Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Racconti nella Rete 2009 “Route 60” di Andrea Pasqualotto

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009

Solo mettendo in viaggio la propria anima si evita che essa, annoiata, abbandoni il proprio corpo.

Questo è senza dubbio il primo passo.

Penso a questo quando, annunciata da un sobbalzo dell’auto, mi si presenta la Route 60.

È sorprendente come il filo dei pensieri una volta messo in moto riesca spesso a proseguire di moto proprio, principio d’incendio in un mare di paglia.

Cerco oltre il finestrino la causa dello scossone e penso che il primo passo non basta, perché una volta in viaggio è necessario trovare la propria casa nel posto in cui ci si trova, anche se quel posto è la Route 60, e fin dove si posa lo sguardo non c’è nulla che possa far presagire una presenza umana, ad eccezione della strada naturalmente.

Questo può essere considerato il secondo passo.

Poi c’è il terzo passo, il più difficile.

Troppo difficile, lo ignoro, lo rifiuto, lascio il filo dei pensieri, e torno in Islanda.

La Route 60 si stacca discreta in un pomeriggio di maggio, maggio islandese, sospeso, trascinato dall’estate e trattenuto dall’inverno.

La Route 60 si stacca a sinistra, una trentina di chilometri dopo Borgarnes, e dal primo metro inizia a galoppare.

Sono sdraiato sui miei pensieri quando l’auto piega a sinistra.

La strada mi scuote, mi rialzo e mi ritrovo sul sedile posteriore della piccola auto presa a noleggio.

Penso di aver frainteso il segnale stradale, perché una strada così non può andare lontano, troppo sottile, fragile, appena una traccia nel terreno sgombro da neve.

Da subito la strada non si cura dei miei dubbi, e galoppa, anche se sono certo che presto, oltre la collina, apparirà una fattoria.

Le pietre scure, taglienti, che corrono tra la ruota e la carrozzeria, a pochi centimetri da me, vengono scagliate lontano insieme alla nuvola di polvere che indica chiaramente, da decine di chilometri di distanza, il passaggio di un auto.

Le dimensioni della nuvola dipendono da tre elementi, ormai l’ho imparato.

Le dimensioni dell’auto, la sua velocità, il numero di giorni da cui non piove, che, in Islanda, non sono in genere più di un paio.

Nessuna fattoria nell’orizzonte che si allarga mentre saliamo.

La strada ora galoppa senza controllo, galoppa e continuo a non capire, galoppa con violenza verso il crinale, lo raggiunge, lo supera.

Prende slancio, si getta con furia rettilinea di traverso al pendio, poi scarta a sinistra, punta la valle, inciampa in una buca, si riprende, accelera.

Ora sono rigido contro lo schienale, divoro con tutti i sensi lo spazio attorno, in apnea, per 340 chilometri, due giorni, che sembrano, finalmente, poter risolvere una vita.

E invece no, e più la Route 60 galoppa, tesa come un nervo, più mi assale una sensazione densa, oleosa, che mi opprime.

Poi capisco.

Con lo sguardo cerco conferma nelle forme che scorrono fuori dal finestrino.

La strada riprende a salire, regolare, tagliando netto il pendio, accompagna un torrente carico della neve che, richiamata dal tepore primaverile, riprende diligente la via del mare.

Il ritmo è rotto solo da qualche ampio tornante, da stanche chiazze di neve coperte da un velo di polvere nera, come se la terra volesse riprendere possesso di quello spazio.

Il paesaggio assume un’aria familiare, quasi alpina, e la sensazione di disagio svanisce di colpo, avvolta dalla luce accecante della distesa bianca che sembra inghiottire la Route 60.

La strada ora è un graffio nero sulla superficie bianca, e scende mansueta.

La vedo scegliere una stretta gola, ma non riesco a calcolare la distanza, così provo a prendere come riferimento dei grossi massi lungo il pendio, ed è in quel preciso istante che mi ricordo la strana teoria di quel pittore incontrato pochi giorni prima, e capisco.

