Premio Racconti nella Rete 2014 “Essere speciale” di Vito Converso
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Quella giornata di lavoro era stata davvero faticosa. Si districava, come ogni giorno, tra bollette, denunce, ricorsi, e chi più ne ha più ne metta, e ancora non si decidevano a informatizzare tutto il sistema. Le scartoffie ricoprivano da cima a fondo la sua scrivania, ordinata ma confusa allo stesso tempo. La luce ingenerosa di febbraio, che si faceva spazio attraverso una sola finestra, pure piccola, non riusciva a rischiarare la stanza e neppure la sua mente. Era costretto a tenere accesa per tutto il suo orario di lavoro, quella maledetta luce artificiale sul soffitto, che dava ad ogni cosa un aspetto freddo e metallico, compresa la lampada gialla sulla scrivania che di metallo non era, e creava un cono di luce che per lo più disturbava invece di essere di aiuto.
Aveva studiato tra mille difficoltà, ma alla fine ce l’aveva fatta, era riuscito a laurearsi in giurisprudenza con la lode, e dopo la specializzazione in diritto canonico, stage, e master, l’unico posto che era risuscito a trovare era fare il segretario in uno studio legale che si occupava di banche. Si proprio di banche, istituti che Marco odiava profondamente perché sapeva benissimo che contribuiva a difendere individui che se potevano, spillavano fino all’ultimo centesimo alla povera e ignara clientela all’oscuro di macchinosi cavilli a loro discapito.
<< Accidenti ! Ma dove diavolo l’ho messo il bigliettino….>>.
Accatastava fogli su fogli, pratiche su pratiche, nel tentativo disperato di ritrovare quel post-it giallo su cui aveva annotato l’indirizzo e il numero di telefono del Dott. Avv. Alessandro Schiavone. Era il capo di un importante studio legale di Milano, ma che aveva anche cinque studi a Roma che lavoravano tantissimo. Marco tempo prima aveva inviato a diverse aziende e studi legali una serie di curriculum, come faceva regolarmente ogni sei mesi. Gli anni passavano ma nessuno lo aveva mai chiamato fino a quel giorno di febbraio. Aveva trentatré anni compiuti e non aveva una posizione lavorativa ed economica sicura e soddisfacente che aveva sperato fin dal primo giorno quando intraprese gli studi universitari. Quasi se n’era fatto una ragione a non ricevere più offerte di lavoro e a ricevere solo dinieghi, ma quel bigliettino una speranza
gliel’ aveva data. Un amico di un amico gli aveva dato una soffiata. Uno studio del famigerato avvocato Schiavone cercava un giovane e solerte avvocato da inserire nell’organico ! Una occasione da prendere al volo. “ certo ce ne saranno un milione di persone a cui faranno il colloquio” pensò Marco, “ ma, come si dice, tentar non nuoce !”
<< Eccolo finalmente ! Temevo di non ritrovarlo più. >>
Marco non si era reso conto che il bigliettino lo aveva messo al sicuro nella tasca dei jeans, proprio per non disperderlo tra le mille cose presenti sulla scrivania che sicuramente lo avrebbero deglutito senza più ricacciarlo fuori. Era in ritardo. Doveva fare presto se voleva andare al colloquio in tempo, quel giorno non aveva neppure la cravatta. Jeans blu, camicia rosa antico e la giacca blu scura e un trench beige potevano comunque andare bene, sua madre Anita, che buonanima lo guardava dal cielo, gli diceva sempre “ l’importante è essere puliti e ordinati, tutto il resto conta poco” . Ma Marco pensò che, sì, era ordinato, ma dopo una giornata qui dentro, di certo non profumava. “Mah!” pensò, “ come va va, se mi vorranno mi prenderanno così”. Erano le diciannove e l’appuntamento era per le venti. Doveva percorrere non più di una quarantina di chilometri prendendo la strada statale Aurelia, fare un pezzo di raccordo anulare e uscire sulla Boccea verso l’interno.
