Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2014 “I miei occhi di Mariangela Celiberti”

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014

Incrociai subito i tuoi occhi. Erano castani. Sorridenti, felici. Avevi raccolto i tuoi lunghi capelli in uno chignon improvvisato. Stava iniziando una nuova avventura: mia, ma soprattutto tua. La casa era un viavai di persone, avevano tutte qualcosa per noi: un pacchetto, una scatolina, una piccola busta. Fiocchi rosa dappertutto, un profumo dolce di latte e rose riempiva le stanze. Aprivi contenta quei doni, a volte me li mostravi, mi chiedevi se mi piacevano. Era febbraio e passavamo gran parte del nostro tempo in casa: fuori la neve imbiancava le strade. Cucinavi, pulivi la casa, ti prendevi cura di ogni minimo dettaglio: una camicia da stirare, un abito sporco da lavare, la cena con gli zii da preparare. Mi accarezzavi le guance e mi dicevi che non avresti mai voluto separarti da me. Io non capivo sempre quelle parole. Perché avresti dovuto separarti da me, mamma?

Lui ti osservava con aria di rimprovero, a volte. “Dovresti riposarti, lasciar correre” ti diceva. Il tempo era scandito da troppi appuntamenti, da tanti gesti che ti vedevo ripetere ogni giorno. A volte la nonna veniva a darti una mano. Lei mi prendeva in braccio e mi cantava delle canzoncine che non mi piacevano molto, e tu ti appisolavi sul divano. Quando la sera mi stringevi a te e mi leggevi una fiaba, quegli occhi sorridenti erano diventati stanchi. Forse non volevi che me ne accorgessi: mi leggevi di luoghi incantati e di principesse che stavano aspettando il proprio Principe Azzurro.“Come è successo a me con il tuo papà”. A me piaceva moltissimo papà. Spesso mi faceva volare in aria e tu ridevi. Mi diceva che ero una brava bambina, e anche bella, che somigliavo a lui. Tu non eri d’accordo ma facevi finta di esserlo, per poi sussurrarmi all’orecchio: “Facciamoglielo credere…tanto tu sei uguale a me!” Fuori c’era sempre più spesso il sole, e così iniziasti a portarmi fuori. Sotto il nostro palazzo c’era un piccolo parco in cui riuscivi ad incontrare le altre mamme per parlare di me e di tutto ciò che potesse riguardarmi. “Questo è il nostro mondo adesso” sottolineavi, perché avevi l’impressione che non tutti ti capissero. Avevi paura di sbagliare, di essere troppo apprensiva, di non essere all’altezza. Ecco, chissà perché non ti sentissi all’altezza. Io cercavo di comunicarti in tanti modi che ti sbagliavi. Mi addormentavo tra le tue braccia, muovevo le labbra quando ti vedevo (chissà se era così che si sorrideva…), mi sforzavo di rispondere quando ti rivolgevi a me. Ma tu mi osservavi con uno sguardo triste, come se non mi avessi sentito, o capito.  Diventavi pensierosa: sempre affettuosa, ma con la testa altrove. Ogni tanto ti osservavo con papà. Con la mia bambola preferita in mano, vi vedevo parlare, tu scuotevi la testa. Dicevi che ce l’avresti fatta, che non avresti rinunciato anche per dare qualcosa in più a me. Poi un giorno non ti ho trovata accanto a me, non mi sono svegliata con il suono della tua voce. C’era la nonna. “Mamma è andata al lavoro, ma torna presto, piccolina. Non preoccuparti, ci sono io con te adesso”.

