Racconti nella Rete 2009 “27 settembre 2006” di Ernesto Liberati
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009Pomeriggio, l’aria è fredda ed umida, il sole non si vede chiuso ad ovest da dense grigie nubi.
Le stesse nubi che per tutta la giornata di ieri mi hanno fatto compagnia con la loro spessa e fitta pioggia. Oggi no. Questa mattina erano assenti, poi con inesorabile lentezza sono apparse limitandosi a chiudere il cielo, così, come a fare un dispetto.
Sono seduto sull’uscio della mia nuova casa, temporanea. Sono qui da una settimana e mi sembra a un tempo di esserci da sempre e di essere appena arrivato.
La signora Lina, una mite vecchietta d’età indefinita, mi ha intrattenuto con le sue ciarle circa l’umidità e i reumatismi, per qualche minuto.
E’ la classica nonna di paese: il viso solcato da rughe che ricordano gli innumerevoli solchi che avrà praticato da giovane sui campi duri ed avari di questa terra, gli occhi vivaci, colorati, pieni di umanità ed affetto, ma non privi di una certa forma di diffidenza. D’altronde sono sempre un estraneo, arrivato da poco in questo piccolo paese dove tutti si conoscono da sempre, e dove ognuno sa vizi e virtù, forze e debolezze di tutti gli altri. Sicuramente l’ho tranquillizzata dicendole che lavoro a scuola; un insegnante suscita sempre negli altri una certa forma d’empatia, di tranquillità.
Come se non fossimo anche noi capaci di gesti meravigliosi o deplorevoli come tutti.
Comunque non mi è dispiaciuto, anzi, è stata l’occasione per scambiare due parole, sebbene scontate e vuote, con qualcuno diverso da me. Non voglio essere superbo o altezzoso, non dico che è impossibile avere una conversazione interessante con qualcuno diverso da me, dico solo che a volte i discorsi di circostanza, quelli che riguardano il tempo, gli acciacchi, sono così scontati, noiosi.
Ed io di noia ne ho abbastanza. Ne sono completamente inesorabilmente ripieno. Mi guardo intorno, e non riesco a trovare nulla che mi emozioni, che mi colpisca, che mi faccia sussultare.
Non è sempre stato così, né è colpa della mia attuale condizione di esilio parzialmente forzato in questo “ridente” paesino. Il fatto è che sono deluso. Dalle circostanze, dalle persone che mi hanno circondato, dal mio stesso carattere, dalla mia stessa intelligenza. E sono stanco. Stanco di rincorrere ciò che vorrei e che non arriva, ancora.
Non parlo di sogni irraggiungibili, di ricchezze, di potere. Non voglio essere ricco. Credo che se fossi ricco passerei il mio tempo alla ricerca di cose che mi diano emozioni, convinto che sia possibile trovarle e trovarne sempre di nuove solo perché avrei soldi e tempo e arroganza per comprarle. Penso poi che a sera, o a mattina, al momento di andare a letto, prima di dormire sarei disperato. Sono convito che siamo soli, anche in mezzo a tanta gente. Siamo soli, sempre. Con noi stessi, con la nostra anima, con la nostra coscienza. Non esiste nessuno che ci possa far sentire in compagnia. Esistono persone che possono farci compagnia, che possono starci vicine, parlare con noi, condividere finanche sogni e speranze e delusioni e sconfitte. Ma nel nostro cuore, nel cervello, nell’anima, se esiste, siamo soli. Dobbiamo sempre, immancabilmente fare i conti con noi stessi. E quindi al momento di chiudere gli occhi, in quell’istante che sembra eterno, ed a volte lo è veramente, cosa potrebbe rimanere di decente di una vita passata a cercare di comprare emozioni? Una vita vissuta acquistando l’ultima automobile, il televisore più grande, la villa al mare e poi quella in collina che va tanto di moda? Non rimarrebbero che delle cose, che magari per un attimo sono riuscite ad entusiasmarci, a farci sentire migliori di quello che siamo in realtà. Cose che ci hanno donato piccoli ed esili lampi di gioia, vera?, ma che in cambio si sono prese brandelli di vita, d’anima, di dignità. Penso che tutti noi nel momento stesso in cui riceviamo i complimenti, le congratulazioni di altri, per la nostra macchina nuova o per la nuova casa grande e bella e assolata in posizione panoramica, ci siamo sentiti migliori degli altri. Più grandi, più intelligenti e furbi, autorizzati quasi a guardarli dall’alto in basso, dissimulando male e con falsa ipocrita umiltà, il nostro momento di gloria, l’attimo in cui ci siamo sentiti migliori di loro, migliori dei nostri cari, dei nostri amici, anche dei nostri amori.
