Premio Racconti nella Rete 2014 “Anime di Burro” di Silvia Tufano
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014“Dedicato a tutti quelli che non ce l’hanno fatta, schiacciati sotto il peso opprimente di ideali sgretolati”.
Erano trascorsi , oramai, due anni dall’ultima volta che Giorgio aveva visto il suo unico figlio, in casa sua. I dissapori e le liti tra i due erano divenute sempre più aspre fino ad arrivare alla inesorabile rottura definitiva. Quella mattina, guardandosi allo specchio, Giorgio si accorse che sul suo viso le rughe divenivano sempre più evidenti e che anche il colore dei suoi capelli, un tempo neri come corvi, era mutato negli ultimi anni. Tutto ciò lo faceva precipitare ancora di più nello sconforto perché, da quando suo figlio si era allontanato, il peso dell’età sembrava gravargli addosso come un macigno e , solo un improbabile quanto sperato riavvicinamento, gli avrebbe addolcito lo scorrere, veloce, del tempo. Uscendo di casa, ogni mattina, era solito attraversare uno dei parchi più grandi della sua città che, con l’avvicinarsi dell’autunno, si rivestiva di splendidi colori. Questo lo riportava indietro con la memoria, a tutte quelle volte in cui, in quello stesso parco, aveva passeggiato allegramente col suo prediletto , a quando nulla lasciava presagire tutto ciò che sarebbe accaduto poi. Questo era, dunque, il sentimento che accompagnava Giorgio durante il corso della sua giornata , una struggente malinconia divenuta, per lui, sua unica compagna dalla quale avrebbe, adesso, quasi fatto fatica a liberarsi perché, in qualche modo a lui sconosciuto, gli manteneva vivo il ricordo di suo figlio e gli lasciava accesa una speranza, seppur flebile, di poterlo presto riabbracciare.
“ In cosa avrò sbagliato ?” , “ Se solo non avessi detto quelle cose!”, “Avrei potuto essere un padre migliore!”, erano per lui pensieri ricorrenti, quasi ossessivi, che erano arrivati , perfino, a togliergli il sonno e, ai quali, ogni volta, dava risposte differenti . Mentre si dilaniava, avvolto in questi tristi pensieri, si accorse che “ qualcuno” lo seguiva, tenendo il suo stesso passo spedito e deciso, quasi come se non fosse la prima volta che lo facesse. Giorgio si voltò di scatto e quale fu la sua sorpresa nell’accorgersi che, il ticchettio dei passi che lo seguivano, appartenevano ad un cucciolo di cane, impaurito, dallo sguardo triste e dalla coda scodinzolante.
“ Quanto ci somigliamo io e questa indifesa creatura”, pensava Giorgio , indeciso se accarezzarlo o meno, vista la fretta che ogni mattina aveva nel recarsi a lavoro.
Dopo un breve momento di esitazione, pensò che non ci sarebbe stato nulla di male se in clinica lo avessero atteso un pochino, dato che, in trent’anni di carriera, non era arrivato neanche un solo giorno in ritardo, ligio, com’era, nel suo lavoro di chirurgo. E fu così che Giorgio prese una decisione: quel cucciolo di cane, da quel giorno, avrebbe iniziato a far parte della sua vita, cosicché avrebbero potuto entrambi essere, l’uno per l’altro, panacea alla solitudine e alla nostalgia, così chiaramente impresse negli occhi dei due.
La sera era arrivata, poi, inesorabile come ogni giorno, la parte della giornata che Giorgio meno gradiva e così pensò che bere un thè caldo potesse essere il modo migliore per scaldarsi il corpo in questa fredda serata autunnale e , perché no, anche l’anima , oramai avvizzita e sterile da tempo.
Alzandosi , con lentezza, dalla poltrona nella quale soleva sedersi per riflettere, fece, sbadatamente , cadere la calda coltre che aveva poggiato sulle gambe e, nel compiere il gesto di raccoglierla, fu colto da un deja vù.
Questa scena l’aveva vissuta già, ne era certo, se non in questa, nell’altra vita che, Giorgio, sperava essere stata, per lui, più lieve e serena di questa. In realtà, era suo figlio, Mattia che si era, autonomamente, preso l’incarico di raccoglierla e ripoggiarla , con delicatezza, sulle ginocchia del proprio padre, con un sorriso misto a tenerezza e gratitudine. Tutto questo prima che uscisse di casa e non vi facesse più ritorno da oramai due , interminabili, anni.
Fu in questo preciso istante che , in Giorgio, la malinconia e la nostalgia, lasciarono, repentinamente, il posto ad una rabbia funesta e accecante che lo portò a maledire quel figlio disgraziato, ribelle e vagabondo. E così , quel libro poggiato sul camino, cha da mesi non veniva letto, posto lì come simulacro di un ricordo lontano, venne scaraventato dentro il camino, dove, da ore, un fuoco lento e ristoratore, accompagnava la solitaria serata di Giorgio.
“ Il fuoco non lascia traccia di ciò che è stato, se non la cenere”, fu quello che pensò l’uomo guardando il libro lentamente perire sotto il suo sguardo.
“ Come vorrei che sparisse anche questo dolore, questa lenta agonia che è, già, un po’ morire”, urlava dentro di sé Giorgio nell’ostinato, seppur invano, tentativo di salvare dal fuoco ciò che rimaneva di quel libro a lui tanto caro.
