Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2014 “Posso entrare nel tuo mondo?” di Lucia Delli Santi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014

Prologo

Era una domenica pomeriggio di ottobre, entrai nella struttura e l’odore tipico di urina e disinfettante mi penetrò nel naso.
C’era una grande entrata con il pavimento lucidissimo a righe giallo e ocra, ai lati dei divanetti bianchi e grandi finestre con tendoni bianchi anche loro che lasciavano filtrare la luce, quasi pura.
Alcuni anziani occupavano delle poltrone, e se ne stavano lì seduti con lo sguardo fisso, a guardare cose già viste mille volte, sempre quelle, la macchinetta del caffè, finti fiori appesi, la bacheca con il programma attività mensile, -martedì tombolata, giovedì Santa Messa, domenica canti
– e se uno non canta che fa’? Ascolta e basta-?
Quel giorno c’era la smilza, al centralino, che pronunciò con voce stridula:
– La signora Ilde dice?
La trova al secondo piano nel reparto “corpo C”
-c di corpo forse?-
Superai un lungo corridoio, lasciando alle mie spalle la sala mensa e alcune camere ben arredate, arrivai in un grande spazio adibito a zona ricreativa, dove gli anziani stanno quando non dormono non mangiano e non fanno le attività.

Vicino a te c’era tua figlia, Alina, che già conoscevo, e quindi per deduzione decisi fossi tu la signora alla quale avrei tenuto compagnia.
Eri seduta nella carrozzella con un piano d’appoggio davanti al grembo.
Nonostante la tua postura fosse ricurva pensai che di sicuro da giovane fossi stata una donna dal temperamento forte e fiero, abituata a impartire ordini, a decidere, insomma una donna con tanto di attributi.
Salutai prima tua figlia, poi cercai il tuo sguardo, mi presentai, e dandoti del lei ti chiesi come stavi, rispondesti con un buongiorno, flebile e incerto.
Mi resi conto, così,che vivevi nel tuo mondo, un mondo dove la tua storia era un puzzle buttato lì alla rinfusa.
Mi fermai una mezz’oretta, giusto il tempo di accordare giorni e orari in cui sarei venuta da te, salutai Alina con un bacio, mi lanciai per darne uno anche a te ma tu ti scostasti dicendomi “ niente smancerie”, beh, nel caos della tua testa trovasti il pezzo che dice – ma chi ti conosce? Cosa mi baci a fare?-
Rispettai il tuo rifiuto e mi accomiatai stringendoti la mano affettuosamente.

Mia cara, non sai quanto questo ha acceso la mia
curiosità di conoscerti. Permesso? Signora? E qui ti do del tu…Posso entrare nel tuo mondo?

Mi chiamo Anna, ho trent’anni e vivo a Bologna.
Per circostanze in parte volute da me mi trovo a guadagnare di che vivere facendo quello che un tempo era la dama di compagnia e invece oggi è definita badante.
Le altre badanti, che badano qui alla Quiete, sono quasi tutte straniere, quindi puoi sentire:
“signola apla la bocca”
“signola tu essere stanca?”
“madam gradisc un bicchier d’acua?” (da leggere con inflessione francese).
Signore che per una modesto stipendio passano tutto il giorno a tenere compagnia ai fortunati che possono permettersi questo lusso extra.
Al centralino ci sono la smilza e la grassa ( succede a tutti di dare un nomignolo a qualcuno che vedi regolarmente e del quale però ignori il nome no?)

Poi c’è la rosa d’infermieri composta da big gym il bellone, l’incapace alle prime armi, cioè una ragazzetta appena laureata che ha saltato sui libri il capitolo “come saperci fare con le persone”, poi abbiamo la nera, tipo mamy,senza il turbante però, buona, umana e professionale, capelli unti, smilza pure lei, non manca la fredda ma brava e infine il rassicurante, né bello né carciofo, normale, e appunto sicuro del fatto suo, tant’è, che quello che esce dalla sua bocca è buono e giusto.

Detto questo, si passa alla categoria dell’infermiere mancato, l’ausiliare, cioè “ausilia” le persone, le aiuta, con tanto di corso 600 ore superato, esso, dentro si sente dottore, fuori la divisa di colore diverso lo identifica innegabilmente a o.s.s. oppure a.s.a.
Facce stanche e smunte, sederi grossi, spesso anche qui accenti dell’est oppure afro-francesi, ah no aspetta, anche italo-napoletano, anzi secondo me le cooperative se non sono napoletani non li assumono, e così nei corridoi senti urlare -uè signò trallallero trallalà- una categoria piuttosto svantaggiata, guadagna la metà e sgobba il doppio.

Però l’operatore socio sanitario, l’o.s.s. appunto, si consola perché si aggira per la struttura la categoria ancora più sfruttata e sottopagata della sua, l’addetto alle pulizie, con tanto di divisa ancora più deprimente, casacca e pantalone a righine bianco azzurro, che detto come va detto a me fa venire alla memoria quei brutti pigiamoni dei campi di concentramento, ma questo è un mio pensiero un po’ troppo avvilente.
Quello che vorrei dire, capperi fatele a pois queste divise anche a tinta unita, amaranto, il massimo sarebbe stile Missoni, almeno si tirano un po’ su il morale sta povera gente.