Marco era attento alla strada per il buio e perché era affollata per il rientro dei pendolari . I fari della sua Opel Corsa grigia del ‘92 non illuminavano granchè. Aveva gli occhi sbarrati e la mente pulsante immaginando a quali domande avrebbe dovuto rispondere. Improvvisamente sentì un colpo secco, simile allo scoppio di una scatola di cartone dopo essere stata schiacciata violentemente.
La Opel comincio’ a saltellare e a sbandare producendo un rumore strano sul davanti a destra.
<< Questa proprio non ci voleva !>> esclamò il giovane avvocato.
Si fermo’ nell’area di sosta che provvidenzialmente emerse dal buio. Marco usci’ nervosamente dall’auto e con grande disappunto si accorse che la ruota anteriore destra si era forata. Con una espressione di rabbia alzo’ il suo sguardo al cielo nero come la pece, senza accorgersi nemmeno delle stelle che punteggiavano l’intera volta celeste.
Facendosi luce col cellulare comincio’ a cercare il crik nel portabagagli colmo di cartelline, buste, scarpe, fogli, insomma una discarica. Alzo’ il tappetino e finalmente arrivo’ alla ruota di scorta, naturalmente quasi totalmente sgonfia ma utilizzabile.
La prese e l’appoggio’ per terra. Si ricordo’ che da qualche parte aveva anche una torcia. Rovisto’ nel cruscotto, anch’esso straripante di oggetti perlopiù inutili, e finalmente si impossesso’ della torcia miracolosamente funzionante. Emise un sorriso e un gridolino di soddisfazione e comincio’ col posizionare il crik sotto la carrozzeria per sollevare l’auto. O puntava la torcia o tentava di sollevare l’auto con la manovella del crik, ma due cose contemporaneamente non riusciva a farle. Sudava copiosamente nonostante il freddo e l’umidita’ della sera. Era nervoso e si stava facendo maledettamente tardi.
<< Posso aiutarla ? >> Una voce femminile scesa probabilmente dal cielo musico’ dietro di lui.
Penso’ che forse gli angeli esistevano davvero. Il giovane prese la torcia e la punto’ verso la ragazza la quale indietreggio’e strinse gli occhi per il fascio di luce che quasi la acceco’.
<< Posso fare luce mentre tu sostituisci la ruota se vuoi, e poi magari ci divertiamo un po’ >>.
Marco la osservo’ meglio. E la ragazza apri’ lentamente il suo cappotto scuro scoprendo un completino di lingerie decisamente sexy. Il giovane le sorrise e la ringrazio’ per l’invito, ma rifiuto’ perche’ quello che vedeva non era un argomento che reputava interessante, nonostante trovasse la ragazza bellissima e con un corpo davvero molto attraente.
Si perchè Marco scopri’ quando aveva quattordici anni che amava la compagnia dei suoi compagni maschi piuttosto che quella delle femmine. Crescendo dovette combattere a lungo con se stesso mentre cercava di capire cosa fosse quella sua attrazione verso il suo stesso sesso, mentre i suoi amici uscivano con fidanzatine deliziose. Marco si rese conto di essere gay. Alla fine si accetto’, ma non aveva ancora avuto una relazione stabile con un uomo. Solo avventure di poco conto, nonostante cercasse l’uomo della sua vita.
La donna, accanto a lui quella sera con l’auto in panne, non capi’ il rifiuto del giovane, anche perche’ nessun uomo l’aveva rifiutata fino a quel momento. Ma decise lo stesso di stare lì a dargli una mano. La ragazza si chiuse nel suo cappotto e si lego’ stretta la cintura intorno ai suo fianchi voluttuosi e cerco’ di dare una mano a Marco.