“ Che tu possa bruciare all’inferno; che tu possa non fare mai più rientro; che possa io non accoglierti a braccia aperte , qualora, il tornare da me , ti sembrerà l’unica scelta possibile”, erano, adesso, i pensieri dissacranti di un padre sconfitto nei sentimenti e negli affetti ma vincente agli occhi di coloro che non avevano mai conosciuto i suoi inquietanti tormenti. Ma ecco che lo scorrere di una lacrima arrivò all’improvviso, invadente ed inaspettata come una nevicata ad agosto; lacrima purificatrice delle emozioni che avevano preso Giorgio in ostaggio in quel lungo pomeriggio autunnale. Lacrima che con sé porta altre lacrime che scorrono copiose sul viso, come un fiume in piena , incapace di arginarsi; lacrime che guariscono perché alleviano, anche solo per un attimo, un peso divenuto, oramai, troppo duro da sopportare.
Nel frattempo, Sleepy, il cucciolo di cane che Giorgio aveva così, scherzosamente, ribattezzato, gli correva incontro festoso e sgambettante, portandogli in dono l’ennesimo uccellino agonizzante, fiero di questo suo trofeo che, con generosità, porgeva al suo unico, vero amico. La scena, un misto di comicità e tragedia, fece sciogliere Giorgio in una risata fragorosa e spontanea. Sleepy, intanto, preso in braccio, iniziava a leccargli le lacrime calde con una riconoscenza che può provare , con tale intensità, solo chi sente di essere stato salvato. Sì, perché questo è ciò che aveva fatto Giorgio nei riguardi di Sleepy: lo aveva tolto alla strada, regalato una casa e un osso finto da mordicchiare a piacimento ma soprattutto gli aveva donato l’affetto.
C’è chi dice che gli animali non hanno pensieri ma Sleepy sì, lui è speciale; lui pensa, comprende, osserva e prova un sentimento per il suo padrone, per lui intoccabile e che non lascerebbe , nemmeno, per tutti gli ossi veri di questo mondo.
Colto da questi teneri pensieri, Giorgio, si mise a letto, con gli stessi gesti soliti ed abituali che compiva ogni sera, sapendo già che, nemmeno quella notte, i demoni che, da mesi, lo perseguitavano, lo avrebbero lasciato riposare tranquillo tra le braccia di Morfeo.
Ed infatti , fu proprio così. La notte, appena trascorsa, non lasciava presagire nulla di buono in questo nuovo giorno che stava, appena, timidamente, facendo capolino tra le persiane semichiuse.
“ Certe giornate iniziano come un calcio in faccia”, mormorò Giorgio, avvolto nella sua vestaglia color amaranto e con un dolore alle tempie così lancinante che , a malapena, riusciva a tenere gli occhi aperti. Il suono del campanello, stridulo come un campanaccio delle vacche di zio Alberto, fece sobbalzare Giorgio che si era, solo da poco, seduto a far colazione. Aprì la porta, irritato e a malo modo, immaginando di trovarsi dinanzi il solito scocciatore del mattino: il vicino di casa alla ricerca delle solite uova per la prima colazione.
“ Prima o poi gli regalo un’intera famiglia di galline”, disse tra sé Giorgio, lasciandosi sfuggire il primo sorriso di questo giorno.
“ E’ lei il signor Giorgio Zangrilli?”, dissero , quasi in coro, i due poliziotti in divisa, recitando male la parte di chi vuole dimostrarsi, a tutti i costi, dispiaciuto. “ Cosa avrò combinato questa volta?”, si chiese Giorgio , consapevole della sua giuda spericolata e delle tantissime contravvenzioni che, oramai, lo accompagnavano, da sempre, proprio come brave dame di compagnia.
Si limitò a rispondere: “ Sì, sono io il Signor Zangrilli. Posso esservi utile in qualcosa?”.
“ Sarebbe meglio se discutessimo della questione in casa”, rispose il poliziotto più attempato e , che sembrava, essere anche quello più avvezzo a certe situazioni. Gli attimi che seguirono a quel: “Prego, si accomodino pure”, furono attimi concitati e disperati, eterni, nei quali a Giorgio sembrò di essere sospeso tra il tempo e lo spazio, in cui tutto appariva così irreale ma, allo stesso tempo, maledettamente vero.
La notizia che quest’uomo aveva pazientemente atteso, immaginando, ogni volta in maniera differente, il modo in cui si sarebbe svolta la scena, era finalmente arrivata. Suo figlio, Mattia, era stato ritrovato ma nel modo più orribile e doloroso che un genitore potesse sperare.
Era annegato nella Senna, magro come un chiodo, solo, morto romanticamente così come aveva voluto vivere. Troppi erano i misteri che avvolgevano, come una fitta nebbia, questa tragica fine, tante le domande che affollavano la mente di Giorgio, incapace adesso di avere la benché minima reazione alla notizia. “ Come è possibile che io non avessi capito nulla e che non ero a conoscenza di tutto ciò?”, domandò Giorgio con occhi spiritati che sembravano uscirgli fuori dalle orbite.
