Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2014 “C’era una volta Sami” di Giorgia Spurio (sezione racconti per bambini)

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014

Mi chiamo Sami e vivo in un luogo come il tuo, fra una delle tante città e dei tanti grattacieli.

Forse dovevo iniziare con un “C’era una volta un bambino”. Ma perché inventarsi che è un altro bimbo, se parlo di me.

Mi piace tanto correre e saltare. E vado in giro per il mondo con mio nonno.

Ha delle piccole rughe attorno agli occhi e sembra che prenda sempre il sole per la sua carnagione.

Ha baffi e capelli bianchi. Quest’ultimi legati in un codino, e in bocca tra le labbra ha sempre un sigaro che non ha mai coraggio di accendere. È il suo unico sigaro sempre messo da parte per le occasioni speciali.

Sto conoscendo tanti bambini, ogni tre mesi il nonno mi iscrive in una scuola diversa.

E sto conoscendo tante maestre che mi chiedono dei miei genitori.

Ma io ho solo il nonno.

E lui mi risponde sempre alla stessa maniera.

“Sami, a tuo padre è successo come i nostri antenati. Tu la sai la storia dei nostri antenati.”

Ed io faccio sempre cenno di no, perché so che muore dalla voglia di raccontarmela.

“ Ebbene tanto tempo fa la nostra famiglia era sempre in viaggio. Un po’ come tu con me. All’inizio erano solo un uomo e una donna che si amavano tanto. Poi decisero di comprare un carro e un cavallo. Ma i soldi erano pochi. Così la donna decise di chiedere spiccioli ai passanti. Riuscirono a racimolare una somma discreta, ma non bastava per un cavallo giovane e forte, e dovettero accontentarsi di un animale docile e anziano. Presto la famiglia aumentò, e il carro sembrava sempre più piccolo per tutti, e il cavallo si affannava. La famiglia continuò ad aumentare e ogni giorno c’era un bambino nuovo. A volte qualche bambino cadeva, e di giorno il papà lo vedeva e lo raccoglieva. Ma di notte il buio nascondeva ogni cosa. E i bambini si spargevano per il mondo.

Così successe a noi due, Sami: sei caduto da quel carro e io con te”- il nonno terminava i suoi racconti con un sorriso e sbuffando come se stesse fumando realmente quel sigaro spento.

Nella roulotte mi sdraiavo nel mio letto, mentre il nonno nella brandina sotto di me russava e sognava di essere ancora un ragazzo bello e affascinante. Sbirciavo le stelle dal finestrino cercando di ricordare il volto della mia mamma. Ma se non l’avevo mai conosciuta, come facevo a ricordarmela.

Allora mi immaginavo i miei genitori come la favola che mi raccontava sempre il nonno.

Mi narrava la storia di un re tanto attraente quanto sapiente, e di una regina la cui bellezza era invidiata anche dalle dèe. Il re aveva un asino al quale, si era giurato, avrebbe insegnato, infondendogli la sapienza. Ma una volta arrivò un terribile diluvio che ingoiò paesi e monti. La regina per vedere cosa succedesse si affacciò dal suo alto palazzo e cadde in acqua. Il re innamorato si buttò per salvarla, però entrambi si persero nel blu del mare che aveva sommerso ogni cosa. Rimase solo l’asinello che per cibarsi si trovò costretto a nutrirsi dei libri del re.

Ed io fantasticavo su quella storia, sognando la mia mamma dalla tenue abbronzatura con un diadema d’argento a raccoglierle i lunghi capelli e il mio papà forte e coraggioso con una corona a cingergli il capo.

Dicevo ai miei compagni di scuola che ero un principe. Ero il figlio di un re e di una regina di un regno molto lontano.

Ma un giorno nel parco, vicino al parcheggio dove avevamo fermato la nostra casa su quattro ruote , un bambino mi spinse facendomi cadere e sdegnandomi: “Non dire fandonie. Tu sei solo uno zingaro!”

Non era la prima volta che mi urlavano quella parola. Mi pulii per far cadere la terra che si era attaccata ai miei pantaloni. Non potevo piangere davanti a lui. La prima cosa che mi ha insegnato il nonno è l’orgoglio. Spinsi anche lui, e poi feci la cosa che più mi riesce: correre.

Il nonno era seduto alle scalette della roulotte e intagliava statuette di legno.

Non lo degnai di uno sguardo e mi rifugiai dentro.

Ero arrabbiato con il mondo intero e tenevo il broncio.

“Che cosa succede, Sami?”- mi domandò il nonno, posando il suo cappello.

Lo fissai. Adoravo guardargli gli orecchini che gli dondolavano.

“Nulla”-risposi.

“Non dirmi bugie, Sami”- replicò il nonno sedendosi vicino a me e poggiando la testa.

Lui fa sempre così, chiude gli occhi e attende.

Dopo pochi minuti, io mi sento come per soffocare e racconto tutto.

“Un bambino mi ha chiamato zingaro”-risposi.

Il nonno non si mosse, ma sospirò.

“Lo sai cosa significa zingaro?”

Restai zitto.

“Quel bambino te lo ha detto per offenderti. Ma dovresti tornare da lui e spiegargli cosa significa, sai, perché zingaro non è una brutta parola. Noi siamo come i pirati che vanno per mare, solo che noi invece viaggiamo per il pianeta senza usare né navi né remi. Siamo zingari, è vero, perché il nostro sangue ha bisogno di conoscere i paesi di tutto il mondo. Abbiamo una missione, Sami, ritrovare il carro che ci ha perso.”

