Premio Racconti nella Rete 2014 “I giardini di via Palestrina” di Alessandro Castrianni
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014L’uomo d’affari varcò l’ingresso alle ore diciotto in punto.
Il passo composto, il capo chino sul ciottolato grigio. Il suo cammino era già scritto, segnato, tracciato come un solco nell’anima dell’attore costretto a impersonare ogni giorno la vita di un altro. La meta designata era la panchina sotto l’antico abete che ombreggiava l’aiuola centrale: una gemma incastonata fra l’area giochi e la zona riservata ai percorsi salute, circondata dal grande sentiero che ne lambiva la perfetta forma rotonda e divideva i giardini pubblici in due grandi ali di farfalla. Lo sapevano tutti che quello era il suo posto, un’usucapione sui generis, rispettata e riconosciuta; nessuno avrebbe mai avuto l’ardire di contestargliela. Come privare quel pover’uomo del suo ultimo, legnoso, baluardo di speranza? Eh già, perché quella panchina, per lui, non era un semplice posto per soffermarsi a leggere un buon libro e badare ai propri figli. Non lo era più da molto tempo, ormai.
Nashat era già lì.
Gli occhi vispi, il sorriso stampato sul volto. La felicità in persona. Stava per vincere la gara di bicicletta contro uno dei suoi amici quando, all’improvviso, fece una brusca frenata.
«Mi scusi, signore». La ruota anteriore per un soffio non sfiorò le scarpe di vernice nera. Se solo avesse continuato a guardare davanti a sé, invece di voltarsi ogni due secondi verso il suo inseguitore, lo avrebbe sicuramente evitato in tempo. L’entusiasmo si spense nel senso di colpa.
L’uomo d’affari non si scompose. La sua mano cercò la spalla del ragazzino e la strinse con tenerezza, come a dire: «Stai tranquillo, sono cose che succedono». Poi lo guardò in faccia. Era la prima volta, nonostante lo vedesse gironzolare tutti i giorni. In quei tratti arabeggianti riconobbe qualcosa che non riusciva ad afferrare. Fu come l’incontro di due vecchi amici che, ritrovandosi per caso nello stesso luogo, realizzano di essersi persi di vista senza rendersene conto.
«Ho vinto!» gridava intanto il piccolo rivale di Nashat mentre tagliava il traguardo, una linea immaginaria tra due cestini ai lati del percorso pedonale, perfettamente speculari, a pochi passi dal cancello d’entrata.
Nashat staccò gli occhi da quelli dell’uomo e volse lo sguardo in direzione della voce. Scoraggiato, fece un lungo respiro sforzandosi di non far trapelare il suo dispiacere. L’uomo stava per dirgli qualcosa. Forse avrebbe voluto scusarsi, o dire qualche parola di conforto, nessuno lo saprà mai. Preferì rimediare alla sconfitta del ragazzino nell’unico modo che conosceva: sfiorò con la mano i suoi occhi, che si chiusero all’istante.
Nashat era di nuovo in sella alla sua bici, in piena corsa. Il suo compagno di giochi dietro di lui, intento a superarlo. Com’era possibile? Appena un attimo prima stava parlando con… non importava, aveva una seconda occasione per vincere e non l’avrebbe di certo sprecata. Memore di quanto accaduto prima – era successo davvero? – si concentrò sul traguardo, senza voltarsi più indietro.