“ A cosa si riferisce, esattamente, Signor Zangrilli?”, rispose uno dei due poliziotti, sempre più frementi nell’andare via.
“ Mi riferisco al fatto che Mattia fosse in Francia, che stesse così male. Come è possibile che un ragazzo così giovane e pieno di vita, scelga la morte come sua unica alternativa?”.
Questi interrogativi, rivolti in fondo solo a sé stesso, in un dialogo intimo ma condiviso, non trovarono risposte nei due poliziotti, oramai ammutoliti da un profondo imbarazzo.
Andati via loro, con un passo che sembrava essere cadenzato da una malriuscita marcia funebre, Giorgio ritornò solo, in preda ai suoi pensieri che non gli davano tregua, inseguendolo come gli orchi cattivi delle fiabe che tanto, da bambino, lo avevano tenuto sveglio e che, oggi, si ritrovava , invece, a rimpiangere.
“ Chissà quante cose non ho saputo e, forse, non saprò mai di mio figlio, segreti annegati, insieme a lui, a fargli da zavorra, spingendolo sempre più a fondo, ora eternamente fluttuanti tra le acque di quel fiume maledetto. Ciò che resta in eterno è solo il ricordo di ciò che è stato; il resto è spazzato via, velocemente, come un battito d’ali e in maniera impalpabile, come una leggera brezza di aprile”.
Lo scatto improvviso che l’uomo ebbe, sobbalzando dalla sedia come un indemoniato, fece risvegliare dal sonno perfino il letargico cagnetto che tentò , invano, di attirare l’attenzione del suo padrone.
Un’improvvisa sete di verità ricopriva di fremiti il corpo di Giorgio, che si sentiva in preda alla follia che lo portava sempre più in basso, verso abissi profondissimi. Proprio come il naufrago in tempesta che, a stento, riesce a tenere tra le mani il timone della sua nave, così, pensava Giorgio, mai più avrebbe ripreso tra le sue il timone della propria vita.
Dal momento stesso in cui quei due poliziotti avevano varcato la soglia della sua casa, il dolore era divenuto l’unico condottiero della sua anima; quel dolore che non scompare, col quale, poi impari a convivere, sedendoti alla stessa tavola, dormendogli accanto di notte, proprio come ad una compagna fedele e devota e , perché no, dandogli anche un nome che te lo renda più familiare, che ti consenta di rivolgerti a lui con lo stesso tono confidenziale col quale ti rivolgi al tuo migliore amico.
Gli aeroporti non erano mai piaciuti a Giorgio e, visto il motivo per cui si trovava qui adesso, gli piacevano ancora di meno. Quella mattina c’era un pullulare di persone frenetiche intorno a lui e, davvero, rifletté come gli aeroporti ti aprono uno spaccato inimmaginabile sulla vita degli esseri umani: uomini in giacca e cravatta, dal passo frenetico, pronti a partire per il prossimo viaggio d’affari; coppie di innamorati proiettati già verso mete romantiche, ad incorniciare la loro storia d’amore; persone giovani e meno giovani con la speranza negli occhi di chi, si augura, con questo viaggio, di cambiare la propria vita. In mezzo a questo arcobaleno di persone, poi, c’è Giorgio, seduto ad attendere, con le spalle curvate sotto il peso di una notizia sconvolgente, con due occhi scavati e cerchiati di nero, tipici di chi non è riuscito a chiudere occhio. Tra le mani una piccola valigia, con dentro solo l’essenziale, una valigia preparata svogliatamente, domandandosi continuamente come debba vestirsi una persona che sta andando a portare l’ultimo saluto a suo figlio.
Tutto gli appare diverso adesso. Dove è finita quella attesa speranzosa che lo teneva in vita, le sue idee di cambiamento, il suo guardare al futuro, la sua voglia di mettersi in gioco? Non c’è più nulla di tutto questo ora, se non l’essersi dovuto faticosamente preparare a ciò che la vita ti ha sempre presentato come innaturale.
Adesso che è seduto su questo aereo che lo condurrà in Francia, non può fare a meno di lasciarsi andare ai ricordi; troppe cose spesso dimenticate e che, adesso, gli riaffiorano alla mente come zampilli di fontane da giardino. In tutto questo accalcarsi di immagini, ecco riaffacciarsi la figura della sua ex moglie, donna dalla bellezza strepitosa e con due occhi azzurro mare da lasciarti senza fiato, gli stessi occhi belli di Mattia. Aveva letteralmente perso la testa per lei, Giorgio, iniziando da subito una storia d’amore di quelle che ritrovi solo nei romanzi e capaci di colorare di intenso tutto ciò in cui lei è presente. Storia d’amore resa ancora più bella dall’arrivo, inaspettato, di un figlio, frutto di un amore magico che non sembrava avere nulla di terreno. Ma , purtroppo, spesso le favole sono interrotte dall’arrivo della strega cattiva che, invidiosa di un amore così unico di cui lei non ne godrà mai, si diverte a seminare scompiglio e rottura lì dove, prima, c’era stato solo incanto ed armonia.
Sua moglie era uscita dalle loro vite, così come vi era entrata, come un uragano in un giorno d’estate, senza rimpianti, decisa a riprendersi quella vita che, forse, temeva, non essere riuscita ancora a vivere come meritava.
