Premio Racconti nella Rete 2014 “L’Anti-Cenerentola” di Elisa Maiorano
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Quella notte non dormivo. Non volevo. Dovevo tradire Morfeo. Lo stesso Morfeo che mi aveva sempre accolto tra le sue braccia. Morbide, profumate, soffici.
Sì, il profumo della notte che portava con sé, mi aveva sempre affascinata. Morfeo a volte arrivava tardi a quell’appuntamento quotidiano e me la prendevo con lui. Innervosita, uscivo a fumarmi una sigaretta o, nel migliore dei casi, prendevo una camomilla.
A volte, invece, sopraggiungeva con estrema dolcezza e sensibilità. Come un amante che ti coccola sino a farti soccombere nei sogni più profondi.
Ma quella notte no. Non volevo Morfeo. Non l’aspettavo. Lo combattevo. Avevo un appuntamento più importante.
Ero un’anti-Cenerentola. Non avevo sorellastre cattive e la cucina da pulire. E neanche un principe azzurro che mi avrebbe cercata con in mano una scarpetta di cristallo, magari anche abbastanza maleodorante. Non avevo indosso vestiti sgargianti e avevo già tolto l’odore, il sapore e i segni della città dal mio volto.
Volevo essere acqua e sapone, per lei. Mi avrebbe dovuta accettare per com’ero naturalmente. Spettinata, stanca, trafelata, con addosso il nervosismo della giornata e il sorriso un po’ disagiato di chi non sa cosa dire.
“Questa notte sarà fantastica”, pensai però tra me e me. “Chissà cosa mi aspetta”, chiesi alla parte più nascosta di me.
Era da tanto tempo che non lo facevo. Insomma, l’aspettavo da tanto.
Da quando l’avevo conosciuta gli incontri erano stati pochi e limitati. Erano momenti cruciali della mia vita. Sapevo che avrebbe potuto sempre essere con me, ma – a scadenze regolari – sentivo il bisogno di rivederla, assaporarla, coinvolgere tutti i sensi per ritrovarla. Per vedere come si era evoluta e, soprattutto, se l’aveva fatto. O forse, se l’avevo fatto io: perché lei era perfetta.
Mi chiedevo anche se lei, come me, si stesse preparando per quel momento e se avesse pensato a me qualche volta.
Alcuni flash-back si fecero strada nei miei pensieri. La rividi in lacrime, davanti a me, durante la mia prima delusione d’amore, oppure nel momento in cui scoprii il tradimento di mio nonno nei confronti della nonna. E quella volta dopo il primo bacio? Ci scambiammo un profondo sguardo dove telepaticamente comunicavamo.
E le ultime due? Quelle sì che erano state situazioni particolari. Dolorose. Sentivo che non l’avrei rivista per molto tempo. Mi era stata vicina durante la malattia di mio padre e subito dopo la sua dipartita. Non avevamo parlato. A lungo ci eravamo però scrutate, quasi chiedendoci: “E adesso? Cosa si fa?”. La domanda non aveva avuto una risposta, o meglio, non sino ad adesso.
Mi ero finalmente decisa a rimettermi in gioco, a riprovarci. Avrei voluto averla ogni giorno vicina a me. Dentro di me. Sempre. Comunque. Qualsiasi cosa fosse accaduta. Nel bene. Nel male. Quando avrei pianto e quando invece avrei potuto mostrarle tutto ciò che poteva risplendere dentro di me.
Avrei voluto costruire una relazione stabile con lei. Un rapporto che sarebbe durato una vita intera. Forse di più.
Avrei voluto guarire ogni sua ferita. O almeno averci provato. Mostrarle che potevo farcela, che ciò che ero diventata non ci avrebbe separate. Mai più.
Avrei voluto impegnarmi, con lei.
Raccontarle ciò che era capitato in sua assenza. Farle sentire il vuoto che aveva lasciato dentro di me la sua partenza. Dirle che non riuscivo a dormire la notte per la paura di averla persa per sempre.
