Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2014 “Sotto l’egida della Balena” di Milena Catalano

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014

Alla fine, più per malsano orgoglio che per una matura fiducia in se stessa, Lidia aveva deciso di partecipare ai mondiali di categoria Master, aperti a tutte le ex atlete ultraventenni che hanno abbandonato l’agonismo ma che la nostalgia richiama alla necessità della competizione, seppur più docile. Per sette anni era stata ferma, aveva allenato una squadretta di provincia a livello amatoriale, giusto per guadagnare un po’ di soldi. Ma di entrare in acqua non aveva più voluto sapere.

L’ambiente agonistico di tutti gli sport è piuttosto spietato, questo lo si sa. Quando si è costretti a dei ritmi estenuanti in vista di un obiettivo raggiungibile solo con le unghie e coi denti, si arriva a un tale livello di nausea che la defezione prima o poi è ineluttabile, e la conseguente depurazione da quell’ambiente può durare alcuni anni. Questo naturalmente non succede a tutti. Ma Lidia aveva tirato troppo la cinghia, aveva avvitato le viti così strette da non respirare più e non accorgersi che esisteva un mondo fuori dall’acqua. A diciotto anni aveva mollato ed aveva finalmente iniziato a vivere. Adesso di anni ne aveva venticinque e da nove mesi l’aveva invasa quella nostalgia un po’ melensa per la sua vecchia carriera atletica. Così aveva deciso di ricominciare ad allenarsi con una certa sistematicità. Il suo corpo si era subito riadattato alla riconciliazione con l’acqua, come ci si ritrova subito con un vecchio amico che credevamo perso e di cui avvertivamo una forte nostalgia, e dopo un lungo distacco il ritorno è più consapevole e appassionato. Aveva appurato con sorpresa di non essere invecchiata affatto. La flessibilità era la stessa di quando aveva quindici anni, la forza era addirittura aumentata, ma ciò che l’aveva sbalordita di più era la resistenza, la pazienza e la coscienza di sé che aveva maturato in quegli anni di silenzio fisico. Non perdeva più la concentrazione come una volta, non lasciava mai gli esercizi a metà, aveva un senso dell’equilibrio, una percezione cinestesica del suo corpo che sette anni prima neanche avrebbe immaginato.

Il giorno della gara faceva un caldo spossante. Come ogni mattina da due mesi, Lidia aveva preso la sua bustina di magnesio e potassio dopo la colazione. Poi era andata a chiamare Monica nella stanza accanto alla sua, e insieme erano uscite dall’hotel per raggiungere la piscina a piedi. Quella settimana Riccione pullulava di atleti con i tesserini appesi al collo: pallanuotisti, nuotatori di ogni età e sincronette sfavillanti. Chi si recava agli impianti e chi tornava. Chi a gruppetti e chi solo. Chi festeggiava e chi portava addosso il peso della sconfitta. L’umore generale si manteneva comunque alto.

Quando si supera l’età del massimo rendimento fisico, ci si può ritenere orgogliosi anche solo di partecipare a una competizione sportiva. Rimettersi in gioco è la sfida maggiore: una volta intrapresa, la delusione della sconfitta diventa relativa, vincere è solo un’opzione in più.

L’atmosfera festosa dei mondiali contrastava l’afa inesorabile. Mentre camminavano sul prato attorno alla piscina dei tuffi, Lidia pensava divertita alla quantità di sudore – più per il caldo che per la fatica dell’allenamento – che in quei giorni si riversava su Riccione. Poi l’assalì l’ansia della gara, ad un tratto si sentì scoraggiata e non poté trattenersi dal dirlo all’amica:

  • Monica, tu non stai morendo di paura?

  • Si, un poco. Però no pasa nada. Quando tocca a me, entro nell’agua con una sonrisa, la musica me trasporta, faccio il mio balletto e ho finito.

  • Eh… la fai semplice tu. Come fate voi sudamericani ad essere sempre così tranquilli? Oddio che ansia… e se mi scordo il balletto?

  • Como que ti scordi il balletto? Ieri mi hai detto che lo provi da quattro mesi, che lo ripassi giorno e notte.

