Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Racconti nella Rete 2009 “Sordità” di Luca Pareschi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009

A volte, quando le persone mi parlano, divento sordo.
La prima volta che mi è successo ero bambino. Dovevo aver fatto qualcosa di male – non ricordo cosa – perché mio padre mi stava sgridando: era in piedi di fronte a me ed io lo guardavo in faccia, con la testa inclinata verso l’alto. Stava urlando quando, improvvisamente, il suono della sua voce e quello della televisione accesa scomparirono, come se le mie orecchie avessero smesso di funzionare.
Ero troppo spaventato per le grida e per la sordità improvvisa per fare qualcosa: rimasi fermo com’ero, a guardare verso l’alto lui che gridava. Fissavo la sua faccia rossa, i lineamenti deformati dall’ira e la bocca che si spalancava nell’urlo. Vedevo i denti e le tonsille; la foga gli faceva gettare schizzi di saliva tutto intorno. Le braccia si agitavano nell’aria disegnando strane figure. Poi smise e se ne andò lasciandomi solo, senza nessuno cui raccontare quello che era capitato. Mi chiusi in camera, stretto sotto le lenzuola: poche ore dopo l’udito tornò, come era scomparso.
Questa strana malattia non mi ha più abbandonato. Possono passare lunghi periodi senza che riappaia, ma quando spero di essermene liberato torna di nuovo. E poi credevo fosse solo la paura, a scatenarla, ma non è così.
Ero sdraiato accanto a quella ragazza bionda: eravamo usciti insieme e poi avevamo fatto l’amore nella sua stanza, fra gli scaffali di libri dalle copertine bianche ed i tavoli pieni di matite colorate. Stavamo abbracciati e lei giocava con la mano, disegnandomi lettere sulla pancia. Fu meraviglioso, finché non diventai sordo. Lei mi parlava, ma io non riuscivo a leggerle le labbra, come pure avevo imparato a fare per non far scoprire la mia strana sordità. Passarono molti minuti prima che tornassi a sentire, minuti nei quali la sua espressione era diventata prima stupita e poi arrabbiata. Parlava troppo rapidamente perchè capissi cosa diceva, così rimanevo sdraiato e silenzioso senza riuscire a reagire. Cercavo solo di prenderle le mani, per creare un contatto e cercare di calmarla, ma lei si divincolava, agitandosi sempre di più. La sua fronte si era corrugata in tre onde parallele, le sopracciglia erano tese. Quando tornai a udire si era messa a sedere, coprendosi il seno con le braccia. Mi stava dicendo di andarmene. Provai a spiegarle quello che era successo, ma fu inutile. Urlava. Urlava di andar via e di non prenderla in giro. Gridava che siamo capaci solo di scopare, poi di scomparire. Io le dicevo che no, non era come credeva, ma lei mi rispose che se mi fosse importato di lei non sarei rimasto muto e sdraiato, insensibile alle sue parole. Vorrei davvero averle sentite.
Mi sono rivolto a medici e specialisti, che mi hanno ascoltato parlare della mia sordità. Mi hanno visitato e prescritto esami, ma nessuno ha trovato qualcosa che non andasse. Camici bianchi e baffi grigi. Denti ingialliti e tavoli di legno scuro. Anche psichiatri e neurologi mi hanno detto che sembra tutto a posto, nessuno ha saputo fare qualcosa per me.
Sono un ricercatore: le mie giornate trascorrono fra articoli scientifici, test di laboratorio e schermi di computer. Sono quasi sempre da solo e non mi devo preoccupare per la mia sordità intermittente. E’ un lavoro tranquillo e sereno, quando non devo tenere lezione. Lo scorso anno mi hanno assegnato un corso per gli studenti del primo anno: sarebbe affascinante, non fosse per la mia malattia. Quando entro in aula gli studenti sono già seduti ad aspettarmi: il volume delle chiacchiere diminuisce e io comincio a riempire le lavagne di formule. E’  bello, finché rimango normale. Se divento sordo durante la lezione cerco di far finta di nulla; solo, mi giro in continuazione per capire se qualcuno mi abbia chiamato per rivolgermi una domanda. E se capita, è la cosa peggiore. Devo farla ripetere per cercare di capire le parole, ma spesso non riesco, specie se proviene da uno studente delle ultime file. Allora non so più cosa fare e finisco col borbottare qualcosa sulla banalità della domanda, che non merita una risposta. Al loro posto, mi detesterei.
Nessuno crede alla mia sordità. Eppure basterebbe che le persone mi guardassero con più attenzione, quando parlano con me. A volte vedrebbero i miei occhi farsi più grandi, come attraversati da un improvviso stupore, e poi, rapidi, puntare verso le loro labbra. Potrebbero capire cosa si nasconde dietro il mio improvviso concludere le conversazioni con scuse frettolose. E invece mi credono strano. E mi lanciano occhiate di scherno, mentre mi allontano.
Stamattina, però, è successo qualcosa di inaspettato.
Camminavo al parco col mio cane. Facevo attenzione a mettere le suole delle scarpe blu solo sul sentiero grigio, senza pestare l’erba. Fumavo un sigaro cubano, un Vargas, mentre seguivo con lo sguardo la coda bianca e marrone spuntare da un cespuglio. Era quasi ora di pranzo ed il parco che avevo scelto si era svuotato dalla confusione del mattino.
Una ragazza carina mi è venuta incontro e si è rivolta a me. Mi ha chiesto qualcosa, ma a metà della frase sono diventato sordo. Mi ero distratto a guardare la sua maglia di cotone leggero, a righe bianche e verdi, e la lunga gonna di lino colorato. Aveva capelli corti, ma vicino all’orecchio sinistro una treccia sottile arrivava fino al collo. Quasi all’estremità della treccia c’era un piccolo orecchino ad anella, di colore argentato. Non avevo riportato abbastanza in fretta il mio sguardo sulle sue labbra e così, senza aver capito cosa volesse dirmi, ero rimasto a fissarla negli occhi neri. Lei aspettava.
Io la guardavo sorridendo, con espressione interrogativa.
Immaginavo che se ne sarebbe andata via infastidita; invece ha preso fuori dalla borsa a tracolla una piccola agenda nera ed ha scritto in grande “accendino”, sorridendomi. Subito ho ricominciato a sentire e le ho dato i fiammiferi che avevo con me.
Abbiamo attraversato il parco e la città, camminando insieme per tutto il giorno. Le ho raccontato di me e della mia strana sordità. Lei mi ha mostrato il suo neo a forma di stella. Non ha riso di me.
Siamo insieme, a casa sua. Stiamo preparando la cena.

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