Riuscirono finalmente a montare la ruota sana. Marco mise quella forata nel portabagagli e si rivolse alla giovane ragazza per ringraziarla e salutarla. Mancavano quindici minuti all’ora stabilita per il colloquio.
<< Qual’e’ il tuo nome, cosi’ potro’ ringraziarti come si deve ? >> chiese il giovane avvocato alla ragazza sorridendole.
<< Mi chiamo Laura >>. Dicendo questo la ragazza improvvisamente cadde svenuta ai piedi dell’uomo. Per poco al giovane non capitò la stessa cosa vedendo la ragazza accasciarsi a quel modo.
<< Oh mio dio… E ora cosa faccio. Laura, Laura cos’ hai per l’amor del cielo.>> Urlo’ disperato l’uomo, nel tentativo di rianimarla. Aveva seguito un corso di primo soccorso, ma erano passati cosi’ tanti anni da non sapere se doveva praticarle un massaggio cardiaco o la respirazione bocca a bocca. O forse doveva slacciarle la cintura o chissà cosa….
<< Maledizione, questo e’ troppo !>> Esclamo’ il giovane con una esplosione di rabbia.
Le auto di sconosciuti pendolari sfrecciavano sulla strada dietro i due giovani, ignari di tutto e chiusi nelle loro scatole metalliche con i loro pensieri personali, mentre il giovane uomo era disperato. Aveva due alternative : lasciare lì la ragazza e fregarsene di lei, o soccorrerla portandola in ospedale.
<< Prego favorisca i documenti signore. >> Ordino’ il maresciallo dei carabinieri al giovane nella sala d’aspetto.
<< Guardi signor maresciallo che non e’ come crede, io ho solo soccorso la ragazza che e’ svenuta dopo che insieme abbiamo sostituito la gomma forata della mia auto. >>
<< Certo, certo. Voi maiali dovete smetterla di approfittare di queste povere ragazze e dedicarvi più alle vostre famiglie ! >> Esclamo’ il carabiniere visibilmente adirato.
<< Ora lei viene con me in caserma e le farò il verbale. >>
Marco comincio’ ad alterarsi, spiego’ tutto l’accaduto al militare senza però riuscire a convincerlo, e disse che sarebbe rimasto lì dov’era almeno fino a quando avesse saputo cosa era accaduto alla ragazza, ribadendo che non aveva fatto nulla di male a soccorrerla.
Nel frattempo che i due discutevano animatamente, Laura si trovava nel pronto soccorso dell’Ospedale alle porte di Roma dove veniva visitata accuratamente.
Finalmente si spalancarono le porte di vetro debitamente oscurate che dai locali medici davano nella sala d’aspetto e usci’ un’infermiera con un sorriso che andava da un orecchio all’altro e gli occhi che le brillavano di gioia.
Il carabiniere e il giovane avvocato, vedendo l’infermiera gioiosa, rimasero con la bocca aperta e si aspettavano che dicesse loro che avevano vinto alla lotteria.
<< La signorina e’ incinta ! >> Esclamo’ la donna in camice bianco.
Poco dopo Laura uscì dai locali medici e fu subito raggiunta dal carabiniere che la inondò di domande. Marco fu scagionato dalla deposizione della ragazza e finalmente il militare se ne andò guardando il giovane con occhi sospettosi ma di resa.
Marco vide Laura finalmente inondata di luce, e come se la vedesse per la prima volta, rimase folgorato dalla bellezza dei suoi occhi verdi, dalla pelle bianchissima e dal viso dolce da sembrare una educatrice di bimbi. La ragazza gli sorrise allargando le sue labbra e mostrando una fila di tenti bianchissimi e curatissimi.
<< Grazie, sei il mio angelo. Sarai sempre nei miei pensieri. Ora se vuoi puoi andare via. Perdonami se ti ho fatto perdere tutto questo tempo per soccorrermi. Non mi hai detto il tuo nome però. >> Disse la giovane donna mostrando gli occhi che si addolcivano mentre parlava.