Era rimasto solo, Giorgio, in preda alla disperazione, allora come adesso, ma la presenza di suo figlio lo aveva lentamente riportato alla vita , donandogli una forza che cresceva a dismisura ogni qualvolta lo guardava negli occhi. Il figlio era troppo piccolo quando la madre aveva aperto l’uscio di casa ed era sgattaiolata via; non conservava molti ricordi di lei se non qualche foto scattata in un momento in cui la vita sembrava sorriderle appieno. Quando Mattia era divenuto grande abbastanza da porre le prime domande, Giorgio aveva preferito mentirgli, dicendogli che la madre era morta in un terribile incidente stradale, in una di quelle notti d’inverno che ti gelano perfino l’anima. Aveva preferito così piuttosto che raccontare al figlio che la madre aveva scelto di inseguire dei sogni lontani anziché tenersi ben stretti quelli già raggiunti. Mattia non aveva mai avuto dubbi sulle parole del padre, gli aveva sempre creduto e aveva stabilito con lui un legame simbiotico, di quelli molto rari che ti riempiono la vita e ti fanno sentire invincibile.
La voce metallica del capitano che annunciava l’atterraggio imminente, fece ridestare l’uomo da questo lungo sogno ad occhi aperti.
Arrivato dentro l’aeroporto di Parigi, liberatosi dalla solita, noiosa burocrazia, Giorgio trovò ad attenderlo un ufficiale di polizia francese che, in un italiano sgrammaticato, gli stava dando il mesto benvenuto. Insieme a lui, Giorgio scorse la figura di un ragazzo molto giovane, dai tratti efebici, quasi femminei e con lo sguardo di chi cerca di guardarti dentro. Gli fu presentato semplicemente col nome di Victor, senza che l’ufficiale aggiungesse nulla di più, lasciando a Giorgio la libertà di immaginare chi fosse.
Il viaggio verso la stazione di polizia di Montmartre, il quartiere dove aveva vissuto Mattia fino al giorno della tragica morte , fu lungo e silenzioso, un silenzio rotto solo da lunghi sospiri e da qualche frase di circostanza. Giunti a destinazione, immediatamente , l’ufficiale aggiornò Giorgio sulle ultime novità, dicendogli che Mattia era stato ritrovato , per puro caso, da una pittrice vagabonda che soleva sedersi sulle rive della Senna a dipingere. Quando si era accorta che quello poco distante da lei era il corpo esamine di un giovane ragazzo, aveva immediatamente allertato le forze dell’ordine che , accorse celermente sul luogo, avevano, purtroppo, potuto solo constatarne la morte. Il ragazzo, al momento della macabra scoperta, era seminudo, non portava con sé nessun oggetto se non una catenina d’argento con un pendente che, ora, l’ufficiale stava, gentilmente, restituendo al padre. Ciò che era balzato agli occhi degli ufficiali era che, il corpo del ragazzo, restituito dal fiume impetuosamente, così come lo aveva preso, appariva, da una prima analisi, eccessivamente magro, come fosse reduce da un lungo periodo di fame. Si stavano ancora attendendo i risultati dell’autopsia, per conoscere più nel dettaglio le reali cause del decesso.
Queste le poche notizie che, con tono freddo e formale, erano state comunicate a questo padre, desideroso, invece, di saperne molto di più, di venire a conoscenza di qualche particolare che , in qualche modo, gli rendesse tutto più chiaro. Intanto il ragazzo che Giorgio aveva incontrato all’aeroporto in compagnia del poliziotto, era rimasto , discretamente, ad attenderlo fuori e fu lui la prima persona che si ritrovò davanti, quando, ancora più sconvolto, uscì fuori da quella asettica stanza del commissariato. Il ragazzo gli si avvicinò con fare timido e quasi spaventato, non sapendo in che modo approcciarsi a quest’uomo che, immaginava, sofferente come pochi. Avvicinandosi a lui, con fare goffo e impacciato, gli posò semplicemente una mano sulla spalla, come un vecchio amico che cerca, come può, di consolarti.
“ Si ricorda di me, Signor Zangrilli? Ci siamo conosciuti poco fa all’aeroporto. Mi chiamo Victor e sono un caro amico di suo figlio”, gli disse in un italiano, quasi, perfetto.
Ecco, finalmente, svelata l’identità di questo personaggio così misterioso, pensò Giorgio.
“ Certo che mi ricordo di lei , Signor?”.
“ Mi chiami semplicemente Victor e mi dia del tu, potrei essere suo figlio”, rispose il ragazzo, immediatamente accortosi della frase poco delicata che aveva appena pronunciato.
“ Mi scusi Signor Zangrilli, non volevo essere indelicato. Ma, capisce, il momento non è semplice neanche per me!”
“ Non preoccuparti, Victor. Solo l’idea di poter scambiare due chiacchiere con un amico di Mattia, mi rende già molto più sollevato e, visto che gli amici di mio figlio , sono anche amici miei, chiamami Giorgio e dammi del tu”.
Incamminandosi insieme nella stessa direzione, accomunati da un destino simile, i due si ritrovarono a bere un thè in un bar di Parigi, avvolti dalla stessa cupa tristezza ma circondati da un andirivieni di gente chiassosa.