Guardai il nonno. Ero il figlio di un re e di una regina, ed ero come un pirata.

Sorrisi.

“Bene, Sami. Mi piace quando sorridi. Ed ora andiamo al parco a chiedere scusa a quel bambino e a spiegargli chi sono gli zingari”-dichiarò il nonno alzandosi.

Sistemò il suo cappello sulla testa e mi accompagnò.

Feci caso che il bimbo stava giocando con altri.

Mi avvicinai e lo chiamai.

Mi guardò con diffidenza.

“Io ti chiedo scusa per averti spinto”-dissi.

Lui mi sorrise: “Anche io ti chiedo scusa.”

Ci mettemmo a ridere e ci stringemmo le mani, la sua bianca come il latte e la mia scura come un foglio sporco di pece.

“Io sono Marco”- affermò.

“E io mi chiamo Sami”- dichiarai – “Sai, io racconto sempre quella storia perché essere zingari significa essere un po’ come dei figli di un re e di una regina che viaggiano per il mondo come dei pirati”- spiegai a lui.

A Marco piacquero le mie storie, mentre il nonno ci guardava soddisfatto.

“E c’è anche un’altra leggenda molto bella, sapete”- improvvisamente disse il nonno sedendosi vicino a noi sull’erba – “Ed è una leggenda che parla di voi due.”

Marco ed io ci guardammo incuriositi.

“Un tempo non c’era l’uomo, ma solo Dio. Ed Egli volle creare poi l’uomo a sua immagine. Così prese acqua e farina e impastò. Fece tanti piccoli uomini e li mise nel forno. Purtroppo se li dimenticò dentro, e quando se ne ricordò erano ormai diventati neri neri. Questi erano gli uomini a cui fu donata soprattutto l’Africa. Dio preparò poi un altro impasto e con la paura che si bruciassero, li tirò fuori in anticipo e questi erano bianchi bianchi. Erano gli uomini a cui fu donata soprattutto l’Europa. Allora Dio ebbe un’idea, e inventò il tempo e l’orologio, così riuscì a togliere gli uomini dal forno cotti a puntino. Questi erano gli zingari!”-ci fissò- “Provate un po’, se vi toccate la pelle vi accorgerete che siete fatti della stessa pasta.”

Detto ciò il nonno si alzò, e dopo un inchino, si diresse alla roulotte.

Marco mi toccò la guancia, ed io accarezzai la sua.

Avevamo le guance della stessa morbidezza. Era proprio vero, eravamo fatti della stessa pasta.

Con Marco divenni grande amico, quando purtroppo arrivò il giorno della partenza.

I bambini della mia classe vennero a salutarmi. I bimbi del parco mi abbracciarono.

“Promettimi che ti farai sentire!”- esclamò Marco lasciandomi il numero di telefono di casa sua.

“Te lo prometto”- giurai stringendolo forte.

Mi accorsi in quel momento che Marco aveva tra le mani un pacchetto: era un regalo per me.

“Mi devi promettere che lo aprirai quando sei sulla roulotte e in partenza”.

Glielo giurai con la mano sul cuore.

Ammetto che trattenni le lacrime: un uomo non può far vedere che sa piangere.

Salutai tutti, con tristezza, e montai su.

“Siamo pronti, Sami? Una nuova avventura ci attende e anche dei nuovi amici”-  diceva il nonno alla guida.

Io facevo finta di ascoltarlo, mentre farneticava chissà quali peripezie.

Io guardavo il pacchetto di Marco.

Lo scartai con cura.

Era un diario.

Lo sfogliai, pagina dopo pagina.

Marco aveva scritto tutte le storie che gli avevo raccontato della mia gente.

“La leggenda dei sovrani Rom”, “I pirati in viaggio”, “Il carro e i bambini sparsi per il mondo”, “Siamo fatti della stessa pasta”, erano presenti tutte le leggende che gli avevo narrato.

All’ultima pagina era scritta pure una sua dedica:

Al mio amico migliore,

che terrò sempre nel cuore, a lui che è coraggioso come i suoi genitori e i suoi antenati.

Ho scritto questo diario perché così nulla sparisce.

Mi avevi raccontato la storia dell’asino che aveva mangiato tutti i libri della letteratura Rom, adesso è tutto di nuovo scritto.

Questo diario è per il mio amico che è forte e coraggioso come le sue fiabe.

Marco

Mi sfuggì una lacrima che raccolsi di nascosto con la mano e sospirando chiusi il diario.

Mi accorsi allora, che sulla copertina era scritto un titolo.

Focalizzai, cercai di dare nitidezza all’obiettivo, praticai le regole della grammatica che mi aveva insegnato la maestra, poi spalancai gli occhi e, con sorpresa e gioia, lessi:

C’era una volta Sami.”

 

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5 commenti »

  1. La fiaba è molto ben congegnata, penso che letta ai bambini ( e perchè no a qualche adulto) riuscirà a far pervenire il messaggio di ripsetto e tolleranza che penso voglia trasmettere.complimenti.

  2. grazie mille, Luigi!
    🙂

  3. bello ed educativo! brava!

  4. vi ringrazio,
    grazie,Silvia!

  5. Forte intenzione educativa,di rispetto per questo popolo così bistrattato..Sono certa che i bambini capirebbero.Gli adulti? Non so,speriamo!

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