Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

“Racconti nella Rete 2009 “Il campione” di Michele Marianucci

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009

C’era un bambino, mio vicino di banco alle scuole elementari che non parlava molto. Aveva un accento spiccatamente romagnolo, assai più del mio che in Romagna mi ero trasferito con la mia famiglia da pochi mesi perché mio padre era stato chiamato a dirigere una piccola stazione vicino Cesena su di una linea secondaria nell’interno della Costa romagnola.

Era un bambino apparentemente timido ma quando sentiva qualcuno amico, o decideva  in cuor suo che lo sarebbe stato, diventava il bambino più divertente, pronto ad inventare scherzi e le barzellette ancora senza troppe parolacce e senza i doppi sensi che poco si comprendono a quell’età. Anzi, ricordo che non amava i doppi sensi.

Gli piaceva dire quello che pensava, scherzarci su ma mai prendere in giro qualcun altro. Gli piaceva anche, quando uscivamo da scuola, saltare sulla sua bicicletta e pedalare così forte che spesso mi lasciava indietro ma poi nuovamente mi aspettava proprio come nei film di “Don Camillo” dove i 2 amici-nemici Peppone e Don Camillo corrono la vita soltanto per aspettarsi l’un l’altro. Ho passato qualche mese felice a scuola, proprio grazie alla compagnia di quel bimbo mio compagno di banco, in quella classe che però dovetti abbandonare ancora prima della fine dell’anno per seguire la mia famiglia e i treni che portavano mio padre in un’altra stazione, vicino Livorno, dove per’altro aveva conosciuto mia madre. Il tempo, tra un treno e l’altro che mio padre guidava ed una strada non ferrata ed un’altra che percorrevo io, in special modo Corso Matteotti in centro dove facevo l’immancabile sosta al negozio di dischi, passava e cominciava a segnare la mia adolescenza.

Spesso ho ripensato a quel bambino romagnolo con gli occhi decisi se pur malinconici ma completamente distesi quando si lasciava andare alle risate che gli sgorgavano dal cuore. Forse mi tornava spesso in mente per il fatto che amava andare in bicicletta, quando io, di fronte agli incroci che la vita ci fa attraversare non sapevo quale strada sarebbe stata quella giusta. Forse,  perchè la vita non è altro che una strada da percorrere senza navigatore. Comunque sia, di fronte alle mie prime difficoltà ed alle prime scelte da non poter condividere che l’adolescenza ci regala, spesso mi è capitato di pensare a quel bambino, a che cosa avrebbe fatto adesso lui al mio posto.

Mi sono sempre immaginato un ragazzo che, un po’ come me, in quell’età dove troppe situazioni nuove arrivano in una sola volta, si sente poco importante rispetto agli altri, e sempre fuori luogo. Poche persone lo considerano per quello che lui è e per i sogni che coltiva nel suo cuore, per quella voglia di correre il mondo non tanto per arrivare primo quanto invece per conoscere gente nuova. Per quella sua voglia di correre  il mondo non per vincere una gara ma per partecipare alla corsa della vita

Gli altri ragazzi, almeno la maggior parte di loro o quelli che lui conosce, sono perlopiù spettatori della vita, come quando vanno al cinema in inverno, quando fuori piove e l’estate è un ricordo da condividere in fondo ad una platea su due poltrone cigolose che odorano di muffa e che segnano l’inizio dell’inverno, con la vicinanza del Natale e i buoni sentimenti che i film di quel periodo esaltano con tante di quelle cafonate che neanche i ragazzi più casinisti della classe di 3^ Liceo riuscivano in minima parte ad eguagliare. Lui invece vorrebbe essere un protagonista ma non per avere il proprio nome scritto in grande nei titoli di coda ma semplicemente perché diversamente non sa vivere.

Probabilmente quel ragazzo sa già che ogni situazione va conquistata con allegria e con ironia ma anche con fatica, quando è proprio la fatica che ci convince che, poiché così dura,  la strada intrapresa è quella giusta.

Così io a 15 anni salivo sulla mia bicicletta perché avevo speso anche i soldi della benzina per lo scooter al negozio di dischi e mentre mi lasciavo un mondo di case tutte uguali alle spalle andavo incontro al cielo e al mare che al mio paese non manca mai nei discorsi della gente. “Il mare oggi è calmo che si può tagliare come un vetro”. “Il cielo promette poco di buono: una mareggiata stanotte non ce la leva nessuno”.  E ancora vedevo il mare mentre, mi dirigevo verso la stazione ferroviaria. Forse per il fatto che mio padre da sempre lavorava tra i treni, la consideravo una specie di seconda casa. Appena varcata la sala d’aspetto salivo sul primo treno locale che passava per poi scendere quando dal finestrino vedevo una stazione piuttosto piccola, situata in un luogo un po’ isolato ma abbastanza affollata e sempre con il bar ed una piccola edicola dove compravo un quotidiano con la cronaca del posto. Così, leggendo quel giornale mi immergevo per un’oretta nella vita di quel paese, dalla cui stazione vedevo partire ed arrivare gente che non conoscevo, divertendomi ad indovinarne la provenienza, la destinazione, loro  appuntamenti ed impegni.  Inventandomi la loro vita.

Ed in quel via vai pur modesto di gente, quasi facessi parte della folla che saliva e scendeva dai treni, venivo attratto in modo particolare da alcuni gruppi di ragazzi più grandi di me che andavano a ballare in un locale di un paese vicino, qualche altro che faceva una gita al mare e quelli più scalmanati che tornavano dalla partita. Rivivo ancora la curiosità per il loro mondo a me vicino ma ancora sconosciuto perchè troppo piccolo di età. 

