Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2014 “Le luci della sera” di Maura Bertolozzi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014

Il giorno volgeva al suo declino, ma nell’inoltrata primavera le sere sono molto luminose, camminavo quindi nella luce malgrado il cielo fosse denso di nuvole e piovigginasse appena-appena.

Nel grigiore diffuso, erano gli alberi da frutto in fiore che, come pennellate d’acquarello, elargivano (qua e là) qualche tenera nota a quel paesaggio suggestivo e aspramente affascinante.

Avevo deciso di risalire a piedi la profonda valle apuana, per godermi ogni frazione di quel tempo senza tempo, per centellinarne ogni più piccola emozione: il cammino assumeva così l’intensità d’una meditazione, oscillante tra misticismo ed eros.

La strada (scarsamente transitata) prese a montare in un susseguirsi di tornanti, ma le mie gambe si lasciavano dietro chilometri di percorso con assoluta leggerezza mentre, ogni tanto, nel cuore riaffiorava il ricordo del nostro incontro:

l’appena accennato sciabordare del mare quieto, la voce alta dei gabbiani, le cabine chiuse, il rosso intenso del tramonto e le Apuane (rosee in quel momento),  che come me contemplavano silenti.

Già, me ne stavo lì, sulla spiaggia invernale, avevo guidato chilometri per arrivarci: forse per cercare risposte, forse per placare ansie, forse per ritrovarmi, forse per ritrovare qualche traccia del mio passato, forse solo per fare una passeggiata in compagnia di me stessa…; quando ad un tratto qualcuno mi chiese:

–  Speri nel vert rayon?

La voce mi giunse da dietro, calda-bassa-particolare. Ebbi un sussulto; un brivido mi attraversò il corpo.

Mi voltai, incrociai per qualche istante lo sguardo velato da una leggera ironia di quello sconosciuto che stranamente mi sollecitava una sensazione di non ben definita familiarità.

Avvertii un po’ goffamente il bisogno di atteggiarmi a  dura e strinsi nelle tasche i pugni serrando più forte le mascelle, presi a scrutare il tipo dal capo ai piedi e di nuovo su, fino a fissarlo negli occhi (accidenti!… Quanto erano verdi e inconsueti).

Spero in cosa? domandai a mia volta.

Allora mi venne più vicino e come se ci conoscessimo da sempre iniziò  a parlarmi (con fare accattivante e un po’ irriverente) della teoria del vert rayon, appunto, secondo la quale fissando con attenzione il sole che tramonta, non appena questo scompare all’orizzonte, potrebbe seguire un lampo che intensamente accende di luce verde, per qualche attimo, tutto quello sfondo che appena prima appariva infuocato.

E’ la prima volta che sento di questa teoria! replicai con atteggiamento meno difensivo; anzi, piuttosto incuriosita da questo strano personaggio, piombato lì ad un tratto, mentre raccolta in me, mi crogiolavo in solitudine.

Seguì una breve pausa e mentre rimanevo a guardarlo con fare interrogativo, il volto dell’uomo  s’illuminò sorridendo, quindi  mi dette la mano destra in segno di saluto ed esclamò:

A proposito: mi chiamo Ernesto! .

Gli sorrisi a mia volta dandogli la mano, ma non appena me la sentii stringere nella sua, nuovamente sussultai…: chi era dunque costui?

Fissai a lungo gli occhi verdi e ridenti che a loro volta mi guardavano sicuri, poi, quasi con imbarazzo mi liberai da quella stretta calda e suadente.

Ero confusa…! E pensare che poco prima, avevo creduto d’aver fatto un po’ di chiarezza tra le cose della mia vita e di aver ristabilito determinati equilibri interiori!

Ernesto prese a dirmi, che aveva notato il modo assorto col quale, già da un pezzo, me ne stavo da sola a contemplare l’orizzonte del mare e del cielo, aggiungendo poi, che proprio questo mio atteggiamento l’aveva esortato ad avvicinarsi…

Mi spiegò di quei dettagli, che ti raccontano subito qualcosa di qualcuno, delle percezioni che ti fanno intuire d’essere sulla stessa lunghezza d’onda d’uno sconosciuto…

Parlando, diceva cose assolutamente nuove (almeno per me) e restare ad ascoltarlo era davvero coinvolgente!… Mi pareva quasi d’essermi riprodotta all’improvviso in una dimensione diversa e affascinante…: quella che, probabilmente, apparteneva a lui e al suo mondo.

Il sole, intanto, era tramontato oltre la linea dell’orizzonte e ci stava avvolgendo nella luce più languida del crepuscolo che, a poco – a poco, s’affievoliva sempre più.

Allora, imitando il suo fare ironico, gli feci notare che (almeno per quella volta) il vert rayon non s’era visto!

Per tutta risposta (fattosi serio) Ernesto si accusò di avermi distratta, quindi continuò a spiegare, che per riuscire a vedere il vert rayon, non bisogna per alcun motivo staccare lo sguardo dal sole che tramonta, poi (di nuovo con quel fare sicuro e vagamente irriverente) aggiunse che forse poteva farsi perdonare, offrendomi qualcosa di caldo in un locale prossimo alla spiaggia, considerato che ormai era quasi buio e aveva preso a far freddo.

Così ci ritrovammo seduti uno di fronte all’altra,… mentre avvertivo le analogie che tendevano a legarci e mi perdevo nella sensazione (forse condivisa) di trovarmi davanti qualcuno, che in qualche modo avevo dentro da sempre e che nel mio intimo sarebbe continuato a stare, comunque fosse andata da quel momento in poi, dopo quell’improbabile incontro che stava scovando fin dall’inizio!…

Ma il tempo scivolò via come sabbia tra le mani! Infatti era già molto tardi quando ci alzammo per uscire: Ernesto mi accompagnò fino all’auto che avevo parcheggiata non distante da lì e, prima che vi salissi, mi prese le mani tra le sue, se le portò all’altezza delle labbra per porvi delicatamente un bacio. Poi, quasi sottovoce disse:

Ti cercherò.  Appena ritorno, verrai su a casa mia .

