Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Racconti nella Rete 2009 “Alla finestra” di Luca Pareschi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009

Quando torno a casa dal lavoro mi piace fermarmi davanti alla finestra di Francesca. Guardo dentro, sperando ci sia lei e non uno dei suoi coinquilini. Si vede una cucina dal soffitto alto, con alle pareti manifesti, diversi ogni volta che passo. Spesso c’è un gran disordine, come in tutte le case di studenti: anche se hanno circa la mia età, Francesca ed i suoi coinquilini non sono ancora laureati. La finestra cui mi affaccio è alta e protetta da inferriate arrugginite, come tante altre nei palazzi storici del centro. Quando Francesca è impegnata coi suoi libri le sorrido senza parlare. Lei si gira per un attimo verso di me, ma fa finta di non vedermi; imbronciata, continua a studiare. E’ il nostro gioco.
Torno sempre a casa a piedi dal lavoro. Anche se mi sono comprato da poco un’automobile, preferisco camminare sotto i portici della mia città, attraversando i luoghi che frequentavo da studente. La sera, quando ho meno fretta, passo vicino ai gruppi di giovani nelle piazze o davanti ai locali. Mi sembra di essere ancora uno di loro. Sono anche vestito nello stesso modo, coi jeans e le magliette di cotone. Solo che io mi sono cambiato nel bagno dell’ufficio subito prima di uscire, lasciando la cravatta su tavolo, davanti al computer con cui ho passato le dodici ore precedenti.
Cammino e penso agli amici che frequentavo all’università: chi è rimasto in Italia fa un lavoro precario e sottopagato, spesso senza prospettive. Chi è andato via magari sta meglio, anche se è lontano da legami ed affetti. Io invece ho un lavoro sicuro e pagato bene: due settimane dopo essermi laureato stavo già firmando il mio primo contratto. Stavo ancora insieme a Sara, prima che lei partisse. Ogni tanto lei mi torna in mente, quando sono in ufficio. Ma basta concentrarsi di nuovo sulle tabelle di excel. Sto divagando, mentre stavo parlando del lavoro: un lavoro di consulenza, invidiato da tanti, il massimo per fare carriera. Carriera?
Una delle volte in cui sono uscito dall’ufficio quasi a mezzanotte ho sperato con violenza che Francesca fosse in casa: volevo dimenticare nei suoi occhi la mia giornata, ordinariamente terribile. Tutte quelle ore al lavoro mi avevano lasciato un senso di vuoto ed inutilità: quando mi sono alzato dal tavolo, ultimo fra i colleghi, non andavo in bagno da ore. Mi sentivo in bocca l’alito di un vecchio.
Ero uscito dall’ufficio in fretta, senza nemmeno cambiarmi, ma quando sono arrivato alla sua strada ho sentito musica e rumore di festa provenire dalla finestra. Ho guardato dentro, rimanendo nell’ombra. C’erano i coinquilini, i volti ridenti; ballavano in mezzo a gente che non avevo mai visto. Poi è entrata lei, ancora più bella di come me la ricordassi. I capelli lisci e neri, tagliati corti in un caschetto obliquo, una maglietta di cotone su una lunga gonna di lino a righe colorate. Dalla mia posizione non vedevo i piedi, ma ero sicuro che avesse i sandali di cuoio, i miei preferiti. Ho fatto in tempo a sentirla chiamare per nome da un ragazzo con la barba, poi me ne sono andato via: non era la sera giusta per una festa piena di sconosciuti.
Francesca studia scienze politiche. Quando ha un esame appende al muro della cucina una specie di calendario, fatto da lei con i cartoncini colorati; le serve per segnare il tempo che le rimane per studiare. Dopo l’esame, al vederla tornare a casa, un’infinita tenerezza mi fa sciogliere, mentre la vedo accigliata segnare il voto su quel che resta del calendario e poi mettere via tutto, in una grossa scatola blu.
Mi chiedo spesso cosa starei facendo se, anziché a ingegneria, mi fossi iscritto ad una facoltà umanistica. Se avessi previsto tutto questo, per questi soldi e questa vita in un palazzo di vetro, non avrei fatto queste scelte. E invece continuo, come sempre, a fare il primo della classe: al lavoro si fidano di me e mi danno responsabilità. Mi ritengono bravo e puntuale, così come bravo e studioso ero all’università, mentre gli amici passavano più tempo fuori insieme. Ho scelto la facoltà difficile, quella che dicevano mi avrebbe regalato un futuro tranquillo. Ma non può essere tutto qui. Mi manca un sogno da inseguire.
E gli amici sono tutti lontani, solo io sono rimasto qui. Anche Sara, ormai, non la sento da mesi. Cerco di non pensarle, ma è doloroso il pensiero di qualcun altro accanto a lei. Mi torna in mente anche mentre cammino verso casa di Francesca.
Francesca che fino a stasera era la mia unica consolazione, cui pensare durante le ore inutili, passate in riunioni con manager esaltati. La sola gioia, mentre servo solo a fare arricchire la società di consulenza per cui lavoro.
Quando, come tante sere negli ultimi mesi, mi sono affacciato alla sua finestra e le ho sorriso, cercando di concentrare in un’espressione senza parole tutta la mia muta speranza lei, per la prima volta, mi ha parlato. “Vattene! Vattene via! Non voglio vederti più a sbirciare dentro la finestra della mia cucina! Non so chi sei, non so perché te ne vieni qui tutte le sere a guardarmi, ma ho già avuto fin troppa pazienza! Ho fatto finta di non vederti nascosto nel buio: speravo smettessi, ma ho paura di te… Vai via e non venire mai più!”
Non avevo ancora avuto il coraggio di rivolgerle la parola.

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