La mente umana è perennemente divisa fra l’anelito incessante, primordiale, verso la scoperta, la novità, il movimento, e la necessità di stabilità, di riferimenti, della pietra al limite del campo. Questa lotta intestina non ha mai pace, perché entrambi sono bisogni primari.

Così, costantemente, la nostra anima cerca, nel nuovo, qualcosa che ricordi la vita quotidiana, la propria casa, perché solo in quel modo riesce a salvarsi.

Stesa lungo la costa, la strada ora prende fiato, si avvicina ad un grumo di case sparpagliate come naufraghi scagliati sulla riva da una potente mareggiata, le accarezza, si allontana.

Non c’è niente di più universale dei panni stesi al vento ad indicare la vita che pulsa in una casa.

Penso alle persone che vi abitano, che considerano quel luogo sperduto la propria casa, magari il luogo in cui sono nati, e poi penso a quelli che di lì vorrebbero andare via, a quelli che ogni sera scrutano l’oceano sperando di scovarvi la forza di mettersi in cammino, di cercare altrove la propria casa. Infine penso a quelle persone la cui anima, ormai stanca, già da tempo ha imboccato la Route 60 verso sud, oltre quel luogo ameno, verso la città.

Che succederebbe se la mia anima, improvvisamente, uscisse dall’auto, si sedesse sulla grigia spiaggia vulcanica, si sdraiasse, e decidesse che per lei, quella è la propria casa?

Il terzo passo, quello più difficile, quello che può risolvere o condannare una vita, una volta in viaggio, è fermare il proprio corpo nel posto scelto dalla propria anima.

Ci sgranchiamo le gambe per qualche minuto nel parcheggio della stazione di servizio spazzato dal vento.

Raccogliamo distrattamente qualcosa da mangiare dagli scaffali, paghiamo, nemmeno una parola, il vento artico raffredda anche il carattere di questa gente, a accoglierci solo il suono monotono del lettore ottico alla cassa.

Da sopra la spalla osservo il gregge colorato allontanarsi in basso, cerco inutilmente sulla sabbia bagnata tracce di un passaggio.

Che succederebbe se la mia anima si fosse fermata laggiù? Avrei la lucidità per capirlo? Il coraggio per accettarlo?

La strada si stacca da terra, ora siamo circondati dall’azzurro, il cielo, come solo può essere un cielo spazzato dal vento, l’acqua limpida, profonda, del fiordo.

Nel sole pieno di mezzogiorno è difficile distinguere il sopra dal sotto.

Il viaggio diventa una genesi.

Dio fece il firmamento e separò le acque, che sono sotto il firmamento, dalle acque, che sono sopra il firmamento, poi raccolse in un solo luogo le acque che stavano sotto il cielo, chiamò l`asciutto terra e la massa delle acque mare.

Forse questo spinge la nostra anima a viaggiare, il desiderio di ritrovare il principio.

La Route 60 mi strappa le certezze sedimentate nella memoria, mi culla, mi illude nelle aspettative.

È solo una strada, mi ripeto.

È solo una strada?

Secondo la mappa la Route 60 termina a Isafjordur, la capitale della regione dei fiordi occidentali.

Di lì, pochi chilometri prima della città, piegheremo a est, imboccheremo la Route 61, che ci porterà verso la costa settentrionale dell’isola.

Mi abbandono alla corrente, ormai in balia di una strada che ho smesso di capire già da diverse ore e sorrido, pensando a quel giovane pittore svizzero incontrato pochi giorni prima, nell’ostello di Grundarfjordur, che non riesce a disegnare le montagne dell’Islanda perché prive del senso della proporzione offerto dagli alberi, riferimenti per la mente più che per il pennello, fondamentali, ad una persona nata e cresciuta nel cuore delle Alpi, per rendere questa terra cruda la propria casa.

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