Premio Racconti nella Rete 2014 “Il nulla” di Maria Luigia Donati
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Francesca,
Non so perché ti sto scrivendo.
Sono anni che ci siamo perse di vista, da quando te ne sei andata a Parigi a studiare recitazione.
Ho un gran bisogno di buttare fuori quello che ho dentro e a cui non riesco a dare un nome, è solo un groviglio di pensieri così confuso da essere quasi un nulla, e mi sei venuta in mente te.
Alla fine, al liceo, ti dicevo sempre tutto: quando stavo male, quando avevo dei problemi, o semplicemente voglia di piangere. Ci ritrovavamo sempre sulle scale esterne durante le ore di lezione, anche se era inverno e faceva freddo. Tu mi ascoltavi, capivi e stavi in silenzio.
Era bello.
Non mi giudicavi, mi guardavi e basta, forse ti facevo pena, forse era empatia, però a volte mi sembrava davvero tu partecipassi alle mie ansie.
Poi con l’università tutto si è fermato perché tu sei partita, e io, dopo che mio padre se n’è andato di casa con la sua nuova fidanzata, sono diventata sempre più seria e sfuggente, la mia vita ha preso una piega imprevista, il fatto che mia madre sia caduta in depressione e abbia iniziato a piangere dalla mattina alla sera ha condizionato inevitabilmente le mie scelte e la mia visione della vita.
Una volta avevo desideri e speranze, adesso non so nemmeno come finirà la mia giornata, provo a pormi degli obiettivi, ma faccio finta di dimenticarli quasi subito.
Non so perché mi è venuto in mente di iniziare a scrivere questa cosa, forse perché sto aspettando l’aereo, intorno a me vedo persone che si salutano un po’ malinconicamente, oppure partono per le vacanze e hanno i visi rilassati e mi sento esclusa da tutti questi stati d’animo, da tutte queste esistenze.
Sono sempre in mezzo alla gente, alle situazioni, ma sono solo una spettatrice di quello che gli altri vivono. Io non vivo niente di quello che accade.
Questa sensazione l’ho sempre avuta, pensavo che fosse causata dalla mia situazione, dalla mia famiglia disfunzionale, dal fatto che sono sempre vissuta nello stesso posto senza mai spostarmi granché.
Invece anche in Erasmus accade la stessa cosa.
Si non te l’ho mai detto, sono partita per l’Erasmus a Settembre, ma la mia vita non è cambiata, non è stata “un’esperienza che ti segna”, come dicono in tanti. Mi sento sempre invisibile dentro la folla, non riesco a stringere amicizia e osservo, sono esclusa, come uno spettatore di un film troppo lungo, la cui trama procede con difficoltà.
Probabilmente la mia crisi non è causata dall’esterno, sono io che sono sempre stata in crisi, lo sono da una vita.
Quando sono partita, avevo solo bisogno di staccare da ciò che avevo intorno, da mia madre che non esce mai di casa e sta sempre al buio, da mio padre che non mi cerca mai, forse per non inserire un elemento di disturbo nella sua nuova esistenza, dalla monotonia che ho sempre vissuto.
Avevo bisogno di non vedere per un po’ persone che hanno poco di cui lamentarsi, di compagni di università che hanno famiglie solide alle spalle e madri che preparano i pasti con cadenza regolare.
Poi quando sono arrivata a Las Palmas (che strano passare un anno accademico su un’isola che di solito è una meta turistica) ho scoperto che anche lì non sto bene, il sole, il caldo non hanno su di me alcun effetto benefico, tutte quelle persone sorridenti contrastano troppo con il mio animo così malinconico, ho passato giorni e giorni a guardare gli altri ragazzi che sono lì come me, hanno fatto subito amicizia, ricevono telefonate da genitori, parenti, che domandano con tono allegro se si trovano bene, se sono felici.
Mia madre invece mi ha sempre e solo chiamata per farmi sentire in colpa: del fatto di averla lasciata sola, di aver fatto come mio padre, di essere egoista.
Mai una volta che mi abbia chiesto come sto, se mi piacciono i corsi a scuola o cose così.