<< Mi chiamo Marco. No, non devi preoccuparti per il mio tempo. Gironzolavo senza una meta precisa, e sono felice di averti incontrato. >> Disse l’uomo mentendo, ma felice di aver compiuto quel gesto nei confronti di quella povera ragazza.
Marco era felice, anzi troppo felice. Non riusciva a capire. Guardava la ragazza con occhi di tenerezza; gli piaceva. Gli piaceva proprio come normalmente una donna piace ad un uomo.
Qualcosa in lui vacillava. Il combattimento dentro di sé per tutti quegli anni per convincersi della sua omosessualita’, quella sera vacillava. Percepiva un’attrazione verso la ragazza che un omosessuale non poteva provare. Marco desiderava Laura.
<< Vorrei accompagnarti a casa, se me lo permetti Laura, sei incinta e devi stare attenta e riposarti, non puoi continuare così. >>
<< Sono felice di essere incinta, non sai quanto desiderassi un bambino. Mio marito mi lasciò due anni fa proprio perche’ non riuscivamo ad avere un figlio. E cosi’ ora sono sola. La mia gravidanza e’ dovuta ad un incontro casuale. A quelli che vengono con me faccio usare il contraccettivo, ma a volte possono rompersi… >> La ragazza abbassò lo sguardo.
Marco lesse negli occhi di Laura una vita difficile, fatta di violenze, poverta’, e decisioni non facili. Provava una tenerezza infinita per quella ragazza. E pensò al diavolo, il colloquio, al diavolo il lavoro…
Marco accompagnò Laura a casa. << Sai quello che stavo facendo lì dove ci siamo
incontrati vero ? >> Puntualizzò lei timorosa della risposta.
<< Certo che lo so, credi che questo mi spaventi ? >> Disse lui.
Laura dalle parole e dalle espressioni del giovane capiva che verso di lei c’era piu’ di uno spirito di umanita’, c’era interesse. Marco non le toglieva gli occhi di dosso. Verso la ragazza sentiva un trasporto irresistibile, avrebbe voluto stringerla forte a se e dichiararle che da quel momento con lui era al sicuro. Marco accompagnò la ragazza fin dentro casa e decise di rimanere un pò con lei. Laura, si fece una doccia rigenerante, si riordinò e si vestì.
In silenzio andò verso Marco, che attendeva seduto sul divano di alcantara blu, gli si avvicinò e senza parlare, gli diede un tenero bacio sulle labbra. Marco le corrispose dolcemente. A quel punto capì che la sua vita era da viverla con lei.
I due si innamorarono profondamente. A Marco poco importava che lei era una lucciola. La vita a volte spinge a prendere decisioni che mai un essere umano farebbe normalmente. E poco gli importava che il figlio che Laura avrebbe avuto non era suo.
Laura, aveva trovato l’uomo della sua vita, abbandonò per sempre quello sporco lavoro pentendosi di non essere riuscita a farlo prima e si dedico’ a Marco.
Alla scadenza del nono mese diede alla luce un bel maschietto. Lo chiamarono Luca.
Marco non pensò piu’ a inviare curricula in giro, tanto non c’era speranza di trovare un nuovo lavoro, un posto piu’ remunerativo e soddisfacente. Il suo pensiero era fare felice Laura e dedicarsi a Luca che considerava suo figlio a tutti gli effetti. Lo stesso anno in cui nacque il bimbo, Marco e Laura si sposarono. Erano felici.
Quel giorno Marco era nel suo ufficio di sempre, tra scartoffie di ogni tipo. La sua scrivania si era arricchita di un oggetto in più, ma il più importante : una stupenda foto che ritraeva lui, Laura e Luca tutti e tre insieme scattata il giorno del battesimo.
Il suo cellulare squillò .
<< Marco ma come è andato poi quel colloquio di lavoro ? >> Si informò Giovanni, quel suo amico che gli aveva dato il numero di telefono dell’avvocato Schiavone.