Ho tanti sogni nel cassetto di cui non parlo a nessuno: molti “vorrei” che aspettano solo di riuscire a trasformarsi in qualcosa di tangibile e di vero. Li accarezzo un po’quando penso che posso essere una brava madre anche dedicando un po’di tempo a me stessa, quando vedo mia figlia sorridere e stare bene oppure, al contrario, quando le cose non vanno come desidero. Consolazione e forza insieme.Sono trascorsi più di sei mesi da quel giorno. Ho iniziato un’altra vita in cui in pochi entrano, ma da cui molti vanno via.Ricordo ancora le sue parole, pronunciate quasi con noncuranza, e che sembravano fluttuare nell’aria come in un’immagine che si fatica a mettere a fuoco.Disturbo dello spettro autistico. È questo che ha detto il dottore, insieme a tante altre che mi colpivano come artigli. Per fortuna c’era il tuo papà insieme a me. Ti ho stretta ancora di più, e mi sono sforzata di non piangere. Non volevo che mi vedessi così, sconfitta da un dubbio che si è rivelato poi reale. All’inizio è stato difficile accettarlo. Mi tormentavo chiedendomi se non fosse stata colpa mia. Non ero stata una brava mamma? Avevo fatto qualcosa di sbagliato? Poi ho capito che non dovevo sprecare energie per pormi delle domande a cui non sarebbe stato possibile rispondere, ma solo accontentare con delle semplici ipotesi. Abbiamo girato tanto io e te, sempre mano nella mano. Sia prima che dopo quelle parole. Un giorno ti racconterò di quando ci siamo perse a Milano. Oppure di quando ho aspettato due ore che un famoso professore ci ricevesse per appena cinque minuti, e allora decisi di lasciare un piccolo “ ricordino” nel suo studio: il tuo pannolino sporco! Ti racconterò anche di tutte le mamme coraggiose che ho incontrato in sale d’attesa tutte uguali, e anche di quelle che avrebbero volentieri scambiato la propria vita con una più facile e più monotona. Potevo leggerglielo negli occhi, ma non me la sentivo di incolparle per quella debolezza.A volte c’era anche papà, ma lui doveva lavorare, e non poteva accompagnarci sempre.Il mio, di lavoro, sembra lontani anni luce.“Potrai sempre tornare, se lo vorrai”. Quelle frasi di circostanza che vogliono lasciare integra l’apparenza: “Grazie di tutto, in questi anni sei stata molto utile all’azienda, potrai sempre tornare se lo vorrai.”. E pensare che ho dato le dimissioni perché non riuscivo più ad ignorare certi sguardi, certe frasi sussurrate come se volessero dare l’impressione di non volermi fare troppo male. Non sopportavo più le richieste dell’ultimo minuto su una scrivania che diventava ogni giorno più vuota di documenti, ma sempre più piena di silenzi. Un telefono che prima squillava in continuazione e poi diventato muto: chissà se i miei clienti, quelli che gestivo io ogni giorno, si erano accorti che qualcosa non stava andando nel verso giusto. Le colleghe, che credevo amiche…Che persona ingenua sono stata! Hanno chiuso gli occhi e obbedito al più forte. La correttezza e la dignità spesso si inchinano al bisogno di continuare con la propria tranquillità e con il pensiero che a loro non era capitato e che non sarebbe capitato mai. Ma è poi è davvero così? Quali sono le certezze, le verità indistruttibili di questa vita? Pensavo di essere invincibile e anche quasi felice, con la mia routine di tutti i giorni. La sveglia, la colazione con tuo padre, i quindici chilometri fino all’ufficio, il caffè alla macchinetta, la pausa pranzo in mensa, le chiacchiere sugli abiti da comprare e il ristorante da provare. Un giorno di ferie: quelle erano le ventiquattro ore più piacevoli della settimana. Immagini che ora  appaiono insensate e vuote. Il riflesso di una me che non c’è più.Ho messo tutte le mie cose in una busta: la tua foto, la piccola piantina grassa che mi aveva regalato il tuo papà il giorno in cui ho ottenuto il lavoro, i miei quaderni e i miei libri. Sono stata contenta di andare via a testa alta. Quando questo mondo smette di esistere per te, io mi ritrovo a fare i conti con quello che tu lasci fuori e che non ti capisce, che non ci capisce. Ti parlo di tutto ciò che di bello abbiamo: il profumo delle rose nel giardino di nonna, del sole che finalmente è tornato dopo una settimana di pioggia, di papà che resterà a casa tutto il giorno con noi e ti porterà in quel posto colorato e con tanti volti sorridenti, in cui tu potrai giocare e imparare, un po’alla volta, a capire meglio quello che ci circonda. Potrai anche farti degli amici e delle amiche. A volte mi guardi con occhi spauriti, e allora vorrei solo rassicurarti: tutto andrà bene, la tua mamma ti difenderà il più possibile, e tu vincerai tutte le tue battaglie. Ne sono certa.

