Premio Racconti nella Rete 2014 “Il taccuino” di Luigi Pistis
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Il viale era un viale di platani, largo, elegante; tagliava in due la parte residenziale della città e collegava il centro storico con il moderno quartiere degli affari, ai piedi della collina. Vi si affacciavano i giardini di ville misteriose, appena visibili, oltre le siepi protette da alte cancellate e lunghe ringhiere di ferro battuto. Nelle ore di punta era percorso da un traffico caotico di automobili, di furgoni, di biciclette, ma, poco tempo dopo, come se ognuno di quei frammenti avesse trovato come d’incanto la propria sede, diventava silenzioso, quasi deserto.
Così lo trovava Ruggero, quando il camioncino della nettezza urbana lo scaricava verso le nove ad un capo, con gli attrezzi di lavoro: una grande ramazza, un sacchetto di plastica pesante e un paio di pinze dal manico lungo. Ruggero era un omone con un’aria in apparenza svagata, ma in realtà pignolo e meticoloso. Per questo il capo gli aveva affidato la pulizia di quel viale, a cui si affacciava la villa del sindaco e di una decina almeno di altri personaggi importanti. Lui sapeva di questo privilegio e, tutto compreso, cercava di compiere il lavoro con estrema cura. Ciò gli costava pochissimo sforzo, perché corrispondeva alla sua particolare natura di persona ordinata e metodica.
Appena smontato dal furgone depositava la sua attrezzatura sulla prima delle tante panchine che si succedevano lungo il viale, apriva la tuta blu e da una tasca interna tirava fuori il pacchetto di Nazionali e l’accendino. Fumava la prima sigaretta della giornata con la schiena appoggiata ad un platano. Conosceva le piante, si può dire, una ad una, gazie al tempo che ne aveva modificato i tronchi in modo di volta in volta diverso, con crepe, bitorzoli, antiche ferite.
Pio cominciava il lavoro rimovendo tutto ciò che persone poco scrupolose avevano gettato a terra nonostante a distanza regolare ci fossero dei cestini ben visibili. Ogni tanto, vicino ad una panchina, trovava qualche siringa dei “maledetti tossici”. Si fermava, apriva il sacco nero e la infilava dentro utilizzando le lunghe pinze.
Si lasciava alle spalle un viale perfettamente pulito. Radunava le foglie e la sporcizia in vari mucchietti, ogni cinquanta metri circa, lungo il percorso pedonale e si voltava indietro con ingenua soddisfazione a contemplare il lavoro fatto. Ci avrebbe poi pensato il collega col furgoncino a completare il lavoro. Nemmeno in Svizzera, pensava tra sé, si sarebbe potuto trovare un viale altrettanto pulito.
Una mattina (aveva cominciato il lavoro da circa un’ora e si era già dovuto chinare più volte perché dopo la pioggia delle notte le foglie aderivano all’asfalto come incollate), appena sotto una panchina intravide un oggetto marrone, che quasi si confondeva tra le foglie secche dello stesso colore. Appoggiò a terra la ramazza, si tolse gli spessi guanti di lavoro e lo raccolse. Era un vecchio portamonete, gonfio per la pioggia, appicicoso. Prima di aprirlo si guardò intorno per vedere se qualcuno lo reclamasse, ma il viale in quel momento era completamente deserto. Allora lo aprì. Dentro c’erano due banconota da 200 euro ciascuna. Restò incredulo, senza fiato. Rinchiuse il portamonete, poi lo riaprì lentamente, come se si trattasse di un’allucinazione, di un sogno destinato a svanire. Ma non era così. Aveva trovato 400 euro, una somma enorme, per lui, corrispondeva alla metà del suo salario mensile. Il cuore cominciò a battergli e gli occhi gli si annebbiarono. Si guardò ancora intorno per vedere se qualcuno avesse notato il suo gesto, ma non vide nessuno. Così si sedette sulla panchina e ispezionò meglio il portamonete. A parte le due banconote in una tasca secondaria trovò un bigliettino con quello che poteva essere un nome, o un indirizzo, scritto con una grafia infantile, tondeggiante e in gran parte illeggibile a causa dell’acqua della notte. Cosa fare? Ringraziare la fortuna e tenerselo? Restituirlo? Ma a chi? Decise di riporlo nella tasca interna della tuta, insieme con le sigarette e l’accendino. Intanto avrebbe continuato il lavoro, al portafoglio avrebbe pensato dopo.
Ma si accorse di aver perduto la solita calma. Il lavoro adesso gli pesava, non vedeva l’ora di concluderlo per risolvere il problema. Avrebbe voluto essere già lontano dal luogo del ritrovamento, al bar dove andava a bere un bicchiere di vino ad opera compiuta o, meglio ancora, a casa. Per la prima volta il viale gli sembrò lungo, intermin abile e il lavoro faticoso. Stava pulendo il terreno attorno a una delle ultime panchine quando, con la coda dell’occhio, vide una persona che, dall’altro capo del viale, scompigliava i mucchietti di immondizia che egli aveva raccolta. Era ancora lontana e non riusciva a distinguere se si trattasse di un uomo o di una donna. Frugava fra le cartacce e le foglie secche, si chinava sotto la panchina più prossima e passava avanti. Ruggero capì subito chi era, quindi, invece di gridare, si nascose dietro un tronco ad osservare la scena. Quando giunse abbastanza vicino, si accorse che si trattava di una donna, apparentemente di mezza età, con i capelli grigi, un paio di pantaloni blu di una tuta e un giaccone viola, un po’ troppo largo per lei. Era in grande agitazione e si accorse di lui all’ultimo momento. Lo guardò senza particolare interesse e prese a frugare sotto il vicino mucchietto di foglie.
Ruggero si avvicinò e le chiese: “Cosa cerchi? perché fai tutto ‘sto casino?”
“Cerco soldi – disse sottovoce con aria disperata – cerco soldi padrona. Io persi ieri sera. Padrona mi uccide…”
Ruggero aveva il vuoto dentro di sé. Il suo braccio si mosse quasi senza che il cervello avesse dato l’ordine. Aprì la tuta, tirò fuori il portafoglio e tendendo la mano le disse “Cerchi questo?” Lei gli si avventò contro, gli strappò l’oggetto con furia e, senza dire una sola parola, ritornò di corsa sui suoi passi.
Ruggero restò lì, imbambolato, con il braccio ancora teso, senza rendersi conto di quel che era successo. Poi, bofonchiando, rinchiuse la tuta, prese la ramazza e ricominciò il lavoro: “Ma guarda un po’ te…ma guarda un po’ te…”
D’improvviso però se la ritrovò di fronte. Aveva il viso segnato da una forte emozione, stava piangendo. Alzandosi sulle punte dei piedi gli buttò le braccia al collo e baciandolo sulla guancia disse: “Grazie, grazie! ” Poi fuggì di nuovo lungo il viale.
Ciao Luigi,
La tua storia mi ha emozionato. Mette in evidenza la naturale bontà dell’animo umano che tu descrivi benissimo, così come descrivi bene l’ambientazione: in modo semplice ed efficace. Complimenti.
Sonia