Premio Racconti nella Rete 2014 “Rasoi” di Enrico Losso
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Nel cenno che mi rivolge Agostino quando vede il mio mento ispido ci sono liofilizzati trent’anni di conoscenza. Troppe parole le sentiamo inutili, per tacito accordo.
Saverio è uno dei pochi clienti che mi è rimasto, dopo che si è saputo del fatto. Uomini che venivano anche più spesso rispetto alla velocità di ricrescita dei loro peli non si sono fatti più vedere.
Agostino usa il rasoio a serramanico, se sa che lo preferisci. A me ha chiesto così tanto tempo fa quale tipo di lama volessi sentire sulla pelle, che non ricordo nemmeno più di avergli indicato quello.
Di Saverio so pochissime cose, oltre il fatto che posso usare il rasoio che ho ereditato da mio padre. Parlerebbero di più i pesci del mio acquario, se avessi un acquario.
Annuso il profumo di menta della schiuma che mi solletica le narici. Dovrebbe far scattare l’interruttore nella stanza dei ricordi, ma rimane buia, questa mattina.
Una volta mi piaceva far ondeggiare il rasoio sulla coramella. Era un gesto d’istinto e di lavoro, mi faceva avere un ruolo in questo mondo: tagliare barbe. Una volta.
Il rumore dell’acciaio che sfrega il cuoio mi fa sbattere due volte le palpebre. Stiro un po’ la schiena. Le chiacchiere leggere pesano, e sollevare pesi è il passatempo dei giovani. Io sono vecchio, secondo la mia carta d’identità.
Mio padre e l’esperienza mi hanno insegnato che chi paga decide. Conosco la bocca avara di Saverio. E ordino alla lingua di calmarsi. Anche se oggi le parole mi premono sui denti.
La lama danza sulla mia pelle. Si scava trincee nella neve. Ha una missione come me, oggi. Sgombrare il campo da cose superflue e fare il proprio dovere.
In questa città grande che è esplosa e ogni giorno, sempre di più, distanzia le persone fra loro, non ho nessuno con cui sfogarmi. Né amici, né moglie. E neppure più un figlio.
Mentre la lama sale lenta all’altezza del pomo d’Adamo, penso al motivo che mi ha spinto fin su questa poltrona. E mi verrebbe anche da ridere, se non rischiassi di tagliarmi. Devo parlare.
Devo parlare, altrimenti scoppio. Il bisogno è più forte persino della mia etica professionale. Il mio esordio non è da antologia, è un “Fa caldo fuori”, mentre la mia mano compie movimenti fluidi.
Un contropiede che mi ha spiazzato, nel linguaggio del bar. Agostino ha usato parole non strettamente necessarie. In trent’anni l’ha fatto pochissime volte. Do un piccolo colpo di tosse come risposta.
Pensavo che sarei stato più imbarazzato. Le frasi mi escono invece compatte e veloci, come tronchi che vengono fatti rotolare fino al fiume. E vorrei che il fiume le portasse lontano.
Il ritmo della rasatura rallenta, quello della voce aumenta. Mi parla di cose sempre più private. Alcune le conosco già, ma non me le aveva dette lui. Aveva un figlio che non c’è più.
Comincio dai fatti. Si parte sempre da quelli. I fatti certi non sono interpretabili. I ritrovamenti dei cadaveri, l’accusa a mio figlio. E il suo suicidio.
Agostino ha tenuto aperto il negozio anche dopo il lutto, avvenuto quasi un anno fa. Il gesto è stato interpretato come il suo modo per difenderne il ricordo e ribadirne l’innocenza.
Dico: “Nessuno può capire cosa si prova se non ci si passa in mezzo. Ma chi può passare in mezzo a un orrore tale? Plasmi un figlio utilizzando solo le parti migliori di te, o almeno così pensi. Ma lui si storce, si annoda, si perde. Non era un santo, ma non ha mai ammazzato nessuno.”
Le accuse parlano di quattro morti ammazzati. Sfregiati con furia. Le indagini, con molta fatica, si sono concentrate sul figlio di un barbiere. Lo hanno puntato dall’alto, come uno stormo di corvi. Poi sono planate giù.
Insisto: “In mano avevano solo indizi e non prove certe. Come faccio a immaginare mio figlio un assassino? O, peggio, un serial killer, come veniva definito nei titoli in prima pagina? Era solo un infelice. Si drogava talvolta. Rubava, forse. Ma rimaneva un innocente infelice.”
Chiazze di rossore gli colorano la pelle molle del collo. Si infervora e gesticola. E in mano tiene un rasoio. La mia barba è fatta per un terzo. Una gocciolina di saliva mi colpisce la punta del naso.