  • Si, ma magari per l’emozione mi dimentico tutto. O peggio, non mi reggono i muscoli, mi manca il fiato e a metà gara mollo… Oh, lo sapevo che non dovevo venire! Ma che me ne frega del confronto con gli altri? Non mi importava neanche quando gareggiavo a livello agonistico… Io non voglio dimostrare niente a nessuno, neanche a me stessa!

  • E allora porque sei venuta a fare i mondiali? Qui ci sono atleti de gran nivel, gente che ha fatto le olimpiadi. Però c’è anche gente che è venuta para divertirse, e qualunque sea el resultado, prende lo que de positivo c’è da prendere: l’esperienza. Io sono una di quelli. Escucha. Yo ero en la Nacional Argentina. Però ho dovuto scegliere tra estudio e sport. Così ho lasciato il nuoto sincronizzato e ora nella vita faccio l’avvocato. Sono soddisfatta. Questa gara è una cosa in più. Ho conosciuto te, ho fatto un viaggio in Italia, ed è bello essere in tanti qui. E’ come una fiesta sportiva.

  • Aspetta, aspetta… Ci conosciamo da quattro giorni, siamo vicine di camera, ci siamo fatte la crocchia a vicenda e mi dici solo ora che eri nella Nazionale Argentina?

Raggiunsero la piscina e cominciarono a fare stretching sul bordo vasca, in attesa dell’inizio della gara. Le atlete erano affaccendate nelle operazioni di routine pre-gara: si truccavano e si spalmavano la colla di pesce sui capelli tirati a formare la crocchia. Lidia scrutava l’espressione serafica dell’amica. Sembrava che niente la scalfisse. Neanche il dover esibirsi da sola in una piscina con tutti gli occhi puntati addosso. L’esser stata nella Nazionale Argentina per lei era come comprare un vestito o passare un esame universitario: non una cosa particolarmente degna di nota.

Lidia invece sentiva ribollire dentro le antiche paure, improvvisamente svegliatesi dopo sette anni di sedimentazione nel suo animo. Le vennero in mente i primi anni di scuola nuoto, quando sua madre la portava tre volte a settimana in piscina, e per lei era un supplizio. Da quando entrava in acqua si appollaiava sul bordo e non smetteva di tremare finché non la riportavano al sicuro negli spogliatoi, sotto la doccia calda. In particolare l’estenuante traversata dei cinquanta metri di vasca, e per giunta coordinando braccia e gambe, era ogni volta terrificante. Un lato della piscina era profondo quattro metri e mezzo. Ogni volta che attraversava quella parte, le appariva in mente l’immagine vivissima di una balena, grande quanto tutta la piscina, anzi no, quanto l’intero impianto. Emergeva dal fondo per cercare lei e per portarla negli abissi oscuri del mondo sottomarino, dove ogni cosa era indistinta e informe. La invadeva la paura dell’ignoto ovattato, le sembrava che non ci fosse scampo e allora nuotava più veloce sperando che il mostro marino non notasse proprio lei. Le sue gambe prendevano a battere forsennatamente per portarla al sicuro, nella metà di piscina con l’acqua bassa, dove la balena non poteva arrivare. Poi c’era stato il salto di qualità: l’allenatrice di nuoto sincronizzato l’aveva notata per il suo fisico smilzo e la sua naturale acquaticità, e aveva chiesto a sua madre di farle fare una prova. E di lì, si capisce, la balena era scomparsa portandosi via con sé l’angosciosa coercizione del nuoto. Non che il nuoto sincronizzato non preveda una cospicua parte di nuoto. La gente – di solito quelli che lo chiamano “balletto acquatico”, o “ginnastica in acqua” o “danza sincronizzata”- si chiede come facciano le ragazze a stare a testa in giù senza perdere l’equilibrio. Ma in realtà in pochi tengono conto che prima di danzare in acqua occorre saper padroneggiare alla perfezione gli stili del nuoto e sviluppare il fiato. E quello lo si fa solo nuotando molto. Ogni sport ha la sua meccanicità: la tecnica è un’arma mansueta che non si smette mai di affinare. Ogni singola inclinazione degli arti, ogni angolazione del corpo va cesellata con cura se si vuole ottenere il meglio.

