Premio Racconti nella Rete 2014 “Giorni felici” di Luigi De Rosa
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Ore 9:00 Stazione Circumvesuviana
E’ in partenza dal binario 3 l’elettrotreno 952FF , direttissimo per Sorrento!
E’ in partenza dal binario 3 l’elettrotreno 952FF , direttissimo per Sorrento!
“Finalmente!” pensò il ragazzo “Roma-Napoli in poco più di due ore e mezza e poi inchiodato qui nella Circum a pregare che San Gennaro ci faccia partire, che non ci siano incendi o scioperi selvaggi”.
Osservò la vecchia, aveva tutta l’aria di un mazzo di chiavi tremolanti. L’aiutava una badante sui quaranta cinquant’anni, sicuramente straniera; tratti slavi quelli del viso,duri e senza poesia, come quelli di una statua di ghiaccio, capelli biondi portati cortissimi, né bella né brutta,un tipo insignificante.
La vecchia invece indossava un tailleur rosa e blu con un cappellino a tamburello,era un abito di ottimo taglio, sicuramente acquistato in qualche Boutique del Corso Italia a Sorrento, di quelle che si possono permettere solo i ricchi sfondati. Francesco allungò il bracciò e liberò il sedile che aveva di fronte della sua ventiquattrore, regalo di laurea, appesantita dai codici per il concorso in Magistratura. Si mise la valigetta sulle gambe, la Signora lo ringraziò cortesemente e si sedette davanti a lui,mentre la badante occupava il sedile di fianco. Il treno ripartì, Francesco diede un’occhiata distratta fuori dai finestrini,calcolò almeno un’ora abbondante per Sorrento, fuori correvano via palazzoni grossi e grigi, con quelle miriadi di inferriate alle finestre che trasformavano gli appartamenti in tante piccole celle. “Le mie prigioni” pensò, così distrattamente. “Chissà i sacrifici che uno fa per comprarsi una casa. Un posto tranquillo dove vivere sereno e poi per goderselo, lo deve riempire di sbarre, se no, un giorno o l’altro, ti ci trovi qualcuno dentro a rovistare nella tua vita a portarsi via i tuoi ricordi. Sì,pensò Francesco accompagnando l’affermazione con un movimento del mento quasi rispondesse alla domanda di un estraneo, è questa la sensazione più brutta che ti assale,quando scopri che son venuti i ladri. Non è tanto il danno economico, quanto la sensazione di privasi stuprata.”Ahi, la testa”.Francesco ,che si era sistemato la valigetta sulle gambe, si portò la mano destra sul naso e con il pollice e l’indice esercitò una leggera pressione alla radice del naso,avvertì subito un leggero sollievo. Rimase così con gli occhi chiusi per un po’, lasciandosi cullare dallo scotio del treno.
Dietro di lui degli studenti si scambiavano appunti di statistica, una ragazza si lamentava dell’affollamento che c’era nell’aula durante l’ora di Storia Contemporanea e dell’assistente, Ruotulo, quello pelato, che all’esame godeva nel metterti in imbarazzo con domande bastarde. Francesco, sospirò, pensando che quel tempo era passato ormai per lui. Gli esami universitari?, una cazzata, basta che parli e l’esame te lo danno e dopo… , già dopo! Si passò la mano fra i capelli lunghi. Farla finita. Era la prima volta che gli veniva in mente una simile decisione. Anzi no, da ragazzino, tredici anni, la depressione gli era saltata addosso e non l’aveva lasciato per i primi due anni di liceo. Aveva convinto persino la madre a fissargli un appuntamento da uno strizzacervelli. Poi così come gli era venuta , era sparita, in barba a Freud e a tutta la Psicoanalisi. Ma adesso. Adesso era diverso. Già, il bambino prodigio, il più bravo della classe alle medie, al liceo , laureato a 22 anni cum laude,l’orgoglio di mamma e papà che nella merceria raccontavano ai loro clienti più in vista che presto ci sarebbe stato un notaio in famiglia, aveva fallito. Non sarebbe mai diventato un magistrato. Bocciato per la terza volta: fine dei sogni. Il treno si fermò. Francesco aprì gli occhi, dall’altra parte dei finestrini vide un muro umano di ragazzini. I loro visi stipati sui finestrini come i loro sogni, stanchi e cattivi, disposti a tutto pur di non perderlo quel treno.”La cattiveria che era mancata a lui”.Le porte del treno,rimasero per un attimo che sembrò durare un‘eternità, sbarrate, come quelle di un maniero che tiene fuori gli assedianti. Poi la resa, decisa chissà da chi. Uno sbuffo e via, le porte si spalancano ingoiando quell’armata Brancaleone. Pendolari e studenti,uomini e donne, vecchi e bambini si precipitano come una mandria di pecore impazzite nelle carrozze alla ricerca di un posto libero. Alla fine dopo averle inghiottite tutte quelle pecore, il lupo treno chiuse le fauci e riprese la corsa. Il frastuono assordante che ora c’era nella cabina, la calca, il caldo acuirono il mal di testa che Francesco aveva creduto sparito appena un attimo prima.