Rincaro: “Si è gettato sotto un treno, ma è come se lo avessero spinto. Tutti insieme: il magistrato, gli inquirenti, i giornalisti. Rimaneva dell’amor proprio in quel corpo. E tanta vergogna per essere stato crocifisso.”
Sono in lieve imbarazzo. Mi gratto leggermente un occhio anche se non mi prude. Rifletto sul motivo che mi ha spinto fin qui: il messaggio che voglio portare.
Le parole ormai saettano da sole: “E dopo il suicidio di mio figlio, altri due morti. Stesse modalità, stesso rituale, come lo hanno definito i quotidiani. Allora sono affiorati i dubbi. Maledetta macchina della giustizia, chi mi ridarà mio figlio?”
Occhi negli occhi. Occhi di padri, perché anch’io ho un figlio. E sarà della stessa età, anno più anno meno, di quella che avrebbe adesso il suo. Sospira e riprende a rasarmi in un solo movimento.
Forse è sufficiente ciò che ha sfiatato finora la mia bocca. Forse non serve avere un cenno di conforto per quello che ho passato. Forse Saverio non può capire. Forse.
La lama del rasoio mi ha accarezzato la gola. Avevo paura che la mano di Agostino potesse tremare. Ma ha nei nervi anni di allenamento. È precisa ed efficiente, come adesso che sciacqua la lama. Dico: “Anch’io ho un figlio”. E il rasoio gli scivola nel lavandino.
La voce di Saverio ha lo stesso timbro di un attore. Mi ha colto di sorpresa e un piccolo taglio sul polpastrello del dito medio mostra qualche goccia di sangue.
Inumidisco le labbra prima di continuare. Poi la lingua spinge fuori le parole: “Mio figlio ha quasi quarant’anni. Li compie il prossimo mese. Si chiama Simone. E fa il magistrato.”
Abbasso la leva del miscelatore. Il getto d’acqua si arresta. Guardo il sangue che esce sempre meno timido, ma chi comanda adesso sono le orecchie.
Dico: “Se conoscessi il suo – il mio – cognome, inizieresti a capire. È come pensi, sì. Il magistrato che ha condotto le indagini sul killer Mani di Forbice. Non so chi gli abbia affibbiato per primo questa definizione cinematografica, poi tutti hanno iniziato a chiamarlo così. Ma più corretto sarebbe stato Mani di Rasoio.”
Tampono il sangue con un batuffolo di cotone. Proprio non ce la faccio a voltarmi. Sono inchiodato. Le parole mi scrosciano battenti sulle spalle.
Continuo: “Mio figlio mi ha parlato molto di questa indagine. Mi ha rivelato anche dettagli che non avrebbe dovuto far trapelare. Ma siamo molto legati, molto confidenti, da sempre. Gli ho giurato che non ne avrei parlato con nessuno, e invece sono qui.”
Il sangue continua a uscire. Con esso defluisce anche la mia forza. Compio un gesto che ho già compiuto mille volte. È buffo rendersi conto di quanti gesti effettuiamo infinite volte. Afferro il rasoio, faccio rientrare la lama, accarezzo il manico lucido.
Insisto: “Perché sono qui? Perché ti conosco da trent’anni, fai parte della mia storia, se così si può dire, anche se di te posso dire di non sapere quasi nulla. Mi sento in dovere di farti un favore.”
Il manico in madreperla è macchiato. D’istinto porto la mano destra a stropicciarmi il volto. Lo faccio sempre quando sono teso. Un attimo dopo, mi rendo conto di essermi sporcato la faccia di sangue. Riapro il rasoio, sfioro col piatto della lama il palmo della mano.
Non sento disagio, né imbarazzo, né paura. Voglio completare tutto il mio discorso. Solo alla fine avrò compiuto per intero il mio dovere. Sussurro: “Stanno per venire a prenderti.”
È l’impatto col treno che vuoi e che temi, inginocchiato sulle rotaie. Mi giro lentamente. Una stanchezza improvvisa mi riveste come un’armatura. Gli occhi azzurri di Saverio si allargano, le sue labbra leggermente si schiudono.
Agostino ha delle scie rossastre sul viso. Perde gocce di sangue dalla mano che tiene il rasoio. Respiro a fondo. Faccio uscire la voce che si è rintanata in gola come un coniglio. Cerco di modularla nel modo più naturale possibile: “Non ho paura”.
Di cosa dovresti avere paura Saverio? Di un vecchio schiacciato dalla vita? Di un padre che ha lottato con tutto se stesso per salvare suo figlio? Di un uomo che finirà i suoi giorni dietro le sbarre? Lascio cadere il rasoio a terra.
