Premio Racconti nella Rete 2014 “Oltre la porta la luce dolce del mattino” di Antonella Magnoni
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Anche quella sera rientrò in casa con quello strano peso. Sentiva oramai da qualche tempo un fastidioso senso di oppressione, come un grosso sacco appeso allo stomaco…ridicola! Si dava spesso della ridicola quando rifletteva sui suoi bizzarri pensieri. Come fa un grosso sacco a stare appeso allo stomaco?! Lo stomaco è un sacco già lui, e poi, un sacco non può essere più grande del ventre per stare appeso allo stomaco in esso contenuto….!
La sua schiacciante razionalità a volte le toglieva il gusto di avvolgersi nei suoi pensieri. Che male c’era in fondo a farsi scaldare da un pensiero? A chi doveva rendere conto se voleva trasformare il pensiero in una coloratissima coperta dentro la quale arrotolarsi fino a sentirsi stretta e al sicuro?
Anche quella sera rincasò certa di essere sola, lui non sarebbe tornato prima di qualche ora. Era così da tempo, e si chiese, ancora una volta, se non fosse casuale.
Meglio così, avrebbe avuto del tempo per se, si sarebbe fatta un lungo bagno caldo, magari con qualche candela, dell’incenso e musica new age , avrebbe preso cura del suo corpo come si diceva sempre di dover fare…dover! Non imparava mai a trasformarla in voler. Eppure era persuasiva con i suoi pazienti! “Quello che dobbiamo non coincide sempre con quello che desideriamo, quello di cui abbiamo bisogno, è importante iniziare dalle piccole cose, iniziare a usare la parola giusta, voglio o devo? Devo bere o voglio bere?…”
Posò la borsa distrattamente sulla sedia, sempre la stessa, si tolse il cappotto e lo gettò sullo schienale della poltrona, sempre la stessa. I suoi gesti erano accuratamente spontanei. Come è possibile? Accuratamente studiati o istintivamente spontanei? Niente sentiva di autenticamente spontaneo in lei. La sua mente “iniziò” a fluttuare, iniziò a girare, iniziò a percorrere tutti i lunghissimi corridoi del suo essere intensamente pensante, nella consapevolezza che nulla “iniziò” veramente in quell’istante ma si lasciò sentire che in lei tutto proseguiva come sempre.
Aprì l’acqua della doccia, convinta di non avere il tempo per fare il bagno, con le candele da cercare poi! E l’incenso da accendere, che magari con l’umidità dell’acqua calda non avrebbe preso, forse si sarebbe spento, forse avrebbe cambiato un po’ l’aroma… “Oddio, qualcuno fermi i miei pensieri!”
Come spesso le accadeva negli ultimi mesi, ripensò ai pazienti della giornata. Perché le stava capitando questo?
Forse all’inizio della sua attività professionale portarli a casa con se aveva un senso. Cosa avrebbe potuto dire a Lucia quando le manifestò così duramente il suo disappunto per non sentirsi appoggiata nella scelta di licenziarsi? E a Massimo? Con quel suo sguardo mai diretto, mai limpido, mai cordiale, cosa avrebbe potuto fare per convincerlo che trascorrere tante ore nella sua stanza ricavata dal ripostiglio della casa, stretta e senza finestra, non era positivo se non per coccolare il suo nucleo psicotico?
Cercò di allontanare il pensiero, si dilungò nel leggere le essenze del bagnoschiuma alla vaniglia che aveva comprato, prese l’accappatoio, l’asciugamano per i capelli, accese la stufetta ed entrò sotto la doccia.
L’acqua era calda, scorreva sulle curve del suo corpo senza fermarsi in nessun punto. Questo le fece ricordare le carezze di Paolo, veloci, brevi, carezze di chi non ha nulla da dire, di chi non ha nulla da dare. Da quanto si accarezzavano così? Da quanto non si accarezzavano più? Un puff al cuore, un tonfo, un battito in meno, il suo cuore aveva perso un colpo, aveva zoppicato come quel loro strano amore che amore non era più.
Uscì velocemente dalla doccia, si asciugò e non passò nessuna crema sul suo corpo, si infilò il morbido pigiamone, i calzini antiscivolo e andò a passo veloce alla sua agenda, quella nella quale scriveva gli appunti delle sue sedute. Paolo, le carezze, il loro amore , le avevano fatto pensare al signor Pascucci, Amedeo.