“Finalmente ti conosco Giorgio. Sapessi quanti pomeriggi Mattia mi ha tenuto compagnia , parlandomi di te.”, esordì Victor con le gote rosee di chi prova un leggero imbarazzo. “ Tu per lui eri un eroe, quello delle favole e, poiché io non ho mai conosciuto il mio vero padre, sapessi quanto ho fantasticato su questo rapporto speciale che lui aveva con te. Sei esattamente come ti immaginavo. Ascoltare i racconti di Mattia su di te, è stato come ammirare dipinti che ti ritraevano” .
“ Anch’io ero convinto di avere con lui un rapporto speciale, fino a quando è uscito di casa e non vi è rientrato più. Non ho saputo più nulla di lui; mi ha lasciato per anni in preda all’ angoscia, senza mai scrivermi una lettera, senza farmi una breve telefonata, punendomi per un qualcosa che , ancora, non ho compreso”.
“Le cose sono molto più complicate di ciò che credi. Per questo ti pregherei di raggiungermi, domani, a casa mia. Ho molte cose da spiegarti e da farti vedere e sono convinto che Mattia avrebbe voluto così”, si concedo’, a questo punto, Victor.
Senza pensarci su due volte, Giorgio accettò l’invito di questo ragazzo che gli incuteva una profonda tenerezza e che , proprio come Mattia, aveva negli occhi un profonda sete di libertà.
L’indomani si ritrovarono di nuovo seduti intorno ad un tavolo, davanti all’ennesimo thè, entrambi desiderosi di sapere qualcosa in più di una persona che avevano così profondamente amato.
“ Sarei curioso di sapere com’era Mattia da bambino”, ruppe il silenzio Victor, sforzandosi di sorridere un pochino.
“ Uno splendido bambino dagli occhi blu, furbo ed intelligente”, rispose Giorgio, pieno di orgoglio. “ In realtà, Mattia, è rimasto sempre un po’ bambino perché non ha mai perso la leggerezza e la voglia di sognare. Un giorno voleva fare l’astronauta, poi un altro il veterinario, poi il pompiere, poi, ancora, il pilota. Mi diceva che avrebbe cambiato il mondo. Ma, purtroppo, non ce l’ha fatta; il tempo , con lui, si è rivelato molto avaro”, concluse Giorgio con una profonda amarezza nella voce.
“ Era un idealista Mattia, viveva per gli altri e portava addosso il peso di non poter cambiare le cose, così come aveva, fermamente, creduto di poter fare fin da bambino”, continuò Victor, improvvisamente colto da una vistosa agitazione . “Per questo lo amavo e lo amo ancora profondamente, nonostante le acque di quel fiume me lo abbiano portato via per sempre”.
Fu a questo punto che Victor scoppiò in un pianto disperato, inconsolabile, trascinandosi dietro Giorgio che, dopo un iniziale sgomento, riusciva, finalmente a lasciarsi andare , anch’egli, ad un pianto di liberazione, primo momento di sfogo dal giorno in cui aveva ricevuto la terribile notizia. Non si era mai sentito così vicino ad una persona che era, per lui, poco più di uno sconosciuto , di cui, fino al giorno prima ne ignorava l’esistenza e verso il quale provò un’ improvviso desiderio di vicinanza, abbracciando colui che aveva condiviso gli ultimi istanti di vita con il suo dolcissimo Mattia.
“ Io e Mattia ci amavano, Giorgio, da oramai un anno e mezzo. Ci eravamo conosciuti , per caso, ad una mostra di Van Gogh qui a Parigi e, da quell’istante, non ci siamo più separati. E’ questo che lo ha tenuto lontano da te, la vergogna di confidarti un amore diverso e il timore che tu non lo avresti compreso”.
“Ho sempre capito poco di mio figlio, non lo conoscevo affatto. Quanto superficialmente noi genitori conosciamo i nostri figli, offuscati dalla presunzione di essere, invece, gli unici a conoscerli davvero , solo perché nati dall’unione dei nostri semi!” , pensò , Giorgio, a voce alta e avendo la sensazione che la persona di cui adesso, Victor, gli raccontava non era la stessa persona che aveva visto crescere.
“ Ti ha scritto tantissime lettere ma non ha mai avuto il coraggio di spedirtele, troppo era il timore di deluderti però le ha tutte conservate. Forse, in cuor suo, sperava che un giorno tu le leggessi. Eccole qui, sono tue. È giusto che le abbia tu, sono sicuro che le custodirai come il più prezioso dei tesori. Era tuo figlio e ti adorava”, disse Victor.
Preferì tornare in albergo, a piedi, quella sera Giorgio, nonostante facesse molto freddo ma aveva bisogno di schiarirsi le idee e sperava che, il passeggiare tra le viuzze di quella magica città, lo aiutasse a farlo.
Sentiva il corpo lentamente gelare al punto tale che iniziarono a fargli male le punte delle mani, nulla di paragonabile al dolore che iniziava a dilaniargli, con violenza invadente, il cuore.