Ma tutto questo non è un modo come un altro di perdere la dignità? Forse così la si perde senza neanche saperlo, credendo anzi di trovarne un po’, ma la realtà è che ci stiamo solo vantando del nulla, come una mosca che pensa di essere la miglior mosca del mondo solo perché ha trovato la merda più grande di tutta la sua vita. Felice, ma ignara del fatto che sempre di merda si tratta. E anche che prima che se ne renda conto altre mosche arriveranno, ignorandola.
La ricchezza, il potere, non sono altro che la merda degli uomini, e francamente non mi interessano minimamente.
All’improvviso grida e risa giungono dal bar del paese.
Il locale è a breve distanza da casa mia. In questo momento la sua normalità sonnacchiosa, è stravolta dall’arrivo di alcune adolescenti. Sono solo cinque o sei, ma sembrano in venti. La spensieratezza della loro giovinezza che riesce a moltiplicare le loro voci, le loro risa, riesce anche a svegliare i tre uomini che stanno seduti ad aspettare, vociando sommessamente come si fa in chiesa, che il giorno si consumi. Fra poco si compirà il tempo, le mogli si affacceranno e li richiameranno a casa per la cena; così sarà passato un altro pezzettino di vita. Sicuramente qualcuno farà finta di non sentire e resterà ostinatamente seduto a rimirare il suo bicchiere mezzo vuoto. Maledicendo il dio che l’ha fatto nascere e crescere e diventare uomo, costringendolo a piegare la schiena tutti i giorni. Per quale motivo poi? Due soldi in tasca, il berretto in mano, torto nel momento in cui deve parlare con qualcuno che conta, per avere la speranza di un impiego per il figlio, o un trattamento migliore per il vecchio padre che è stato appena ricoverato in ospedale e nessuno gli dice niente.
Tornare a casa? Per trovare la moglie che lo saluta con un grugnito, come d’altronde fa anche lui da sempre. Per trovare il figlio seduto davanti alla televisione, che non lo saluterà nemmeno, considerandolo un fallito per non avergli comprato l’ultimo cellulare che fa anche le foto e puoi sentirci la musica e navigare su internet, anche se non sa neanche come si possa navigare con un cellulare, ma che ormai ce l’hanno tutti.
Le adolescenti vanno via, come un temporale estivo hanno cambiato l’aria che si respira. Infatti per un po’ il locale sembra più animato, l’atmosfera da chiesa, diventa quasi da festa. Ma dura poco. Come il temporale estivo: la sua pioggia sembra che rinfreschi il mondo, ma subito dopo l’afa rende l’aria più pesante ed irrespirabile di prima. Forse era meglio non fosse mai arrivato. Allo stesso modo i tre seduti nemmeno vociano più, sembrano cristallizzati, immobili come statue. Forse sono delusi dal fatto che non riescono a ricordare la loro di infanzia.
Quanto tempo è passato, quanti bicchieri di vino! Dai primi bevuti tutti d’un sorso, come a dimostrare agli adulti che ormai erano tali anche loro, ed il vino non poteva fargli più niente, ché lo dominavano, essendo già uomini. Salve poi trovarsi spesso ad esser riaccompagnati a casa da quegli stessi adulti che avevano sfidato. Che umiliazione! Ma se non bastasse si era poi costretti, il mattino seguente, a cercare, tra dolori di testa lancinanti, le parole più giuste per placare l’ira di mamme sconfitte e deluse da storie che si ripetevano sempre uguali. Con finali già visti negli occhi di nonni e genitori e mariti.
Col tempo il vino si è trasformato, è diventato veramente buono, non è più aspro come da giovani, ma dolce, consolatore, amichevole. Non più un nemico da tracannare di corsa, sfidandolo ad ogni sorso. Ma un confidente, uno che ci capisce, che non ha mai fretta, con cui si può dialogare lentamente. Ed altrettanto lentamente dimenticare la vita, che gioca a nascondino con la nostra felicità, vincendo, prima o poi.
La luce del sole è definitivamente andata, ora non riesco neanche a vedere se l’ultimo cliente ha deciso di tornare finalmente a casa o è ancora seduto. Comunque tra poco la stanchezza prevarrà su tutto e che lo voglia o meno sarà costretto a rincasare. Solo un ultimo bicchiere, per rendere più sopportabili gli strepiti della moglie ed i lamenti del figlio, poi si farà finta che la cena è ottima, tanto per placare gli animi, e finalmente il letto. Il vino riuscirà a non far pensare, l’accompagnerà nel sonno, dove sarà libero da tutto, giovane, bello, come le adolescenti di prima, con la vita che non pesa e con la convinzione che continuerà a non pesare.