In questi mesi ho assistito nuovamente alle solite scene che ho sempre vissuto a casa: ragazzi e ragazze che si lamentano delle lezioni, che parlano di sbronze, di famiglie che devono far visita.
Ho visto la mia coinquilina di Milano fare amicizia con una naturalezza che io non ho mai avuto e mi sono sentita così fuori posto che tornare in Italia per le vacanze di Natale è stato quasi un sollievo.
Ovviamente, qui, ho dovuto assistere di nuovo a mia madre che fatica ad uscire dal letto la mattina, che non vuole scendere nemmeno a fare la spesa per non vedere coppie sposate, o nuclei famigliari, che sfoga il suo dolore piantandomi scenate per ogni stupidaggine.
Sotto Natale ho visto famiglie fare compere insieme e ridere, o litigare e rispondersi male, ma senza dare troppo peso a quei momenti, lanciandosi sguardi d’intesa per porre fine ai disaccordi.
Ho visto ragazze andare in giro con i genitori per cercare qualcosa di nuovo da indossare a Capodanno, oppure ho ascoltato i racconti delle mie amiche sulle cene passate con i parenti.
Ho sofferto, ho sofferto perché sono stata sempre sola: l’unica volta che ho chiesto a mia madre di venire a fare una passeggiata con me mi ha detto che è troppo in crisi per rendersi presentabile e uscire.
Non ci pensa a come sto, pensa solo a quell’essere odioso di mio padre, che ci ha lasciate e non chiama mai, nemmeno per sapere se abbiamo dei problemi.
Mi fa sentire inutile mamma, ha legato indissolubilmente la sua vita alla presenza e non presenza di quell’uomo, non ha mai cercato, in tuti questi anni, di costruirsi una vita solo con me, non ha provato a considerarci una famiglia, solo io e lei, mi ha fatto sentire inutile, come se la sua realizzazione dipendesse da quell’uomo, che non fosse possibile nessun tipo di tranquillità senza di lui.
Insicurezza, ecco quello che mi ha trasmesso.
L’ultimo giorno che sono andata a fare la spesa mi è sembrato che tutte le persone che avevo intorno fossero, felici, tutti stavano bene, tutti tranne me.
L’ultima volta che ho parlato con i miei amici ho avuto la sensazione che tutti nutrissero qualche speranza nel futuro, tutti tranne me.
Tutti hanno dei programmi, tutti pensano a fare cose, a vedere e conoscere persone, tutto questo sembra quasi innaturale, artificiale.
Un’angoscia terribile mi assale quando ci penso, mi sento circondata da un’aria così pesante che a fatica respiro, non sento il cuore che batte, solo il sangue che sale alle orecchie, alle tempie e pulsa, pulsa fortissimo.
Vorrei dirti che alla fine nutro sempre qualche speranza, che non ho poi così paura di vivere, ma sembra tutto così vago e sbiadito, sono sempre così sola, l’introspezione è diventata una regola e non sto bene.
Mi sento come un animale che sta per essere macellato e vorrei che tutto finisse in fretta, percepisco un’attesa sfibrante che mi scorre nelle vene e mi impedisce di vedere tutto in maniera lucida.
A volte ho la sensazione di vivere un incubo tremendo, poi mi rendo conto che è la mia realtà, che non è fatta di madri che chiamano per sapere cosa vuoi per pranzo o padri che ti portano a fare acquisti prima del tuo compleanno, né di fratelli che ti rubano l’Ipod o di nonne che pensano a cucinare i piatti che ti piacciono.
La mia esistenza è solo un limbo, una grotta in penombra ed io do le spalle all’unica uscita disponibile.
Vorrei che qualcuno venisse e mi dicesse che andrà tutto bene, ma non so se nemmeno in quel momento mi sentirei sicura….
Il nulla sta prendendo piede nella mia vita, e sentire il nulla vuol dire non provare più interessi, né stimoli, ed io non voglio che questa succeda.
Ho bisogno sentire una grandissima estate dentro di me, anche se fuori è inverno, ma il problema dell’inverno è che, quando arriva, ti travolge e basta.
Non lascia via di scampo.