<< Ma di cosa parli Gianni ? Oh si, hai ragione ora ricordo. No, non ci sono più andato all’appuntamento, non mi sembrava poi’ così importante…>>
<< Guarda che stanno ancora cercando un avvocato, vai a fare un salto, magari potrebbe essere la volta buona. Vai e credici questa volta >>.
Quella volta Marco ci andò e fu assunto con un buon contratto a tempo indeterminato. In breve tempo divenne addirittura il pupillo del capo, lo voleva sempre accanto quando si recava in tribunale se si trattava di casi particolarmente difficili. Marco era davvero molto bravo nel suo lavoro. Non ci volle molto perche’ l’avvocato Schiavone lo facesse responsabile dello studio legale e lo mettesse a capo di una quindicina di avvocati meno esperti di lui.
Finalmente era felice del suo lavoro e della sua famiglia.
Intanto Luca cresceva, aveva da poco compiuto quattro anni, era bello, aveva gli occhi dolci come la mamma e lo sguardo birichino. Mamma e papà avevano lasciato che i suoi capelli biondi e lisci crescessero lunghi fino alle spalle conferendogli l’aspetto di un principino.
Da un po’ di tempo però, i due genitori, avevano notato dei cambiamenti in Luca. Anzi forse erano dei non progressi. Quando era molto piccolo sorrideva, giocava, faceva capricci proprio come ogni altro bambino della sua età. Ma lentamente il suo carattere cambiava, si chiudeva sempre di più in un mondo tutto suo, fatto di giochi silenziosi e solitari, e a volte restava immobile a lungo senza che nulla riuscisse a distoglierlo da quel suo torpore senza sonno. A volte era persino violento senza un motivo apparente, e poi si chiudeva in un angolo e agitava il suo corpo in modo ritmico con uno sguardo inespressivo. Non c’era nulla che riuscisse a catturare la sua attenzione. Sembrava come se qualcuno, in uno dei piani sottili, lo avesse condotto in un mondo parallelo facendolo allontanare sempre di più dalla realtà; Luca non interagiva più.
Marco e Laura non lasciarono nulla di intentato. Eminenti luminari dai portafogli straripanti e con gli sguardi quadrati e mollicci spesso li liquidavano con poche parole senza conforto e senza una diagnosi precisa. Si buttarono per nottate intere su internet cercando di scoprire ciò che i medici sembravano eludere. Cercavano termini come “problemi di comunicazione”, “ disturbi del comportamento”, e quello che ne usciva era “stereotipie, ecolalie”. Termini da brivido.
Marco si trovava in tribunale quel giorno quando il suo cellulare vibrò silenziosamente nel taschino della giacca.
Era luglio, il caldo non dava tregua, e nonostante i climatizzatori, nelle aule del tribunale si moriva di caldo.
<< Tesoro, ti prego, appena puoi vieni, c’e’ un problema con Luca! >>
Bastò un’occhiata verso il suo capo, il quale lo lasciò andare senza indugio.
<< Vai, tranquillo, ci penso io qui .>> Disse con le labbra a Marco, accortosi della sua faccia particolarmente agitata.
Marco, era a casa davanti a Laura, respirò profondamente e chiuse gli occhi, come per allontanare un fantasma di cui si sentiva la presenza senza però poterlo vedere, e senza neppure avere la possibilità di respingerlo. E fu proprio quel giorno, in quel momento che i due genitori ebbero la conferma ai loro timori, le analisi e tutte le visite sentenziarono che il bimbo soffriva di autismo e di una grave forma di ritardo mentale. La faccia di Marco era dura ma decisa, Laura aveva gli occhi liquidi. E in quello stesso momento, finalmente capirono entrambi quale sarebbe stata la missione della loro vita.
