Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2014 “La voce” di Vincenzo Maria Sacco (sezione racconti per bambini)

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014

C’era una volta un gufo. O forse era una civetta. Faceva uuuuh uuh, un verso triste che, in quella notte senza luna, metteva un po’ paura. Sì, doveva essere proprio un bel gufo grosso. Il suo richiamo si sentiva da molto lontano.

Il nostro amico pennuto, che come si sa ha una vista super, era a caccia della sua cena notturna. Stava volando sulla verde collina, che poi verde non era per via della luna che quella notte era spenta. Riconosceva, dall’alto, le mura e le torri di guardia che racchiudevano e proteggevano la grande porta con l’orologio, le vecchie case e poi, in alto, il castello.

Il furbo rapace fece ancora un rapido giro e poi, non trovando nulla da cacciare, con un ultimo sconsolato uuuuh, volò via.

Giù per la strada, che saliva a zig-zag verso il paese, non c’era nessuno. Mancavano pochi giorni al Natale e faceva un gran freddo. In giro non si vedeva anima viva, anche gatti e cani randagi si erano rintanati per difendersi dal gelo.

Passarono di lì un uomo e una donna. Dovevano essere dei gran ricconi perché erano vestiti elegantemente e avevano cappotti pesanti e ben caldi. La donna era truccatissima ed entrambi lasciavano dietro di loro una scia di profumi costosi. E poi gioielli, anelli d’oro, spille e chi più ne ha più ne metta! Quando arrivarono alla porta con l’orologio si fermarono, perplessi.

–      Guarda che strano! – esclamò la donna con una vocina che non si adattava al suo faccione tondo.

Le mura e la via principale del borgo, quella fredda notte, non erano illuminate come al solito: al posto dei lampioni c’erano grandi torce che, bruciando, emettevano una luce fumosa e tremolante e odore di resina. Si sentiva, in sottofondo, una dolce musica provenire dall’altra estremità della via, più in alto. Lì c’era una seconda porta nelle mura che conduceva al grande giardino su cui sorgeva, maestoso, il castello. I due si guardarono con espressione interrogativa.

–  Che succede al castello, c’è forse una festa? – si chiese l’uomo che, quando parlava, sembrava recitare (male) una poesia.

Come mai in giro non c’era nessuno? Cos’era quella musica?

Attirati dalla curiosità i due si avviarono lungo la salita. Dopo una prima piazzetta la strada saliva dritta verso la seconda porta nelle mura. La donna, con i suoi tacchi alti, camminava incerta sulle vecchie pietre consumate dal tempo e si appoggiava all’uomo. Altre torce fumanti illuminavano la via deserta e silenziosa. I portoni e le finestre della case sembravano quadri neri dove la luce resinosa non riusciva ad entrare. Quella scena metteva paura, ma la musica era sempre più forte e i due volevano capire in tutti i modi cosa stesse succedendo. Insomma erano due inguaribili curiosoni!

Salirono gli scalini e oltrepassarono la seconda porta. Si ritrovarono sul grande spiazzo dove macchie di fiamme e di luce lasciavano intravedere un ponte levatoio. Due grandi travi e grosse catene potevano chiuderlo, impedendo così l’accesso ai nemici di un tempo e ai curiosi. Però quella sera il ponte era abbassato e la musica, non c’erano dubbi, proveniva dall’interno.

Nulla oramai poteva fermare la nostra coppia che non esitò ad entrare seguendo la leggera scia delle note musicali. Attraversarono il ponte di legno e passarono sotto il pesante cancello di ferro alzato.

–      Ooohhh! – esclamarono i due  fermandosi di colpo e sgranando gli occhi per la meraviglia.

Al centro del cortile interno del castello, illuminata da preziosi e brillanti candelieri d’argento, c’era una grande tavola apparecchiata di tutto punto: tovaglia di morbido tessuto bianco, piatti dorati, calici di prezioso cristallo e candele rosse e bianche. Ma questo era solo l’inizio perché, sulla tavola, c’erano montagne fumanti di cibo e grattacieli di panna e crema dentro grandi vassoi.

–      Quanta roba buona! – esclamò la donna.

L’elegante signora, a giudicare dalla ciccia, doveva essere una gran mangiona!

–      Dài, sediamoci e profittiamo, tanto non c’è nessuno – disse l’uomo passandosi la lingua tra le labbra.

In effetti non si vedeva anima viva e il silenzio ricopriva la scena come un invisibile mantello. Anche la delicata musica, adesso, non si sentiva più.

