fiato, uscì dalla camera e si fermò in cima alla scala. “Sì mamma, sono io”. Stringeva forte il corrimano, proprio non le riusciva di guardarla. “Non ti ho sentito entrare, e per un attimo ho pensato fossero i ladri” cominciò a ridere di gusto “Ma te l’immagini, i ladri qui” il corpo le ondeggiava tutto “neanche uno spillo troverebbero da rubare” . Sandro prese a scendere i gradini, quasi di corsa. “Devo andare mamma” “La vuoi una cioccolata calda? Così mi racconti di quel tema che devi scrivere per domani. Non mi ricordo più il titolo” Sandro si bloccò sull’ultimo gradino e la guardò “Che lavoro voglio fare da grande” Sua madre fece schioccare una mano sull’altra “Ah, già” Si guardò intorno con lo sguardo perso “La vuoi una cioccolata calda?” “No, mamma, e guarda che me l’hai già chiesto” Passando le sfoderò il miglior sorriso triste che i suoi dodici anni gli permettevano, e per un attimo si perse nei suoi grandi occhi. Come gli capitava con le mucche.

Appena fuori inciampò nelle ciabatte del padre, allineate accanto alle sue. Quelle se le portava ovunque andasse, non poteva essersele dimenticate lì. Nella testa di Sandro quelle ciabatte diventarono enormi come la sua speranza. Un sorriso gli si allargò in viso. Tenendosi premuta la tasca dei pantaloni, che ballonzolava, si mise a correre. Quasi si scontrò con un uomo che camminava a passo incerto verso casa sua, lo sguardo fisso a terra e il viso scuro. Non lo riconobbe subito, d’altronde non aveva mai visto Fausto così triste, non ci era abituato. L’uomo cercò di afferrargli il braccio, gli disse che voleva parlargli, ma Sandro corse via felice, gridandogli che adesso non aveva proprio tempo.Arrivato in paese imboccò il vicolo dietro il negozio: la scala era ancora lì, di traverso sul selciato. Le si avvicinò e la tirò su, appoggiandola al muro: ora il vicolo era quello di prima. Sandro chiuse gli occhi e li strinse forte. Continuava a pensare alle ciabatte, e che la prossima settimana suo padre avrebbe compiuto gli anni. Di sicuro, tornando in negozio, l’avrebbe trovato lì. Respirò profondamente, fece il giro dell’isolato e sbucò nella piazza davanti al negozio: c’erano molte persone riunite davanti alla vetrina, tutte scuotevano la testa e parlavano a bassa voce. La saracinesca era abbassata, un cartello bianco spiccava tra le teste, ma Sandro non riusciva a leggere cosa c’era scritto sopra, in nero, solo CHSO e poco sotto FALNTO . Le gambe gli tremavano mentre attraversava la strada, di colpo il gruppetto si voltò verso di lui e ammutolì, lo guardavano pietrificati e con gli occhi lucidi. Sandro cercò di aprirsi un varco, ma loro stavano immobili, allora prese a spintonarli, e a gridare che doveva sapere, che voleva leggere. Si scostarono: c’era scritto CHIUSO PER FALLIMENTO.

La bocca gli diventò una fessura stretta, e le lacrime cominciarono a colargli giù in rivoli spessi. Prese a guardarsi intorno smarrito, da ogni parte gli arrivavano pacche sulle spalle, tutti cercavano di abbracciarlo, ma lui li respingeva, sempre più affannato. L’ unico con cui avrebbe voluto parlare era Fausto, ma per quanto si affannasse lì intorno non gli riusciva di trovarlo. Lui era il migliore amico di suo padre, si conoscevano fin da bambini, di sicuro doveva saperne qualcosa di questa storia. Sandro di colpo lo odiò, se sapeva qualcosa allora avrebbe potuto anche fermarlo. Perché non lo aveva fatto? Non lo avrebbe mai perdonato per questo, e voleva dirglielo, subito. Si mise a correre verso casa, sperando di trovarlo ancora nei paraggi. Arrivò nel cortile senza fiato per la lunga corsa, le lacrime continuavano a offuscargli la vista. Fausto gli stava venendo incontro, aveva la schiena curva e si teneva una mano aperta sul viso. Sandro gli si buttò addosso rabbioso, strappandogli la mano dal viso. Voleva guardarlo negli occhi mentre gli diceva che lo odiava. Ma Fausto stava piangendo, e quando lo abbracciò lui già non lo odiava più. Si strinsero forte, poi Fausto lo spinse via dolcemente e si allontanò, ancora più curvo di prima.

Sandro attraversò il cortile, arrivò al rubinetto che di solito usavano per annaffiare le piante, lo aprì e si lasciò scorrere l’acqua sulla testa, a lungo. Il corpo gli pesava addosso e non riusciva più a pensare a nulla. Si lasciò cadere a terra, con la schiena appoggiata contro il muro caldo della casa. . Allungò un braccio e prese ad accarezzare Bobo, che lo stava guardando, la testa schiacciata a terra e lo sguardo pieno di tristezza. L’aria profumava di ragù, e quando Sandro cominciò a sentire il suo stomaco gorgogliare decise di alzarsi.

Appena prima di entrare in cucina gettò il regalo nel cestino della spazzatura, in un attimo i guizzi metallici si persero nel ciarpame puzzolente.

Sua madre non si voltò quando Sandro entrò in cucina, era vicina ai fornelli e stava girando il sugo.La tavola era apparecchiata per tre, come al solito, e quando loro due si sedettero i loro sguardi si incrociarono appena. Il viso di sua madre era contratto in una nuova smorfia, e benché cercasse di sorridere metà bocca puntava in giù.L’unico suono che si sentiva era il ticchettio della pendola, e quando fece otto rintocchi sua madre sospirò e disse con voce piatta “Forse tuo padre stasera tarderà più del solito, noi intanto iniziamo a mangiare”.

Sandro annuì, ingoiando la prima forchettata di pasta.

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