Erano pochi mesi che Amedeo si era deciso ad intraprendere un percorso, così lo definiva, parallelo al precorso della sua vita. Tutte le volte che lui le parlava in questi termini, le venivano in mente le curve della Somma, una tortuosa strada che percorreva in auto con i suoi genitori, da bambina, quando andavano a fare visita ai parenti. Quante volte era stato necessario fermare la macchina, farla scendere e aspettare che rovesciasse tutto il contenuto del suo stomaco! Maledetta strada! Che ci vuole a fare le strade dritte? C’è bisogno di tutto questo volteggiare per arrivare da A a B? Ogni volta la stessa discussione, con gli occhi ancora lucidi per lo sforzo e la bocca cattiva, risalendo in macchina chiedeva al padre quale ubriaco era stato chiamato per fare quella maledetta strada! E lui, infastidito per l’immancabile ritardo, cercava di spiegare che la montagna non la si può sempre bucare ma ci si deve passare intorno….
Amedeo faceva grandi curve per non essere mai al centro della montagna, per non affrontare mai, per trovare percorsi alternativi ai percorsi possibili e altamente probabili, una gran fatica! Un gran caos in cui aveva iniziato a sguazzare troppo bene, troppo abilmente.
Il pensiero di quel’uomo entrava nella sua vita come l’odioso “costruttore” della sua strada tutte curve e vomito. Ma perché Amedeo era entrato così prepotentemente nel suo spazio mentale? L’appuntamento settimanale con lui non iniziava mai e non finiva mai con il tempo della seduta. Quei 50 minuti erano preceduti e seguiti da molti altri, se avesse potuto disegnarli avrebbe osservato, con buona meraviglia, un gran caos, un grande scarabocchio nel quale era difficile individuare una figura e praticamente impossibile scorgere l’inizio e la fine dei tratti.
La verità era che lei si rivedeva in Amedeo. Chi era veramente quello scarabocchio? Che sia il solito scomodo controtransfert, così caro ai cugini psicoanalisti? Detestava quella espressione, cugini chi? eppure il suo cervello a volte non poteva fare a meno di proporgliela!
No, no. Sapeva di essere brava, brava davvero, nel girare intorno, nel riuscire a fare dei fantastici volteggi sfiorando cose, situazioni, relazioni, puff al cuore!, senza mai entrare, senza fermarsi veramente…altro puff, accidenti che impietosa implacabilità! Assolutismo e inclemenza verso se stessa, nonostante gli anni di formazione, non l’abbandonavano ancora del tutto.
Il trillo del telefono la liberò dalla morsa dei pensieri nella quale si stava rifugiando.
“Pronto?” Attese trepidante di scoprire se avesse riconosciuto subito la voce dall’altro capo del telefono. Chi poteva telefonare all’ora di cena? …fermò immediatamente il flusso dei pensieri, oramai sapeva farlo senza sapere di farlo, un giochetto imparato ai tempi della specializzazione, “quando la piramide dei propri pensieri supera la soglia di 3 file compatte di mattoni, interrompi subito perché rischi di costruire una cattedrale gotica!”.
“ma allora ci sei! Non pensavo di trovarti in casa….” Laura era un’esperta di frasi assurde, di atti incoerenti e di candida sincerità al riguardo. Se non fosse per l’affetto secolare che la univa all’amica, avrebbe interrotto da tempo i rapporti con una persona tanto diversa e a volte francamente indisponente. Come si fa a telefonare a qualcuno nella convinzione di non trovarlo? Laura cacciava da se le persone che voleva, si circondava di relazioni e attività che non amava..era l’antitesi della coerenza e dell’affermazione di se. Valentina aveva imparato ad accettare prima e amare poi le incoerenze dell’amica, ritenendola candidata eccelsa ad una vita di affannose ricerche che l’avrebbero inesorabilmente portata al perpetuo stadio del “se fosse…” “io…”
Se Laura avesse avuto un lavoro più interessante, se fosse stata più magra ed elegante, se avesse conosciuto molto tempo prima quella persona, se avesse deciso di fare quel viaggio …sarebbe stata felice.
“Visto che sei in casa, che dici se usciamo?” ecco, ci risiamo, un’altra delle sue!
Valentina non aveva nessuna voglia di disfarsi del suo pigiamone, dei suoi calzini antiscivolo e dei suoi pensieri, lasciò che l’amica le propinasse tutti i programmi più indesiderabili che riuscì a proporre e alla fine sfoderò il suo contrattacco resistente a qualsiasi tentazione: “vieni tu da me e ci beviamo una belle tisana calda!”
Sapeva dove colpire, effetto immediato, risposta desiderata in arrivo…”no no grazie, una tisana proprio no, volevo fare un happy hour! Madonna santa come ti sei impigrita Vale! Non ti si riconosce più.”