I due si avvicinarono al lungo tavolo delle meraviglie e vi girarono intorno, incerti. Alla fine si decisero e si sedettero di fronte a un enorme e fumante tacchino ripieno che aspettava solo di essere mangiato. Vapore e profumo si mescolavano e arrivavano ai nasoni dei due che, ad occhi chiusi e con l’acquolina in bocca, già pregustavano il sapore della carne che stavano per addentare.

I due allungarono le mani verso il vassoio e …

Pùffff …

Tutto sparì di colpo: cibo, posate, bicchieri, tavolo ed anche le sedie. I due caddero in terra con una gran sederata.

–      Ahia! -gridarono all’unisono per il dolore.

Si rialzarono a fatica massaggiandosi il grasso fondoschiena e maledicendo l’autore di quello scherzo, strano sì, ma tanto stupido.

Zoppicando, i due si allontanarono e tornarono indietro da dove erano venuti. Brontolando si allontanarono nella fredda nebbia di quella serata senza luna.

Nel cortile del castello una strana voce, profonda e misteriosa, si fece sentire.

–      Brutti curiosoni! – disse rivolta ai due che, ormai lontani, non potevano sentirla.

–      Credevate di venire qui e mangiare a sbafo? Siete abbastanza ricchi da permettervi un bel pranzo in una calda locanda! –

Insomma, il misterioso proprietario della voce era proprio arrabbiato!

–      Sono secoli che aspetto una buona compagnia e, quando dico secoli, intendo proprio secoli! – concluse con pignoleria.

Il silenzio tornò a ricoprire tutto.

Dopo un po’ di tempo passò dalla stessa strada che saliva a zig-zag dalla valle una coppia di vecchietti. Chissà quanti anni avevano! Dovevano essere tanti, a giudicare dai volti pieni di rughe. Camminavano sottobraccio e si tenevano stretti stretti per scaldarsi a vicenda. I loro soprabiti erano consumati e non li riparavano più tanto bene dal freddo della notte.

–      Ohhh!-  dissero anche loro spalancando gli occhi di fronte alla porta dell’orologio illuminata dalle torce fumanti.

Nel frattempo la musica era tornata a diffondere le sue melodiose note. Attirò anche i nostri due vecchietti, inesorabilmente, verso il grande castello.

Immaginatevi quale fu la loro meraviglia quando, attraversato il ponte levatoio, si trovarono di fronte alla tavola apparecchiata e a tutto quel bendiddio. Infatti, tavolo, sedie e cibi erano magica-mente ricomparsi nel cortile. I due si avvicinarono timorosi.

–      Vedrai che ora spunta dal buio qualche guardia e ci scaccia – disse la donna all’uomo, spaventato come lei.

Visto che, però, non accadeva nulla, la fame vinse le loro paure. Non avevano mai visto tanto cibo tutto insieme. Si sedettero, si guardarono intorno per l’ultima volta e, impugnate le forchette, con rapida mossa infilzarono due enormi bistecche ancora fumanti.

Improvvisamente, mentre ad occhi semichiusi gustavano il sapore della tenera carne, un cameriere, vestito come un maggiordomo di una volta, comparve dal nulla.

La donna lo vide e tirò una gomitata al compagno.

–      Guarda chi sta arrivando! – disse sorpresa.

L’uomo si girò e cominciò a ridacchiare con la mano davanti alla bocca.

–      Sembra un pinguino! – osservò a bocca piena.

Il personaggio comparso dal nulla era, in effetti, decisamente comico. Il cameriere li salutò con un inchino e, serio serio, versò nei loro bicchieri dell’ottimo vino rosso. Poi ritornò da dove era venuto e sparì nel buio.

La melodia della dolce musica accompagnò il pranzo dei due che, ormai abituati alle sorprese di quella magica notte, continuarono a mangiare con gusto.

Lontano, dove il buio sembrava aver inghiottito strade, palazzi, lampioni, cani, gatti e tutti gli altri esseri viventi, la voce calda e profonda si levò di nuovo e cominciò a canticchiare e a seguire le note. Non si capiva bene da dove venisse, anzi sembrava arrivare da ogni parte. Ma forse, ad ascoltarla bene, sembrava provenire proprio dalle stanze del castello.

I vecchietti la udirono e, questa volta, interruppero per un momento l’incredibile cena che stava riempendo le loro pance vuote. Rimasero in ascolto con le posate in mano.