Sono soddisfatto del tono neutro che riesco a utilizzare: “Tuo figlio era un assassino, Agostino. Era malato, voleva uccidere. Hai cercato di coprirlo in tutti i modi, di proteggerlo, di salvarlo. E quando si è gettato sotto il treno prima di essere preso, tu hai cercato di proteggerlo anche da morto. Sei arrivato ad ammazzare due persone, con le modalità di tuo figlio, per sviare le indagini e cercare di riabilitarlo.”
Ormai tutte le forze mi hanno abbandonato. Mi accascio sull’altra poltroncina. C’è comprensione nelle parole di Saverio, oltre la condanna. O almeno credo di averla colta, fra tutto questo rumore di sirene.
Ciao Enrico,
Il tuo racconto mi ha intrigato e tenuto sulla corda. All’inizio sembra una storia di banale quotidianità espressa in stile telegrafico ma con un linguaggio, a mio avviso, piuttosto poetico, poi sfocia in un’atmosfera squisitamente noir, che rende benissimo i sentimenti dei protagonisti. L’unica cosa è che ho trovato poco chiara (perlomeno all’inizio del racconto) è stata la distinzione dei due personaggi. Non capivo se ce n’era uno solo con i suoi pensieri, o due colleghi rivali ecc. Secondo me, visto la tua scelta stilistica fuori dal comune (comunque di buona presa), una piccola introduzione del narratore (anche solo di una riga ma che instradi subito il lettore a visualizzare i due protagonisti) ci stava. Complimenti, comunque, perché le atmosfere noir che hai saputo creare mi hanno letteralmente dato i brividi.
Ciao Sonia
Ciao Sonia,
grazie mille per i complimenti. L’idea di tenere il lettore un po’ in sospeso all’inizio e non “accompagnarlo” troppo era voluta (ovviamente una scelta che si può discutere, comunque un effetto voluto). Ciao!
Racconto particolare sia per contenuto che per modalità stilistica, di difficile lettura all’inizio, poi pian piano si entra nel vivo della storia leggendola tutta d’un fiato . Finale a sorpresa. Mi è piaciuto molto.
Grazie Francesca!
Idea originale per una storia che si svolge…sul filo del rasoio.
Ben scritta, bravo Enrico.
🙂
Sono d’accordo con le opinioni espresse dagli altri lettori. Complimenti ,il tuo è un racconto che trascina nella lettura, originale e sorprendente.
Grazie Maurizio! Grazie Luigi!
Si sentono molto bene le emozioni dei due padri, ognuno con la lama pronta a tagliare, entrambi spinti da un movente “buono”.
Frasi come:
“Annuso il profumo di menta della schiuma che mi solletica le narici. Dovrebbe far scattare l’interruttore nella stanza dei ricordi, ma rimane buia, questa mattina.” e “La lama danza sulla mia pelle. Si scava trincee nella neve. Ha una missione come me, oggi. Sgombrare il campo da cose superflue e fare il proprio dovere.” disegnano immagini suggestive nella mente di chi legge. Bella scelta stilistica! Complimenti.
Silvia
Grazie del bellissimo commento, Silvia:-)
Mi piace, è molto originale e ha uno stile personalissimo.
Grazie mille Mara!
Nonostante anche per me le le primissime righe siano state un po’ disorientanti, concordo: trama ben costruita, con uno svelamento graduale che cattura l’attenzione. Bello.
Grazie Sergio!
Enrico, non avevo ancora letto il tuo racconto, ho rimediato, con un po’ di ritardo. L’ho trovato bellissimo, un flusso di coscienza ben costruito, e poche frasi essenziali che alla fine spiazzano il lettore. Ed io, dato che hai deciso di dare una veste grafica volutamente diversa ai due flussi, ho deciso di “scomporre” i fattori così: prima ho letto tutta la parte di Agostino, poi quella di Saverio e poi ho riletto tutto il racconto. Bravissimo, sarà un vero piacere incontrarti a Lucca. Liliana
Ciao Liliana, ti ringrazio molto. anch’io ho letto il tuo racconto e ti devo fare i complimenti per come hai saputo “fotografare” l’immagine così vera e triste del bambino soldato. ci vediamo a Lucca! enrico
Ciao Enrico, devo dire che il tuo racconto l’avevo letto un po’ di tempo fa ma in maniera molto, troppo veloce. Ora che mi ci sono dedicato come si deve confesso che la mia impressione a caldo non era infondata: l’ho trovato davvero molto accattivante, e originale come stile di scrittura. Bravo! Ci si vede a Lucca!
Grazie Marco! anche il tuo racconto l’ho apprezzato molto.Ci vediamo a Lucca!