La pace che ne seguì valse la lista di affettuose critiche, non minò affatto il senso di autostima e il profondo affetto per quella donna così lontana eppure tanto vicina al suo cuore.
Detestava dirsi di aver esagerato, di essere stata eccessiva, rigida e incorruttibile. Forse Laura aveva ragione, visto che era in casa, si poteva stare fuori! Perché se è
vero A è vero anche il non A, non tutto è necessariamente bianco o nero, non tutto cara signorina Rottermeier!
Si mise a rileggere distrattamente gli appunti sulle sedute del pomeriggio, convinta di trovare qualche dettaglio, qualche sfumatura che le era sfuggita, ma quello che le sfuggiva veramente era la voglia di farlo. Cosa stava disturbando così alacremente il fluire dei ricordi? Cosa si frapponeva fra il dovere e il non piacere? Il suo elevato senso del dovere, talmente elevato che probabilmente era stato inserito nel kit “bimbo bello” in dotazione alla nascita, non le faceva percepire nettamente il piacere in contrapposizione al dovere.
Le cose che “dovevano” essere fatte erano piacevoli poiché il senso di abnegazione e sacrificio godeva di soglie elevate. Bella fortuna dopotutto! Questo aveva significato laurea e specializzazione il tempi ottimali con il massimo dei voti, eccellenti risultati negli sport sin da bambina. E allora? Cosa non stava funzionando? Non era abituata a non essere concentrata, non era abituata ad abituarsi al non.
Non essere concentrata.
Non capire cosa succede.
Non sapere nei minimi dettagli il perché delle sue reazioni.
Da qualche settimana era così. Era arrivato il momento di ammetterlo a se stessa. Basta sotterfugi Vale! Sei una donna, guarda in faccia la realtà. Non puoi sfuggirti a lungo ormai, ammetti chiaramente che….puff!
Mangiò senza fame.
Bevve senza sete.
Ripulì con dovere.
Si lavò i denti.
Andò a letto.
Spense la luce.
Fece finta di non sentire la chiave che girava nella serratura, fece appello a tutte le sue conoscenze sul RAT e si addormentò prima che Paolo si sdraiasse al suo fianco, ma con quella distanza emotiva che rendeva quei pochi centimetri chilometri di stagni, paludi, foreste e deserti da percorrere per potersi, forse, ritrovare.
Dormì una notte senza sogni, di quelle buie ma illuminate da chiarore del niente, dal beneficio di un’apparente nulla in cui galleggiare leggeri. Questo bastò a farle trovare in se un po’ di buonumore. Era molto tempo che non lo ritrovava, dove lo aveva lasciato! forse nascosto sotto pesanti strati di cupo realismo, forse arrotolato nelle serratissime trame dei suoi devo.
Paolo era in bagno quando usci di casa.
Anche quella mattina erano stati bravissimi a incontrarsi solo un attimo in cucina per il caffè.
Un veloce “buongiorno, giornata pesante? Ok ci sentiamo dopo, ciao”.
Quel caffè, come ogni mattina, non le andava né su né giù. Bevuto troppo caldo, troppo di corsa, con la tensione del doversi dir qualcosa e l’irritazione del dirsi sempre le stesse cose.
Il detto non detto, “buongiorno”: oddio come stiamo vivendo!
“Giornata pesante?”: facciamo qualcosa, così non è più possibile continuare!
“Ok”: ti prego, dì qualcosa te, prendi tu la decisione che non riesco a prendere io!
“Ci sentiamo dopo”: è doloroso ma dobbiamo farlo, non c’è dignità nel vivere di niente, nel niente, solo attenti ipocritamente a non ferirci, illudendoci di riuscire veramente a farlo!
“Ciao”: Paolo cazzo ti muovi??? Che aspetti? Vuoi che mi innamori di qualcun altro? Fai qualcosa!!!
Prese la macchina e improvvisamente decise di concedersi una colazione vera! Vadano tutti al diavolo, stamattina faccio la signora! Mi fermo al bar e mi godo uno spazio solo per me, per il mio piacere, per il mio bisogno di prendermi cura di me, voglio una coccola!
Parcheggiò in doppia fila, un immediato e leggero velo di inadeguatezza le sfiorò il cuore, non lo ascoltò, spinse il pulsante delle quattro frecce e mise a posto la coscienza. Scese dall’auto, quella mattina si era messa un po’ di tacco, una gonna aderente e delle calze nere, non i soliti quaranta denari, troppo…opprimenti.
Raggiunse con passo deciso la porta del bar, non voleva ripensamenti, doveva essere chiara con il suo corpo, non avrebbe accettato dietrofront dalle sue gambe, dai suoi piedi.