“Signora, no preoccupa. Tutto a posto detto dottor Russo. Si ricorda anche sua figlia ha detto che va bene. Ok? ,oggi andiamo casa. Faccio un tè caldo. Poi nanna signora”. L’anziana guardò la badante con aria distratta come se non desse alcun peso alle sue rassicurazioni. In fondo alla carrozza vide una coppia lei splendida mulatta, il corpo sinuoso asciato da un vestitino chiaro che lasciavano intravedere le splendide forme,lui molto più grande, giacca sportiva assorto nella lettura di un quotidiano straniero. Sembravano felici,completamente estranei a tutto quel trambusto. Si specchiò nel vetro del finestrino. Pensò a quando lei poteva permettersi delle gonne che lasciassero le sue gambe alla mercè del sole e degli sguardi interessati degli uomini. Sistemò una ciocca di capelli grigi sotto il cappello. Quindi con voce rauca, senza guardare la badante disse:”Russo vuole darmi una nuova cura”.
Sospirò,aggrondò le ciglia, con sdegno.”Non tollero più lo Xynophren”. Allungò le mani verso l’interlocutrice. “Vedi le mie mani? Guarda la pelle come è screpolata! Russo… Il dottore vuole che riprenda la chemioterapia per endovena che mi farà perdere tutti i capelli”.
“Non è detto,signora” replicò la badante con tono rassicurante.”Dottore detto uno su due, detto uno su due ricordo bene”
“Alla mia età, non avrò più il tempo di vederli ricrescere,guadò i capelli lunghi e lucenti della mulatta,invidiandola. Non voglio morire conciata così,come…”
Il treno si mosse, prima lentamente,poi sempre più velocemente. Schiamazzi di ragazzini,echi di risa sguaiate.
“Welcome to the jungle Watch it bring you to your shun na, na, na, na, na, na, na, na, knees, knees!I, I wanna watch you bleed” ,lo stereo a palla di un ragazzone che procedeva con insolenza nella carrozza alla ricerca di un posto libero, vomitò le parole dei Guns N’ Roses sui tre. Francesco d’istinto,pose la valigetta sul sedile libero di fianco a lui e, rivolto al ragazzone gridò:
“E’ occupato,mi spiace”.
I Guns N’ Roses incazzati neri,senza crederci neanche un po’, si cercarono,rassegnati, un altro palco dove esibirsi nell’altra carrozza.
Francesco lasciò la valigetta sul sedile e guardò l’anziana signora che gli sorrise,grata,inarcando all’insù le piccole labbra ravvivate da un velo di rossetto.
“Come quando stavo ad Auschwitz” la vecchia, aveva concluso la frase iniziata prima della chiassosa apparizione,con questa frase rivolta alla badante che, imbarazzata, l’aveva guardata con uno sguardo smarrito.
“Non voglio morire con la testa rapata a zero” aveva aggiunto specchiandosi nuovamente nel finestrino, perdendosi in mezzo ai filari di lecci che si arrampicavano rigogliosi lungo i costoni del Faito.
Francesco ripensò stranito ai suoi propositi di suicidio.
Rimase a fissare quel velo rosso sulle labbra smunte della vecchia. Sembravano i drappi di una bandiera su quello che rimaneva di un castello bombardato dove,gli ultimi soldati,asserragliati, resistevano orgogliosi.
“E’ libero?” Francesco si scosse dai suoi pensieri. Voltandosi,in piedi davanti a lui, vide un uomo alto e distinto. Con la mano destra appoggiata al sedile libero,manteneva l’equilibrio messo a dura prova dagli scossoni del treno che attraversava un passaggio a livello, con l’altra stringeva una valigetta, simile a quella che lui stesso aveva sistemato sul sedile vuoto.
“Certo” balbetto,Francesco. L’uomo sorrise, ma rimase fermo a guardare Francesco.
“Ah , già , mi scusi. E’ la mia …Ecco fatto”, Francesco liberò il sedile imbarazzato per la sua dabbenaggine.
“Si figuri” farfuglio l’uomo, che si sedette , poi sistemò a sua volta la valigetta sulle ginocchia e guardò il resto dei passeggeri con un sorriso triste.