Istintivamente m’avvicinai per baciargli le labbra, quando (sebbene in modo garbato) lui mi fermò, sorrise, quindi cercò di spiegare:

Ora, preferisco lasciarti così…   stava per dire altro ma s’interruppe,  poi aggiunse soltanto:

Aspettami!   dopodiché s’allontanò e sparì nella notte.

 

(Ernesto era uno scultore e il giorno successivo sarebbe partito per New York, dove si recava per lavoro e dove sarebbe rimasto per tre mesi, quindi non l’avevo più rivisto, eravamo comunque rimasti in contatto e, sebbene virtualmente, avevo pure visitato quella galleria d’arte americana, dove avevano allestito una sua mostra. Poi, finalmente era arrivato il giorno del suo rientro e, puntualmente, mi aveva cercata per invitarmi a raggiungerlo in quel piccolo paese nascosto sui monti apuani!).

 

Eccomi dunque che lo andavo ad incontrare! Stavo risalendo ormai gli ultimi tornanti che mi separavano dalla mèta.

Finalmente, svoltata un’ennesima curva, il paese mi apparve all’improvviso, proprio lì di fronte, vicinissimo in linea d’aria.

Nel silenzio di quell’atmosfera impalpabile e suggestiva, il piccolo centro pareva irreale: un grappolo di case con i tetti per lo più in pietra di lavagna, rannicchiato e sornione alle pendici dei rocciosi colossi apuani, accuratamente nascosto alla quotidianità chiassosa e confusa.

Non saprei dire, quanto rimasi ferma a contemplarlo, poi (secondo le indicazioni fornitemi da Ernesto) cercai tra le abitazioni situate nella zona più alta del paese, la settima da destra. Scivolandoci con lo sguardo la vidi: era casa sua!

Riprendendo a camminare non distolsi gli occhi da lì: per la sua posizione, essa, sovrastava il resto dell’abitato e da lassù mi guardava, emanando luce calda e invitante attraverso le sue otto finestre (due sotto e due sopra: tanto sul lato frontale, quanto su quello laterale).

Mano a mano che procedevo, l’immagine del piccolo-fantastico borgo diventava sempre più grande e vicina, mentre (uno ad uno) si stavano accendendo tutti i suoi interni, così come i lampioni, che da là presero ad ammiccarsi, fino a che, fu solo una profusione di luci!

Finalmente raggiunsi il paese!… L’emozione si fece più forte accelerandomi il ritmo del cuore.

Risalii ancora per una via lastricata, che permetteva di scoprire un susseguirsi di graziosi scorci, di vicoletti e porticati ma, quando solo gli ultimi metri mi separavano da lui, mi fermai di nuovo: osservai che in cima ai gradini esterni della sua casa, la porta d’ingresso era socchiusa e lasciava filtrare fuori dei riflessi luminosi e guizzanti (là dentro c’era forse un caminetto acceso?).

Continuai ad avanzare. Iniziai dunque a salire adagio quei gradini.

Alzando gli occhi alle finestre del piano superiore, intravidi i soffitti dalle possenti travi di legno scuro, quindi abbassai lo sguardo osservando che, dall’interno di quelle del piano inferiore, proveniva il bagliore tremulo di alcune candele accese (poste proprio in prossimità dei vetri), inoltre s’indovinava un’unica vasta cucina, dove trovava posto la grande cappa d’un camino con appesi oggetti in rame, una robusta credenza di legno (dentro la quale spiccava del vasellame bianco), un’antica piattaia… ed altri oggetti che non riuscivo a distinguere bene.

Rimasi immobile di fronte alla porta socchiusa, quasi m’eccitava il giocare a fare l’intrusa e così, ancora indugiando, sbirciai dallo spiraglio: il pavimento era di antichi mattoni rossi in cotto. Sporgendomi ancora un po’, vidi anche il lembo di un tappeto di lana vivacemente colorata, … attesi tendendo l’orecchio. Non avvertivo alcun rumore provenire da dentro…, infine feci un respiro profondo… e finalmente… con fare deciso: entrai!

Ernesto, che seduto presso il rosseggiare d’un grande camino acceso stava leggendo, si tolse gli occhiali incrociando il mio sguardo, posò il libro e s’alzò (passandosi una mano tra i capelli).

Senza smettere di guardarlo, distrattamente chiusi la porta dietro di me e gli andai incontro: ci trovammo vicini, in silenzio, assolutamente persa nei suoi occhi, incapace di pronunciare alcunché (mentre l’emozione mi faceva tremare).

Forse nascevo di nuovo, proprio in quel momento, nell’intimità di quello spazio dove ardeva un focolare, in quella stanza con le finestre chiuse sulla notte, in quella casa che aveva lasciato fuori le ansie, le paure ed altri fantasmi.

Nel suo sguardo, adesso, non scorgevo quel velo d’ironia che ben ricordavo, anzi, mi sentivo scrutata dentro con assoluta e profonda intensità!… Poi, Ernesto, mi attirò a sé e mi strinse fra le braccia, allora chiusi gli occhi abbandonandomi al calore di quel gesto e …, quando le sue labbra presero a sfiorarmi delicatamente il collo, riuscii ancora a percepire che, in un sussurro disse:

– “ Era da tanto tempo che t’aspettavo! .

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Loading

Lascia un commento

Devi essere registrato per lasciare un commento.