Passo infine al Dottore, con tanto di D maiuscola, sì perché il dottore e tipo un’entità misteriosa, passa di rado, sempre di corsa, -ma dove deve andare sempre di fretta così?-
Con falcata sicura appare nei corridoi, dal nulla si materializza, non fa nulla e scompare, con il suo bel camice bianco e lindo, la piegolina dietro, tutto abbottonato davanti e la biro nel taschino.
Caro il mio bel dottorone brizzolato, ma quando anni fa decidesti di tenere la testa china sui libri e studiare per tanti anni, con tanto di giuramento di Ippocrate, era per fare del bene alle persone? Oppure startene comodo nel tuo ufficio a giocare al solitario?

Il Parkinson

Cara signora Ilde, per meglio sapere come comportarmi con te mi sono documentata sulla tua patologia.
Sono diversi anni che ti si è manifestato il morbo di Parkinson.
Questo morbo provoca disturbi del movimento ed è causato dalla degenerazione cronica e progressiva di alcune strutture del sistema nervoso centrale, in particolare, dove è prodotta la dopamina, un neurotrasmettitore essenziale per il controllo dei movimenti corporei

Novembre Dove sei?

E’ circa un mese che ci conosciamo e a detta di tutti, qui alla Quiete, pare che da quando vengo io a tenerti compagnia stai meglio, sei più vivace e mangi volentieri.
In effetti, fisicamente ti trovo bene, ma è nella tua testa che vorrei entrare.
Mi basterebbe un attimo, capire quanto sei qui con me e quanto nei tuoi pensieri ingarbugliati
– lo saranno poi ?- Oppure solo quello che esce dalla tua bocca lo è?
So che ignori la morte dell’uomo che hai amato e sposato.
Una sera durante la cena, mentre t’imboccavo, ti ho chiesto se gradivi quella pietanza e mi hai risposto di sì, ti sei però raccomandata di non offrirla a tuo marito perché invece lui no.
Che stretta al cuore.
Non condivido la scelta di non dirti che sei vedova, chissà quante volte ti sarai domandata che fine ha fatto lui, perché non lo vedi più, forse temi ti abbia abbandonata.
Ti è negata la possibilità di rassegnarti e accettare la realtà. Forse nel tuo mondo, mia cara Ilde, nebuloso ma sicuro, non c’è posto per la sofferenza.

Se cosi fosse, è meglio se resti dove sei.

Un bacio e mi hai sorriso

Sono passati nove mesi, e quindi, qualcosa bisogna partorire.
Io ho espulso una riflessione
Ti ho conosciuta che eri tipo anestetizzata, apatica, invece da quando stai in mia compagnia hai avuto una sorta di, lo chiamerei, risveglio emotivo.
Credimi Ilde che il risveglio l’ho avuto anch’io.
Ora non ho più deliri di onnipotenza nei tuoi riguardi, ti vivo come sei, giorno dopo giorno, a volte stai bene altre purtroppo no.
Ma le emozioni e l’affetto, quello vero e sincero, non hanno alti e bassi, ma è solo un crescendo.
Oggi è stato bellissimo, sono arrivata al corpo C di corsa e un po’ sudata, come al solito ti ho cercato velocemente con gli occhi, nell’insieme delle carrozzelle, che i primi tempi in qui venivo da te, alla Quiete, erano tutte uguali per me, ora invece, ognuna di esse ha uno sguardo proprio, più o meno presente, ma vivo, lucido, tenero.
Ti ho visto e ho sentito un operatore che ti diceva “ ecco è arrivata Anna”, ho intuito così che chiedevi di me, mi aspettavi e forse ansiosa di vedermi.
Mi ha dato una grande emozione questa cosa, ti ho dato un bacio rumoroso sulla guancia e tu mi hai sorriso.

Febbraio Poche parole

Mia carissima Ilde, sono seduta sul divano, meglio dire rannicchiata, la casa e calda, ma i brividi mi percorrono lungo la schiena, nemmeno il tepore della coperta serve.
La penna scrive fluida sul foglio bianco perché ho tante cose da dirti, ricordi te lo avevo promesso?
La novità – intanto che lo dico il cuore sobbalza- è che Luca ed io tra pochi mesi diventeremo una famiglia, composta da tre, proprio ieri ho saputo che aspetto un bambino, o una bambina, chissà..
Ho una miriade d’immagini, che come in un film muto, scorrono veloci e si accavallano nella mia memoria.
Quante cose sono successe da quando ti conosco e quante ne sono cambiate.
I volti che posso ricordare, la grassa, la smilza, l’animatrice, gli operatori, il gruppo di vecchietti nell’atrio e poi l’odore di pipì, la crema Alba, il giardino, le tue buffe risposte e tuoi silenzi.
Mia dolce e cara Ilde, questi sono solo pensieri e tali resteranno, perché tu non mi guarderai più con gli occhi smarriti e tristi, non potrò raccontarti la gioia che cresce dentro di me, non potrò perché il tuo cuore ha smesso di battere, mentre dormivi, silenzioso e discreto.

Come sono certa vorresti tu, ti saluto con poche parole, solo poche parole e uno sguardo a questo squarcio si cielo che vedo dalla finestra…ciao Ilde e grazie di cuore per avermi permesso di entrare nel tuo mondo.

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2 commenti »

  1. un racconto bello e soprattutto commuovente.

  2. Dolcissimo. L’amicizia e l’amore che restano dopo la morte.
    Angela

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