In quel gruppo di ragazzi, nei loro sguardi, nelle loro spinte ed infine nelle loro grida che mi facevano tornare alla realtà, riuscivo a vedere tutto quello che cercavo.

Erano tante anime, cuori e voci che parlano contemporaneamente. Che s’intrecciano, che ridono, che si arrabbiano. E se c’è stato da ridire o anche da ridere per un discorso un po’ fuori luogo, la volta successiva le cose si ribalteranno, e sarà qualcun’altro a fare quel discorso.  Sarà qualcun’altro a far ridere gli altri, perché ancora ci sarà da ridere. 

Ognuno di quei ragazzi tornerà a casa la sera, con il cuore più leggero e la sensazione di costruirsi un proprio piccolo mondo.  Sicuramente diverso da quello degli adulti, magari anche incomprensibile ai loro occhi.  Ma non ci sarà bisogno di raccontarglielo. Perché quel piccolo mondo è già radicato dentro ognuno di loro, e tutti quanti insieme, senza neanche rendersene conto, pian piano, stanno costruendosi la vita.

Oggi, di tempo ne è passato parecchio da quei pomeriggi e da quegli anni. Eppure, adesso seduto di fronte alla televisione mentre guardo una tappa del Giro d’Italia con i gruppi dei corridori dove si mescolano campioni e gregari che viaggiano anche senza prendere un treno mi tornano alla mente, chiarissime, le immagini di quei pomeriggi in Stazione.

Ad un tratto sfreccia in solitario un corridore, fisico esile, sguardo fuori dalle orbite, maglia rosa addosso, che corre lasciandosi il gruppo alle spalle, pedalando la strada come se in quel momento scoprisse il mondo, mentre risale come una vertiginosa scalata, la tortuosa strada che ha davanti.

Rivedo con chiarezza precisa e grande naturalezza gli occhi curiosi di quel bambino mio compagno di banco in quella scuola romagnola. Rivedo nello sguardo del corridore quegli occhi curiosi del mondo e sento nuovamente le frasi dritte, sicure, di quel bambino con le sue parole senza doppi sensi come la strada che percorre questo ciclista.

Ed ogni volta che nuovamente quel corridore sfreccia dentro il video della mia televisione, veloce come un’auto sportiva che al posto del motore ha lo sguardo a vedere sempre più lontano e al posto dei pistoni ha i polpacci che instancabili vanno su e giù per guadagnare un metro, un brivido mi attraversa. Anch’io mi rivedo in quell’uomo che contro il vento, contro le intemperie non si ferma mai e va, comunque, incontro ad ogni salita.

A volte mi pare un cartoon per il contrasto tra il suo fisico minuto e la forza instancabile che invece sprigiona regalando alla sua bicicletta velocità e nuovi paesaggi da attraversare. Se però guardo meglio il suo volto e quel suo sguardo inconfondibile ma soprattutto impossibile da disegnare, ho la certezza di avere di fronte un uomo. Un uomo che è stato un bambino forse in una classe dove c’ero anch’io. O forse sono io che mi immedesimo in quell’uomo che vola le salite perché da bambino avrei voluto saper volare e raccontare di cose che solo dall’alto, solo da grandi, si possono vedere.

Quel corridore è straordinario, è un uomo che combatte, che lotta ma soprattutto che si impegna ad essere più tenace delle salite della vita per poi nuovamente discendere la strada verso il mare della gente, che non lo fa mai affogare e lo culla con onde di entusiasmo, di passione per un uomo tanto piccolo ma infinitamente lungo nella sua ombra che rimane incollata sull’asfalto anche quando lui, ormai, è già lontano. Difficilmente io seguo lo sport alla tivù ma quest’uomo mi affascina quando distacca gli altri e da solo percorre una strada che lo porterà in mezzo a più gente di quanta ne ha lasciata alle sue spalle.

Quell’uomo su due ruote ricorda il percorso di molti di noi. Ma quell’uomo su due ruote, diversamente da molti di noi è un campione. Non tanto perché taglia il traguardo per primo, quanto per le proprie emozioni, i propri sentimenti e le proprie paure che ha saputo caricare su di una bicicletta e portare a spasso fra la gente. Ed ancora una volta, con un senso di lieve disagio e di profonda commozione mi torna alla mente il bambino a scuola seduto accanto a me quando, durante la ricreazione uscivamo nel corridoio e ci chiedevamo che mestiere volessimo fare da grandi. Fra le risposte più comuni che ognuno di noi diceva con entusiasmo ma anche dando alla voce un tono di importanza, c’erano l’ingegnere, l’astronauta, il dottore, il calciatore. Quel bambino che non parlava molto invece, con il tono della voce basso ma sicuro, ci lasciava tutti sbigottititi, perché non sceglieva un mestiere ma spalancando i suoi occhi scuri scuri come se dovesse spiegarci qualcosa che non conoscevamo diceva: “voglio fare il Campione”. “Il Campione non  soltanto per vincere ed essere il primo”, aggiungeva, “ma perché chi arriva primo può aspettare tutti gli altri e vederli arrivare”.

Soltanto in questo momento, che vedo quest’uomo dal fisico minuto vincere ogni tappa, colgo per intero il significato di quelle parole apparentemente ingenue sgorgate direttamente dalla fantasia di un bambino. Adesso comprendo che un Campione ha la necessità di arrivare primo per poter poi aspettare tutti gli altri e cominciare con loro, una volta finita la gara, il cammino, non meno irto, di quella comune vita vera, fatta di mille imperfezioni, diecimila sbagli e infinite occasioni perse, dove può capitare, anzi è normale, anche prendere la strada sbagliata.

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