Insomma, undici anni non sono pochi. E di momenti dove avrei avuto bisogno di lei ce n’erano stati, ma non avevo mai trovato la forza per chiamarla.
Come quando avevo fatto l’amore per la prima volta. Lei non c’era. Avrei avuto bisogno del suo parere.
Come quando tradii durante la mia prima relazione importante. Lei non c’era. Dovevo sfogarmi con qualcuno, giustificare quella mia azione, urlare il mio dolore. Quel dolore che avevo affrontato con un tradimento ingiusto.
Come quando ricevetti per la prima volta nella mia vita, lo schiaffo da colui che pensavo sarebbe diventato un giorno il padre dei miei figli. Un suo abbraccio mi avrebbe ridato forza per lasciarlo. Ma lei non c’era e la paura mi legò ancor di più a lui.
Come quando scoprii la vera forza dell’amore, con un altro uomo. Con colei che sapevo sarebbe stata la persona della mia vita. La pazienza. L’aspettare. L’angosciarsi per la paura di perderla, senza cercare altrove ciò che mi mancava da quel rapporto, provando invece a costruire e a maturare su queste mancanze. Lì, lei, sarebbe stata fiera ed orgogliosa di me.
Ma non ne avevo avuto la forza. O forse, semplicemente, ero troppo concentrata sulla vita che stavo conducendo.
Nell’attesa, complice qualche sprazzo di agitazione che aleggiava nella mente, uscii sull’uscio di casa e accesi una sigaretta.
Il silenzio era imponente, quasi a simboleggiare l’arrivo di un momento straordinario. La quiete prima della tempesta. Quella che ti stravolge la vita. Quella che porta cambiamenti.
Non servivano rulli di tamburi: il mio cuore faceva già abbastanza rumore. Suono che solo io, e probabilmente anche lei, potevo sentire.
Buttai il mozzicone. Lo stridio della porta che si chiudeva mi ridestò brevemente dal momento. Per quel breve istante dubitai. Volevo veramente farla tornare nella mia vita?
Per togliermi il puzzo del fumo di dosso, andai in bagno, mi sciacquai il viso e lo asciugai dolcemente. Mi ritrovai a guardarmi allo specchio.
“Okay, è arrivato il momento”, dissi a voce alta. Forse per autoconvincermi. Forse per preparare anche lei che, sapevo, mi stava percependo.
Entrai in camera. Chiusi la porta. Accesi un lumino.
Mi sedetti a gambe incrociate e inspirai profondamente.
Chiusi gli occhi. Mi concentravo sul respiro. Sulla vita che entra e che esce. Su quelle pause tra l’inspirazione e l’espirazione che rappresentano il vuoto dentro di noi.
“Ciao”, sentii. “Eccomi qui. Non ti ho mai abbandonata. Lasciami entrare nella tua vita per guidarla. Ora sei pronta. Ti ho osservata a lungo, ma ti ho lasciato agire. A volte sono intervenuta per aiutarti, ma il resto l’hai fatto tu. Se ora siamo in sintonia, il merito è in gran parte tuo. È il percorso che hai fatto. La nostra relazione ora può andare avanti, perché mi hai cercata e, soprattutto, poiché sei riuscita a trovarmi. Dentro di te, senza farti deviare dalla vita fuori.”
Avevo molto da dirle, ma lei sapeva già tutto. Mi piaceva ascoltarla. Come ai vecchi tempi. A volte non c’era neanche bisogno di parole. Sentivo con il cuore. I sensi non mi servivano.
Così, ritrovai me stessa, dopo lungo tempo.
bellissimo racconto. mi hai emozionato! complimenti.
Grazie mille Mariangela 🙂 Quello è lo scopo: emozionare.
bello, piacevole da leggere. di solito mi capita di indovinare la fine prima della metà, ma non è stato questo il caso. brava!
Cara Silvia, ti ringrazio 🙂 Sempre bello avere questo genere di feed-back. Cari saluti. Elisa
Molto bello. Sorprendente l’epilogo.
Angela