L’anziana signora distolse lo sguardo dal finestrino e ricambiò il saluto del nuovo venuto con un sorriso di circostanza. “Che begli occhi celesti ha questo ragazzo,eppure c’è smarrimento in quel viso” pensò. Riprese a contemplare il paesaggio,il grigio delle pietre dei muri di contenimento alternarsi con il verde cupo dei cespugli. Le tornarono in mente gli occhi disperati di suo fratello,l’odore disgustoso del tanfo nei vagoni per animali dove i Nazisti li spingevano con solerzia. Erano gli occhi dell’agnello. D’un tratto il treno imboccò il tunnel, a lei apparve specchiato nel buio del finestrino, lo sguardo adesso più torvo e disperato del nuovo arrivato.”Che occhi spiritati” pensò.
Il vetro del finestrino ora era un palcoscenico, nel buio,spariti gli occhi del ragazzo, da sotto un cumulo di sabbia usciva la testa dell’attrice Giulia Lazzarini,un cappellino come il suo a incorniciarne l’incarnato bianco, era andata al Piccolo , accompagnata da suo padre a vedere “Giorni felici” di Becket. Winnie/Lazzarini gridava da sotto terra : Qualche volta è tutto finito, quel che può dare il giorno,tutto fatto, tutto detto, tutto è pronto per la notte, e il giorno non è finito, tutt’altro che finito, la notte non è pronta, tutt’altro, tutt’altro che pronta[i]” Già, pensò, adesso come allora, stringendo la mano del padre nella poltroncina (strinse la mano della badante che la lasciò fare), Winnie con la sabbia fino al collo voleva continuare a vivere , come lei distesa sui freddi tavolacci nel capannone del campo di concentramento mentre si ripeteva ossessivamente che non sarebbe morta lì.
“Diamine questi ragazzi non sanno più godersi la vita!, Io me la sono tenuta stretta con tutte le forze in quell’inferno, su in Polonia”. Osservò stavolta con risentimento lo sguardo del giovane. Ma si pentì subito dopo di quel suo muto rimprovero.
Gli venne in mente il quadro di un pittore catalano al quale da poco era stata dedicata una mostra a Palazzo Strozzi, “Fuga dalla Critica” s’intitolava la tela. Pere Borrell del Caso aveva dipinto un ragazzino scamiciato che, afferrando la cornice con entrambi le mani, come fosse stata una finestra, allungava il piede sinistro e la testa fuori dalla stessa, come a voler fuggire via da quello che per lui era un incubo, con occhi sporgenti di un pazzo!
D’un tratto il buio e i ricordi sparirono, cancellati dalla prepotenza del sole che sanciva la fine del tunnel. Il sipario
dell’assurdo si era aperto su quello reale (reale?) della vita.
La signora si portò la mani sul viso per impedire che i raggi del sole le ferissero gli occhi. La badante le porse gli occhiali da sole.
La signora aspettò che il treno terminasse la sua corsa poi comodamente infilò gli occhiali. Si guardò intorno, erano a Seiano. Il nuovo venuto era sparito, evidentemente era sceso, mentre l’altro ragazzo, quello seduto fin dall’inizio di fronte a lei aveva uno sguardo preoccupato e due valige identiche in mano.
L’altro aveva dimenticato la sua. “Che fare?” pensò Francesco, “Adesso dico alla signora se mi tiene la mia e provo a rintracciare l’altro”.
Ci fu prima un trambusto fra i passeggeri in entrata. Poi baccano e urla. Spintoni , urla e bestemmie. Qualcuno aveva deciso di bloccare la partenza del treno. Ancora uno sciopero improvvisato?
Un capotreno fu preso a schiaffi. Pagava lui per i disservizi dell’azienda. Francesco si fece strada a spintoni, riuscì a guadagnare l’uscita della carrozza, mentre gli studenti intonavano cori irriverenti all’indirizzo dei dipendenti Circum. Sporgendosi, l’ormai mancato notaio, fece appena in tempo a vedere l’altro scavalcare l’inferriata del Ponte di Seiano e gettarsi nel precipizio.
Seguì un silenzio irreale rotto da un unico strillo di donna intenso,acuto, eterno che si portò via in fondo a quel vuoto, il senso di tutto. Era stata la vecchia signora, le era sembrato di vedere il corpo del fratello che in quello stesso posto quarant’anni prima era stato spinto giù dagli uomini della Gestapo. Ancora una volta davanti ai suoi vecchi occhi stanchi il mondo si stinse e poi,miracolosamente,ricomparve, anche questa volta, mutato di senso,per sempre.
Ciao Luigi,
L’inizio del racconto è limpido e graffiante allo stesso tempo, hai usato delle immagini molto belle come per esempio “la vecchia che sembrava un mazzo di chiavi tremolante” (fa trapelare il tuo potenziale di scrittore) poi tende ad affollarsi di pensieri e personaggi che lo rendono più dispersivo e quindi, meno incisivo. Comunque la storia è carina. Se posso, mi permetto di darti un piccolo suggerimento: attento alle virgole che non sempre metti al posto giusto (per esempio tra soggetto e verbo: “le porte del treno, rimasero…”) ;)..
Auguri comunque per il concorso!