Laura non cercò mai un lavoro, dalla mattina alla mattina dopo, e ancora dopo, si dedicava a Luca, e così negli anni successivi. Entrambi i genitori erano occupati nel scorgere in lui un barlume di miglioramento, ma più il tempo passava più si chiudeva nel suo mondo. Andava a scuola, era impassibile in classe, sembrava che nulla lo interessasse, nemmeno i commenti stupidi dei compagni scuola. Un giorno sua madre, mentre faceva posto nella sua stanza, per poter sostituire l’armadio ormai malandato, si accorse di qualcosa che la lasciò senza fiato.
Marco tornò dal lavoro, erano le otto di sera, Luca era nella sua camera che ondeggiava su se stesso ripetendo parole sconnesse << non ho senza, non ho senza…>>. Parole incomprensibili.
Laura mostrò a suo marito una quantità incredibile di quaderni scritti e lanciati sopra l’armadio.
Erano libri e spiegazioni che Luca seguiva in classe che memorizzava e metteva per iscritto. Una quantità impressionante. Luca era davvero un essere speciale.
Mi duole il cuore per quello che sto per scrivere, mentre penso alle parole, mi viene un nodo qui, alla gola, stringe così tanto da non riuscire ad ingoiare la mia stessa saliva.
Luca aveva compiuto trentaquattro anni quando si ammalò di broncopolmonite. Me lo ricordo ancora. Faceva freddo, io e Laura non riuscivamo a tenerlo dopo il bagno serale per poterlo rivestire, si dimenava come un’ ossesso. Non voleva vestirsi e non voleva farsi vestire. Riuscì a scaraventarci sul pavimento e a scappare fuori nudo in mezzo alla neve. Non so, ma ebbi come l’impressione che fosse stanco di vivere. Riuscimmo a riportarlo in casa, con l’aiuto dei vicini, e finalmente si acquietò.
Da quel giorno cominciò a stare male e non si riprese più fino alla morte a causa di complicanze respiratorie. Io e Laura rimanemmo in silenzio per lungo tempo. Per molto tempo. Laura non mangiava più, si lasciò andare come se la sua vita fosse tenuta in piedi solo finchè avesse visto la sua stessa carne, frutto del suo concepimento, vivere o morire. Anche Laura mi lasciò poco tempo dopo Luca, nel silenzio della sua profonda e irreparabile tristezza.
Improvvisamente sentii come se fossero entrambi così distanti da me, da sembrare un sogno, un sogno durato troppo a lungo. Come se fossi entrato dentro un racconto o in un film e dopo, quando scorrono i titoli di coda, fossi uscito fuori, all’aria tersa di una sera d’estate, lasciandomi la malinconia alle spalle. Ma invece era tutto maledettamente vero. La casa era piena di fotografie di Laura e Luca che io stesso avevo scattato, rimanendovi immancabilmente fuori.
Ciò che mi svegliò da quel sonno torbido di quella sera, fu una improvvisa euforia, non riuscivo a spiegarmelo inizialmente, mi sentivo stranamente bene, soddisfatto, appagato, sereno. Mi ritrovai a percorrere per l’ultima volta quella strada, la stessa strada dove fui costretto a fermarmi in quella piccola aerea di sosta e incontrai lei, quella ragazza dagli occhi verdi. Era buio, sembrava che fossi ripiombato indietro nel tempo. Come se non fosse mai accaduto nulla nel frattempo. Sapevo che qualcuno mi stava attendendo, mi voltai. Chissà, forse per vedere se proprio in quello stesso luogo ci fosse quella stessa ragazza di quarant’anni fa. Ma forse rimasi troppo tempo a guardare in quella direzione, o forse così volli, tanto da non accorgermi di andare incontro a quell’auto che giungeva nella mia stessa corsia.
Una storia molto triste intorno a delle vite troppo combattute. Una grande amarezza che non si ferma neppure davanti ad un Amore. Il finale è l’unico possibile. Bello!