–   Chi è che canta? – si chiesero prima guardandosi e dopo girando intorno lo sguardo.

–   Secondo me – disse la vecchietta con aria impaurita – è il padrone di tutto questo – e con la mano indicò prima la tavola e poi le mura che li circondavano.

–   Adesso viene qui e ce le dà di santa ragione! – concluse.

–  Forse è lui, ma non credo che ci voglia punire. Altrimenti perché ci avrebbe mandato anche il pinguino? – osservò saggiamente il suo compagno facendo riferimento al buffo cameriere.

Quasi a conferma di quelle ultime parole ecco il maggiordomo riapparire dal nulla e, sempre con aria seria, riempire nuovamente i loro bicchieri senza far cadere neanche una goccia di vino.

I due si guardarono, l’uomo con un’espressione del tipo: “te lo dicevo io!”.

Mentre la musica continuava a diffondersi nell’aria, smisero per un po’ di mangiare, iniziarono a sorridere e si abbracciarono teneramente come due giovani innamorati. Un gran senso di pace e di serenità scese nei loro cuori. Rimasero così, carezzandosi dolcemente, cullati dalle note.

La voce profonda che sembrava venire dalle stanze del castello, smise di cantare. Dopo un attimo di silenzio i due sentirono le sue parole:

–      Sono secoli che non mi divertivo tanto qui dentro e, quando dico secoli, intendo proprio secoli! –precisò nuovamente. Si interruppe un attimo e poi riprese a parlare.

–      Tutto questo è per voi, amici miei, non abbiate paura. Finalmente ho trovato le persone degne di farmi compagnia! Mangiate, mangiate ancora, tutto quello che volete!

–      Almeno per questa notte sarete i padroni di tutto questo! – concluse felice.

I due si guardarono, sorpresi da quelle parole, poi, rasserenati, iniziarono a sorridere e, infine, a ridere di gusto. Quella era la serata più bella della loro vita e ringraziarono di cuore il loro misterioso benefattore.

In alto, nel cielo nero, il verso del gufo si fece di nuovo sentire. Forse anche lui aveva la pancia piena, adesso. Il suo verso non faceva più paura, anzi l’uuuh uuh sembrava quasi un timido risolino trattenuto tra le labbra.

Subito dopo, la misteriosa voce cominciò ad emettere strani gorgoglii alternati a brevi silenzi. Non era certo ubriaco, cari amici, e non era nemmeno balbuziente. No, quei versi non lasciavano dubbi.

Il fatto è che, insieme ai due vecchietti felici, la voce, semplicemente, rideva.

 A Gradara, antica e magica

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6 commenti »

  1. Bella davvero Vincenzo! Le descrizioni dell’ambiente insieme al gufo (meglio della civetta che fa un verso più tetro) accompagnano i piccoli lettori in un mondo davvero antico e magico. Credo che rideranno alla scena della caduta della prima coppia “con una gran sederata”.
    Una bella storia di castelli e magia, ce ne vorrebbero ancora tante così per i nostri bambini.
    Bravo e auguroni per il concorso; la tua storia starebbe molto bene sull’antologia del premio 2014!
    Silvia

  2. Grazie Silvia per i complimenti e grazie per avermi fatto conoscere questo Concorso letterario e la sua formula veramente interessante. Peccato che tu non possa partecipare quest’anno, ma spero di leggere un tuo lavoro l’anno prossimo.
    Auguri anche a te per tutto.
    Enzo

  3. Nel tuo racconto ci sono tutti gli ingredienti di una bella fiaba.Delizioso il gufo iniziale.Forse un Po’

    troppo scoperto il messaggio:i ricconi a gambe all’aria,i poverelli premiati.

  4. Piace ai bambini perché vengono coinvolti dalla presenza di animali temibili o buffi, dagli ambienti arcani, dagli imprevisti e dalle scene comiche. Noi adulti siamo penalizzati avendo perso la capacità di stupirci e di credere nelle soluzioni positive.
    Emanuele.

  5. E’ proprio così. Hai centrato la “morale” che, poi, nelle fiabe è quasi sempre la stessa.

    Grazie Emanuele

  6. Molto bella questa favola, Vincenzo, davvero! Tenera e divertente! Poi l’hai dedicata a Gradara, un luogo bellissimo poco lontano dalla mia città’, che ho visitato in varie occasioni, quindi la sento per cosi’dire ancora più’ vicina. Mi farà’ molto piacere leggerla a mio figlio quando avrò’ l’antologia sottomano. Bravo!

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