Premio Racconti nella Rete 2014 “Giornate romane” di Flaminia Marinaro
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014L’enorme atrio della Galleria d’arte moderna aveva un’aria pulita ed invitante.
Alise vi entrò con passo deciso. Non c’era nessuno, e lei sprofondata in una grossa poltrona al centro della sala sonnecchiava lasciando che i suoi pensieri volassero da un’immagine all’altra reinventando come in un mosaico, stralci di vita a volte a colori altre in bianco e nero.
Era sola, nel silenzio asettico di quelle immense sale incastrate l’una nell’altra dove perdersi era impossibile.
Ci restò almeno due ore mentre gli inservienti facevano le pulizie.
Si sentiva stordire dall’odore candido dei detersivi e, il brusio lontano dei loro discorsi le faceva compagnia.
Quando cominciarono ad avvicendarsi i gruppi di visitatori Alise si aggregò. Le parve di riconoscere in quei volti, vecchi amici del passato che forse non c’erano più.
Erano buffe quelle “gentili” e infagottate signore mentre si davano un gran da fare per fare bella figura con il leggendario Prof.Bilbao, tutte infarcite di colti commenti, imparati a memoria per l’occasione.
“Il nitore dell’immagine appare come per miracolo in una nebbia di colori scomposti in una fredda mattina belga, forse all’alba di una sconfitta” tuonò una vecchia signora con fierezza.
“E’ esatto, complimenti”! replicò il professore mentre quella ammiccava trionfante gonfia come un tacchino il giorno del thanksgivingday!!!!
Ma Alise in quelle parole lo riconobbe. Il ponte di Waterloo, quello vero, che era lì maestro a rammentarle quante volte c’era stata e con chi.
Quando se ne andò era pomeriggio avanzato e l’aria si era rinfrescata.
Si strinse nel cappotto di piuma d’oca che le dava un’aria un pò goffa, infilò il cappellino e scivolando via, inosservata così come era entrata, sgoiattolò verso la fermata dell’autobus.
Era davvero un tipo speciale, bizzaro, spregiudicato. Un esile corpicino, i capelli scuri e ordinati con la riga da una parte, mai un filo di trucco.
Spesso indossava contrariamente alle ultime tendenze le sue comode scarpe da ginnastica sotto vestiti classici e sobri. Era affascinante per questo.
L’autobus era pieno. Le toccò un posto in piedi, compressa tra una grassa signora impellicciata con un cappello rincagnato in testa che emanava un olezzo nauseante ed uno studente dall’aria emaciata che si ritirava a casa carico di libri e di delusioni.
“Mi scusi tanto” le disse la donna con aria gentile mentre la strattonava per una brusca frenata.
“Non importa” rispose Alise stranamente infastidita.
Scese dall’autobus e ne prese un altro, questa volta era vuoto, che meraviglia.
Ripetè due volte il giro della città i cui contorni morivano gradatamente nel grigiore del crepuscolo.
Quando tornò a casa erano le nove di sera, faceva freddo, Alise era intirizzita, le mani screpolate.
Un’altra giornata era volata via piena di attimi e di sguardi e tanto le bastava per essere felice.
Calava il sipario del giorno e si alzava quello della sera.
Le aprì Katherine con la solita aria preoccupata e irritante.
Scorbutica e rimbrottante come sempre ma sempre amabile.
Non cambiava mai. Era la sbiadita memoria del tempo che passa, con fatica.
Incorniciata nel grembiule bianco e nella crestina inamidata servì con grazia le sue squisite uova in crosta di pane. Le preparava a Brighton per Alise bambina quando andava a trascorrere le vacanze estive dai nonni.
Katherine c’era già, Alise non ricordava un’istante della sua vita senza di lei.
E Brighton, la sua Inghilterra mai dimenticata e mai rimpianta, neanche mezza volta.
Quando Roma le offriva lo spettacolo di un ponte illuminato o il viale di Castel Sant’Angelo, o un tramonto sui vecchi e tremolanti tetti, di quelli che aveva visto migliaia di volte e centinaia dai suoi meravigliosi autobus vuoti sempre con nuovo stupore, le si gonfiava il cuore nel petto come se avesse preso una cotta.
A Roma, si ripeteva, nulla è lasciato al caso.
Tutto questo era Alise, dal passo veloce e sicuro, dai modi garbati e composti e dalle strane manie o private matterie, solo sue e in fondo anche un pò invidiabili.
Oh fragile Alise, che soltanto Katherine sapeva capire fino in fondo e che ogni giorno maternamente sgridava. E la sera l’aspettava in piedi, in ansia, come si aspetta una figlia.
Imprudente e cara la sua bambina che a 80 anni ancora viveva la sua primavera e che, mentre gustava le delizie di una ghiotta cena già sognava avidamente quello che il giorno seguente le avrebbe regalato.