Quel mondo per Lidia rappresentò l’obiettivo, la carota che si ottiene dopo il bastone, e in vista della quale il bastone stesso risulta più docile, come i cinquanta metri di vasca in apnea a rana, che dopo tanto allenamento ormai percorreva abitualmente con la quieta coscienza che riprendere aria quando sentiva di non farcela più era una sensazione potente, sublime.

L’altoparlante annunciò il suo nome. Era arrivato il suo turno. Monica le sorrise, solare. Adesso la tensione le faceva girare la testa, l’aria sembrava rarefatta quando inspirò l’ultima volta prima di tuffarsi. La musica si espandeva fluida nell’ovatta subacquea. Un flamenco sensuale e vellutato non più udibile solo con le orecchie, ma che le avvolgeva tutto il corpo. All’impatto con l’acqua la paura era improvvisamente sparita, il nodo alla gola si era ammorbidito e poi sciolto, si era determinato il senso del suo esser lì per gareggiare. In un attimo era nella notte azzurra e abissale. I raggi del sole si rifrangevano sul fondo della vasca come venatura luminose. Ogni cosa era al suo posto, in una sorta di quiete primordiale, fetale. La realtà fuori era svanita nella vertigine dell’indistinguibilità.

Cinque secondi di apnea catartica e poi comincia l’esercizio. Lidia sorrise, laggiù dove solo la balena poteva vederla sorridere. Tutte le preoccupazioni e le insicurezze ora si erano dissolte, proprio come quando aveva quindici o sedici anni e prima delle gare ogni volta vomitava e si agitava oltremodo, per tranquillizzarsi solo dopo il tuffo. Allora capì che all’ansia pre-gara – e in generale pre-esame – non ci si abitua mai, che quello era uno di quei processi a cui doveva accettare di sottoporsi e che, anche con l’accumulo di anni di esperienza, sarebbe rimasto invariato. Si, forse con l’età era riuscita a controllare l’ampia gamma di reazioni fisiche che passava in rassegna, però la base del meccanismo rimane invariata. Tutto sta nell’accettare di soffrire cercando di attutire quel senso di attesa angosciosa. Monica riusciva a farlo egregiamente, chissà come faceva.

Adesso tutta la concentrazione dell’universo convergeva in quel balletto. Con una spinta delle gambe il suo busto emerse dall’acqua fino al bacino. La routine del balletto prevedeva all’inizio dei movimenti di braccia che richiamavano il flamenco. Lidia assecondava l’automatismo dei movimenti che il suo corpo compiva. Alle braccia si sostituivano poi le gambe. Andava in apnea a testa in giù e i suoi piedi a punta fendevano l’acqua come matite appena temperate. Il suo corpo ruotava su se stesso. Le gambe si piegavano, si aprivano in ampie spaccate, sbattevano sull’acqua, poi scivolavano l’una sull’altra, anch’esse trasportate dal flamenco, mentre dietro le quinte – sottacqua – le braccia remavano per tenere su l’apparato artistico. Nel nuoto sincronizzato il corpo è letteralmente diviso a metà: gambe e braccia si alternano nello svolgimento del lavoro tecnico – che si compie interamente sottacqua – di supporto alla parte artistica, che è invece quelle visibile.

Gli ultimi venti secondi furono i più lunghi della sua vita. Era a corto di fiato e avvertiva un forte senso di cedimento alle gambe. La musica non la trasportava più con energia, ma la opprimeva soltanto facendole venire una gran voglia di mollare e accasciarsi sul bordo della vasca per riprendere fiato. E invece resistette, accettando anche di morire in acqua se fosse stato il caso. La musica cessò. Dagli spalti partirono gli applausi. Lidia si avviò verso la scaletta con le ultime energie che aveva, provando un forte senso di sollievo. Uscì dall’acqua e si avviò direttamente verso Monica, che la aspettava raggiante con l’accappatoio in mano.

  • Mira el tabellone Lidia! Ah, però… que resultado!

  • Non voglio saperlo il voto. Per una volta non voglio saperlo.

Lidia abbracciò Monica, prese il suo accappatoio e si avviò verso le docce. Si voltò verso la piscina e sorrise per l’ultima volta alla balena assopita sul fondo della vasca, immortale e maestosa.

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