Oggi sono riuscita a far sentire la mia voce. Nella mia testa questa parola aveva preso forma e colore già da tempo. Ho detto “mamma”. Tu mi hai guardato e hai pianto un po’. Poi però hai anche sorriso. Hai chiamato papà e gliel’hai raccontato. Io l’ho detto ancora. E poi ho detto anche papà, nonna, ciao, mano, piede. Però non so se tu l’hai sentito, perché non mi hai guardato. Hai continuato a parlare con papà e l’hai abbracciato. Io comunque ero felice di vedervi così e te l’ho fatto notare cercando di mettermi tra voi per abbracciarvi tutti e due. Papà era appena tornato a casa e aveva ancora il cappotto addosso. Mi sono aggrappata alle vostre gambe e allora siete scoppiati a ridere. Per farlo avevo fatto cadere tutto quello che avevo in mano, anche la mia bambola preferita. Ho iniziato ad urlare, ma tu mi hai stretta a te e mi sono calmata. L’ho subito raccolta dal pavimento, in mezzo ad altri giochi, e adesso non la lascio più. No, non la lascio più.

Sono al quinto mese di gravidanza. Ti piace accarezzarmi la pancia ogni tanto, quando ti dico che lì dentro c’è la tua sorellina. Altre volte non sembra interessarti granché, ma io so che anche tu le vuoi già bene. Dobbiamo ancora scegliere il suo nome, io e papà siamo un po’indecisi: so che tua nonna vorrebbe che si chiamasse come lei. Non l’ha dichiarato apertamente, ma io l’ho capito lo stesso. Magari il nome lo sceglierai tu, sarai tu ad indicarmi quello che ti piace di più. Forse quando tua sorella nascerà sarà tutto più complicato. Le tue terapie, il tuo bisogno di attenzioni e conferme, la mia voglia di mandare avanti il progetto del negozio di libri per bambini, il lavoro di papà che diventa sempre più pressante. Eppure non riesco a preoccuparmi davvero: tu stai facendo progressi e io so che c’è molto, tanto altro dietro la quotidianità di gesti ripetitivi, di una routine che a volte sembra lasciarti senza fiato. Ci sono giorni vissuti con significato. Ci sono conquiste e consapevolezze. E poi c’è la forza. Quella che io non credevo di poter avere, in realtà non me l’ero neanche mai chiesto se potessi custodirla dentro di me. E quella che hai tu. Perché io so che tu sei forte e che sarai una sorella maggiore affettuosa e dolce, che insegnerà alla più piccola a guardare il mondo con occhi diversi. Proprio come hai fatto con noi, con me.

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3 commenti »

  1. “Ci sono giorni vissuti con significato. Ci sono conquiste e consapevolezze. E poi c’è la forza.” Sono queste le frasi che caratterizzano il tuo racconto, intenso, vero, sentito.
    Mi ha colpito.
    Silvia

  2. Grazie mille Silvia. Ho cercato di trasmettere le mie emozioni nel racconto, sono contenta di esserci riuscita.

  3. Mariangela, sei riuscita a evidenziare l’emarginazione a cui si viene sottoposti proprio quando si avrebbe bisogno di solidarietà. Ma la forza per andare avanti viene fuori da noi stessi che dobbiamo reagire e dare senso alla vita. Gli altri ci sono solo quando sei bello, bravo, intelligente e perfetto.
    Angela Lonardo

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