Mise una mano sulla maniglia della porta. Il vetro era spesso, scuro, di quelli che richiedono più forza di quanta a volte si è disposti ad investire. Impugnò con ferma decisione l’imponente maniglia bronzata e spinse con buona parte dell’energia che credeva di avere. La porta era leggerissima, si aprì come magicamente facendola sentire se non Ali Babà almeno come sua sorella.
Lo slancio le fece perdere per un attimo l’equilibrio, quello che subito dopo vide, le fece perdere il senso di vuoto per tutto il resto della sua vita. Una mano afferrò la sua borsa destinata a volare verso il bancone, un paio di occhi neri, vellutati e caldi afferrarono saldamente il suo sguardo.
Sorrise, sorrisero vistosamente imbarazzati,
non per la caduta scampata,
non per gli sguardi delle persone,
non per i commenti forzatamente spiritosi del ragazzo dei caffè.
Le loro labbra assunsero quel movimento che consente ai denti di essere visti senza far paura, senza dare fastidio. I muscoli del viso contraendosi resero la loro pelle distesa e allo stesso tempo piena di increspature.
Valerio quella mattina si era svegliato con la voglia di buono nel naso e in bocca.
Negli ultimi tempi si era imposto una colazione “veloce” con solo caffè nero, nella speranza di risparmiare qualche caloria da poter investire in un buon bicchiere di vino la sera.
Uscì pregustandosi l’espressione stupita che avrebbe visto nel barista quando al consueto: “il solito caffè dottò?” avrebbe risposto con un serafico “No Mario, oggi cappuccino e anche un cornetto al miele!”
Mangiò con gusto, bevve il cappuccino amaro e si incamminò verso l’uscita.
Distrattamente impugnò la maniglia bronzata della porta mentre pensava al traffico che avrebbe affrontato per arrivare in ambulatorio, quando una incantevole creatura planò quasi tra le sue braccia.
Ci fu improvvisamente silenzio, orecchie ovattate, testa vuota, movimenti al rallentatore.
Anche le ciglia si mossero con lentezza esasperante nel su e giù imposto dalle palpebre.
Tutto intorno si fermò.
Costrinse il suo cervello a rimettersi in moto.
Niente.
Tutto era fermo e silenzioso.
Solo da un piccolissimo remoto e sconosciuto angolo della sua pancia, sospesa come la si può sentire solo nelle discese delle montagne russe, giunse la consapevolezza che da quel momento in poi tutto sarebbe ripartito.
In modo diverso.
Bello e delicato.
Un racconto lieve vero quotidiano attuale e pieno di grandi sfumature che possono assumere grandi significati….. Bellissimo
Un appassionato racconto, che con semplicità, ci accompagna verso una nuova consapevolezza!
Un bel racconto, accattivante anche la narrazione e chiara e scorrevoli, interessanti quei periodi brevi che rendono benissimo, come dire , quegli attimi di trascurabile felicità anticamera del lieto fino.
Molto piacevole….complimenti per i tempi di scrittura..
Complimenti, un racconto scorrevole caratterizzato da stile narrativo intimista e delicato
Un racconto gustoso, fluido nella narrazione; molto ben costruito e accattivante nello svolgersi degli avvenimenti. Una opera prima, forse un pò autobiografica come la maggior parte delle opere prime, che lascia presagire la stessa gustosità di un prossimo racconto. Si apprezza lo stile semplice con qualche sbavatura di ricercatezza letteraria che comunque non stona.Emozionante.Brava!
Racconto molto bello. Intimista, con ritmo leggero e scorrevole lascia una fresca scia di speranza
Originale, rapido nella narrativa. Pienamente riuscito l’intento di delineare lo stato d’animo della protagonista. I periodi brevi rendono l’esposizione veloce e d’effetto.
Un viaggio “accuratamente studiato nell’istintiva spontaneità”! Molto interessante!
Bel racconto. Un percorso a ostacoli nel dilemma: devo o voglio, un rimuginare tra due opposti o un’indagine interiore senza usare strumenti elettronici. Occorre prendere coscienza delle tante domande, delle tante abitudini e delle tante”cose” per cambiare, solo così si riprende a vivere.
Emanuele.
Quell’incontro che tutti vorrebbero fare! L’inquietudine che, inconsapevolmente, porta a risoluzioni insperate.
Ho gradito molto il racconto.
Angela
Un’altalena tra eventi dentro ed eventi fuori che suggerisce efficacemente l’emozione del personaggio e quanto si muove con lei. Un percorso breve, ma incisivo, nella confusione capace di svelare. Forse meno punti accapo. Una buona penna, complimenti. LaSommaDeiPunti