Si sentiva morire Giorgio, morire dentro, per aver perso un figlio meraviglioso ma soprattutto perché lo aveva perso prima ancora di avere avuto l’occasione di conoscerlo davvero. Arrivato in albergo, il suo primo pensiero andò alle tante lettere che gli aveva consegnato Victor. Ne aprì una a caso; era stata scritta pochi mesi prima di questa triste serata parigina ed iniziava così:
“Carissimo Giorgio, ti ricordi quanto ti arrabbiavi quando, fin da piccolino, mi divertivo a chiamarti per nome e tu, brontolando , mi dicevi: “Non mi chiamo Giorgio; mi chiamo Papà”.
Era bello vederti imbronciato e , un attimo dopo, immediatamente sorridente e , i tuoi occhi, così vivi ed intelligenti, non li ho scordati più. Non sai quanto mi manchi papà, quanto mi mancano le nostre passeggiate al parco , rivestito di foglie color autunno, le tue mani grandi, le tue parole rassicuranti, dette sempre al momento giusto. Nonostante io provi tutto questo, non riesco a trovare la forza di tornare indietro, il terrore di darti una delusione profonda non mi abbandona, giorno e notte, e , preferisco lasciarmi logorare l’animo dalla tua assenza anziché affrontarti, da uomo a uomo, così come tu mi insegnavi da bambino. La gioia di aver conosciuto Victor è mitigata dal dolore del non averti accanto e non riuscirò mai a godere pienamente di questo amore così immenso, fino a quando non ti avrò riabbracciato almeno una volta, papà.…..sperando di poterlo fare prima che questa terribile malattia mi porti via per sempre……..”
La lettera si era interrotta così, senza altre spiegazioni, solo tra tanti punti sospensivi che mettevano ansia e ti lasciavano addosso una profonda inquietudine. Le ultime parole lette ronzavano, ora, nella mente di Giorgio come uno sciame di api impazzito e, solo così, ebbe modo di rendersi conto che ancora non gli era stata detta tutta la verità.
In questo preciso istante lo assalì un vuoto incolmabile e l’unico desiderio che provò fu quello di compiere, anch’egli , un gesto estremo, seguendo suo figlio nell’ultimo, disperato, attimo di vita. Uscì di casa in preda ad uno spasmo di terrore e livido dalla rabbia. Come aveva potuto Victor tenergli nascosta una cosa di una tale importanza, perché non aveva previsto che, prima o poi, sarebbe venuto comunque a conoscenza di un fatto così grave?
Mentre si affrettava velocemente a raggiungere, nuovamente, l’appartamento di Victor, fu fermato, per strada, da una donna mal vestita, spettinata e maleodorante che insisteva per leggergli la mano. Giorgio la scansò a malo modo, pensando che , tutto ciò che adesso gli interessava sapere, era sicuramente custodito nella mente e nel cuore del compagno di Mattia e non nelle parole di una barbona pazza, alla ricerca di un pollo da spennare.
Salì le scale, trafelato e sudaticcio, e comparve dinanzi a Victor con la stessa espressione in volto di chi ha appena visto un fantasma.
Lo aggredì violentemente, accusandolo di essere un bugiardo, di non avere rispetto per il dolore di un padre e per il suo desiderio di conoscenza. Si sentiva preso in giro e non riusciva a perdonarglielo.
Victor lo invitò a sedere, dicendogli di comprendere la sua sofferenza e chiedendogli di lasciargli il tempo per spiegare tutto.
“Ho pensato che fosse più giusto che tu sapessi attraverso le parole scritte da Mattia per te. E’ più bello che te lo abbia confidato lui e non io. Mattia ha scoperto di essere malato solo 6 mesi fa, quando, in seguito ad un controllo di routine, gli è stata diagnosticata la “malattia dell’amore speciale”, così come la chiamava lui. Mattia aveva l’Aids e non gli restava più molto tempo. Anch’io sono malato Giorgio; io e Mattia abbiamo continuato ad amarci liberamente, fino alla fine, e adesso non ho più paura di morire. Sono felice di aver condiviso con Mattia la vita e di raggiungerlo presto per condividere, insieme a lui, anche la morte”.
“ Credi che sia questo il motivo per il quale ha scelto di morire o ci sono ancora cose che io non conosco e che, credi, dovrei sapere?, gli chiese Giorgio, ormai alla stremo delle sue forze.
“ I motivi di quel gesto estremo sono sconosciuti a me così come lo sono a te. Cosa gli sia passato nelle testa in una giornata che sembrava così identica alle altre, lo sa solo Mattia. Ha preferito portarsi questo segreto con sé . A noi ha lasciato solo la fantasia per immaginare.”
Victor si fermò per pochi istanti; sembrava tormentato , pensò Giorgio, il tormento di chi non sa quale decisione prendere ma ha a disposizione poco tempo per farlo.
“ C’è ancora una cosa che devi sapere, Giorgio”, gli disse Victor tutto di un fiato, temendo, forse di cambiare idea. “ Il motivo per il quale Mattia era venuto in Francia.”
Giorgio fu colto da un violento capogiro che lo costrinse a mettersi seduto, mentre fino a quel momento era rimasto in piedi accanto alla finestra da cui, in lontananza , si scorgevano le lucine della Tour Eiffel.
“ Prendi un bicchiere d’acqua”, ora Victor sembrava davvero preoccupato e pentito di avergli fatto carico di tutte queste novità, in un giorno solo. Mattia non avrebbe mai voluto che lui strapazzasse così suo padre.
“ Non preoccuparti per me, sono un medico, so quando il mio corpo mi invia segnali preoccupanti. Continua pure, ho bisogno di sapere”.
“ Mattia , anni fa, aveva scoperto la verità su sua madre”, continuò Victor, “ e cioè che, quell’incidente stradale di cui tu gli avevi parlato da ragazzo, in realtà non era mai avvenuto. Da quel giorno non si era dato più pace. Voleva incontrare sua madre, sapere, capire cosa fosse veramente successo. Puoi solo immaginare cosa abbia potuto provocare, in un animo così sensibile come quello di Mattia, una notizia del genere”.
“ Quindi era venuto in Francia per conoscere la madre? Come aveva saputo che lei viveva qui e, soprattutto , da chi?”, chiese Giorgio, completamente fuori di senno.
“ Mi aveva raccontato che, quando era bambino, aveva notato una certa tua reticenza nel raccontargli della notte dell’incidente e che tu eri solito parlargli pochissimo di sua madre. La cosa lo aveva molto insospettito, al punto tale che aveva iniziato, di nascosto da te, una lunga serie di ricerche personali sul fantomatico incidente, in cui avrebbe perso la vita sua madre. Incidente che, poi, seppe, non essere mai avvenuto. Non gliel’ha detto nessuno, Giorgio. Lo ha capito da sé. Si vede che non sei così bravo a mentire e, soprattutto, che Mattia conosceva te più di quanto tu conoscessi lui”, concluse adesso Victor, con una leggera punta di ironia.
Improvvisamente Giorgio si rese conto di quanto fosse stato stupido e, anche, presuntuoso nel credere che suo figlio non avesse mai messo in dubbio le sue parole. Aveva, tra l’altro, sottovalutato anche la sensibilità del figlio. Era stato cieco al punto tale da non accorgersi del tormento di Mattia, da non avere il benché minimo sospetto riguardo le sue ricerche segrete. Era sempre stato convinto che tutto andasse per il meglio e che fosse riuscito a dare al figlio tutta la serenità che meritava, nonostante le bugie che gli aveva raccontato.
“ Sono sicuro che ti interesserà sapere come si sono poi succeduti gli eventi”, proseguì Victor.
“Certo che voglio sapere e, stavolta, ti pregherei di non tralasciare più nulla!”, si affrettò a dire Giorgio , con tono autoritario di chi non ammette repliche.
“ Non è stato facile, per Mattia, trovare sua madre ma, soprattutto, avere con lei il tanto desiderato incontro. Isabella , per mesi, ha inventato scuse su scuse per evitare di guardare in faccia suo figlio e dargli tutte le spiegazioni che, credo, meritasse. Fino a quando un giorno, Mattia, colto dalla disperazione, l’ha attesa per ore fuori al luogo dove lei si esibisce”.
“ Si esibisce? Perché cosa fa adesso mia moglie, la spogliarellista nei night club dei bassifondi parigini?”, chiese Giorgio con tono sprezzante e canzonatorio allo stesso tempo.
A Victor sfuggì una leggera risatina ma, riguardando in volto Giorgio, si rese conto che lui non aveva nessuna voglia di scherzare e, quindi, riprese il tono serioso di poco prima:
“In realtà, la madre di Mattia si esibisce in un teatro di Parigi, è un soprano ma , credo, non abbia ancora avuto tutto quel successo che ha tanto inseguito nel corso degli anni. E’ sconosciuta ai più e le critiche che ho letto circa le sue esibizioni, non sono tra le più esaltanti!”.
“ Quando è scappata via da casa come una ladra, aveva tantissimi sogni da realizzare, immaginava per lei un futuro roseo. Ha “sacrificato” me e suo figlio sull’ altare del successo e, oggi, si ritrova a fare la soubrette da due soldi in uno squallidissimo teatro parigino. Sono sollevato nel sapere che nemmeno con lei la vita è stato così gentile, sarebbe stato il colmo”, riprese Giorgio, con un evidente moto di soddisfazione.
“ Mattia era rimasto molto ferito dall’incontro con la madre. Lo ha liquidato in tutta fretta, rifiutandosi di dargli spiegazioni, dicendogli di chiedere tutto a quel fallito di suo padre. Non lo ha nemmeno guardato negli occhi, non una carezza, un abbraccio, una parola d’affetto. Come è possibile, Giorgio che una madre arrivi a tanto? Come è possibile?, disse Victor, mentre due grossi lacrimoni gli rigavano le guance.
“ Purtroppo non so darti una spiegazione , Victor. In questo momento penso soltanto alla delusione del povero Mattia, al suo ultimo e disperato tentativo di conoscere la donna che lo ha generato, prima che la terribile malattia che lo opprimeva, lo portasse via per sempre. Se ne è andato via oltre che solo, seminudo e magro, soprattutto infelice, profondamente infelice, povero figlio mio!”
“ Ho saputo, poi, che la tua ex moglie ha un’altra famiglia, un marito e due figli ma non l’ho mai detto a Mattia. Non volevo che il suo dolore divenisse ancora più acuto e insopportabile di quello che non era già. Anche, se, credo, che lui lo avesse scoperto e non ha avuto il tempo o, forse, la voglia di condividere con me le ultime tristi verità”, concluse Victor col capo chino e con gli occhi umidi.
Ora sapeva tutto Giorgio, tutti i pezzi del puzzle erano perfettamente incastrati l’uno dentro l’altro a costruire un macabro mosaico. Gli restava un’ultima cosa da fare adesso: dare un lungo abbraccio e l’ultimo saluto a quel figlio così bastonato dalla vita ma che era stato capace di conservare l’ animo candido del giglio, fino alla fine.
Prima di salutarsi, Victor volle che Giorgio sapesse che il desiderio di Mattia era sempre stato quello di essere cremato dopo la sua morte e, aveva chiesto più volte, che le sue ceneri fossero riportate lì dove era nato e cresciuto e sparse al vento affinché la sua anima potesse essere eternamente libera di scoprire il mondo, da vivo come da morto.
Era arrivato il momento dei saluti adesso, anche per i due uomini. Giorgio e Victor si strinsero in un abbraccio che sapeva di eterno; Victor sentì che, anche se per poco, aveva finalmente potuto godere della presenza di una figura paterna nella sua vita e Giorgio aveva ritrovato sul volto e negli occhi di Victor, la stessa aria disincantata e sognatrice che aveva più volte vista impressa sul volto di suo figlio.
Erano trascorsi oramai tre mesi dal viaggio che Giorgio aveva fatto a Parigi, da quando, cioè, Mattia aveva scelto per sé stesso un’altra vita, più semplice e più leggera di quella terrena.
Giorgio aveva lentamente ripreso a sopravvivere perché è questa l’unica cosa che fai quando perdi un figlio: sopravvivi.
Le giornate , per lui, erano scandite dagli stessi ritmi e dalla stessa monotonia di sempre e dalla compagnia allegra e sbarazzina di Sleepy.
Quella mattina Giorgio, uscendo in giardino, aveva ritrovato una lettera, speditagli da Parigi qualche giorno prima, da una persona a lui sconosciuta. Rientrando, frettolosamente, in casa, Giorgio la aprì e lesse:
“ Carissimo Signor Zangrilli, anche se non ci siamo mai conosciuti è come se la conoscessi da sempre. Chi le scrive è la madre di Victor, il compagno di suo figlio Mattia. Ho saputo da lui le tristissime vicende degli ultimi mesi e ci tengo a porle le mie più sincere condoglianze.
Posso capire perfettamente il suo dolore di padre perché è lo stesso dolore che, adesso, provo io come madre. Pochi giorni fa anche Victor ha seguito Mattia dopo settimane di lenta e insopportabile agonia. Immagini il dolore che una madre può provare vedendo il figlio spegnersi lentamente tra atroci sofferenze e non poter far altro che limitarsi a stare lì a guardare. Il senso di impotenza che ti invade è quello che di più insopportabile ci sia. Victor mi ha parlato molto di lei, ci teneva tanto a salutarla per l’ultima volta ma non ne ha avuto il tempo e così lo faccio io per lui.
La ringrazio per i pochi giorni che ha trascorso insieme a mio figlio raccontandogli del suo amatissimo Mattia. La ringrazio per aver messo al mondo una creatura così speciale che ha reso magici gli ultimi anni della vita di mio figlio.
Porgendole i miei più distinti saluti, mi auguro di poterla incontrare presto.
Melanie Ardent.
Il foglio bianco che Giorgio continuava a rigirarsi tra le mani, su cui erano scritte queste poche parole, era adesso bagnato di lacrime, bagnato di dolore, quel dolore che non ti fa essere mai più com’eri prima, quel dolore, mai sopito, mai rimarginato che, oggi, riprendeva, copiosamente, a sanguinare. Sarebbe bello poter incontrare, un giorno, questa donna, questa madre e condividere con lei lo stesso dolore, la stessa solitudine, la stessa struggente malinconia.
Mentre era avvolto da questi cupi pensieri, il suono stridulo del campanello, lo fece ridestare e lo portò fuori da questo mondo lontano nel quale era precipitato.
Aprendo l’uscio di casa, fu questa la scena che gli si presentò davanti:
“ Ciao Giorgio, come và? Ti ritroveresti per caso due uova? Sai la mattina non riesco proprio a farne a meno”, stava dicendogli il vicino con un sorriso indifferente al dolore di quest’uomo così provato.
Ecco che, pensò Giorgio, tutto ricominciava esattamente lì da dove tutto era finito.
Direi che è il racconto più intenso che abbia mai letto. C’è un mix di tenerezza, malinconia e speranza che rapisce il lettore in un turbine di immagini e di sensazioni. Traspare un’energia descrittiva nella quale si scorge l’indifferenza degli spazi impersonali, il dramma dell’amore “speciale” (come l’autrice lo definisce), la solitudine angosciante che muove l’esistenza grazie ad un amore paterno che travalica i confini del consueto e che sa superare la disperazione. Un racconto, insomma, da leggere e che difficilmente può essere dimenticato.
Dopo “Philadelphia” diretto da Jonathan Demme , l’amore omosessuale è stato sdoganato, in libreria è di questi giorni l’uscita di Splendore della Mazzantini, in questo breve ma delicato racconto ho trovato interessante la sofferenza e la voglia di riscatto quella stessa che anima il personaggio interpretato da Tom Hanks nell’omonimo film. Un lavoro dunque che non passa inosservato.