Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2014 “Io, principe invisibile” di Alessandro Castrianni

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014

Era la notte fra il 6 e il 7 febbraio 1873.

Mi svegliai di soprassalto. Non per i soliti incubi. Quella volta ebbi la netta sensazione che un lenzuolo di morte fosse calato su di me. Mi guardai attorno. La fioca luce diffusa dalla candela sul comodino tremava in sincrono con le mie gambe: sembrava volesse esplorare ogni angolo della stanza. Poi, tutto a un tratto, un movimento destò la mia vista. Sarà suggestione, pensai. Volsi lo sguardo a sinistra, e intravidi un’ombra schizzare da sotto il letto. Una creatura spettrale, per metà uccello e per metà infante, mi fissava dalla sedia dello scrittoio con le zampette penzoloni e il faccino piegato di lato. Gli occhi erano due nere fessure, dove saettavano scintille di un fuoco che ardeva in profondità. «Mi aspettavi, vero?» sussurrò in un ghigno.

Mi si gelò il sangue. È venuto a prendermi, ripetevo dentro di me. Speravo fosse un semplice traghettatore di anime, ma il suo aspetto suggeriva un’origine molto più oscura degli abissi dell’oltretomba. «Sì è oggi, Joseph. Sei pronto?» proseguì divertito.

No, non lo ero per niente. Quanto avevo desiderato che arrivasse quel momento. Sì, volevo morire. Così avrei potuto rivederla, riabbracciarla, starle di nuovo accanto. Poco mi sarebbe importato, ritrovarla fra le fiamme dell’inferno o nella gloria dei cieli. Avrei vissuto l’eternità ovunque, pur di tornare con lei, con il mio amore: Susan.

Ho timore di quanto sto per rivelare. Porgo sin da ora le mie più sentite scuse a chi, proseguendo nella lettura, penserà che io sia un povero mentecatto o, peggio, un ciarlatano intento a fascinare il prossimo con un mero esercizio di fantasia. Dio mi è testimone!

Una forza invisibile mi afferrò all’improvviso e mi sollevò, per poi abbandonare la presa e lasciarmi sospeso a mezz’aria. Guardai in basso e vidi me stesso disteso sul letto, con gli occhi ancora sbarrati verso il bambino. Ero morto. Per istinto cercai di tornare nel mio corpo, ma mi rigirai su me stesso, ancorato a un punto fra il soffitto e il pavimento.

Una risata maligna echeggiò fra le mura e m’investì in pieno. Le pareti cominciarono a tremare insieme ai mobili. Il pavimento iniziò a sgretolarsi. Speravo solo che, qualsiasi cosa stesse accadendo, finisse presto. Non sopportavo l’idea di galleggiare nel vuoto, impotente, di fronte a quello spettacolo. Le scosse aumentarono d’intensità, più forti di qualsiasi terremoto. Uno scricchiolio s’insinuò nel caos. Un attimo dopo mi sentii attraversare da un immenso oggetto metallico e ci fu uno schianto violentissimo, accompagnato da una pioggia di calcinacci. Era crollato il lampadario. Il suo impatto col suolo sollevò una nube di polvere e detriti che mi annebbiò la vista. Per qualche istante, che a me parve un’eternità, persi l’orientamento e mi sembrò di cadere.

Quando la coltre si diradò, lo scenario era cambiato: davanti a me il soffitto squarciato e, tutt’intorno, i resti di quella che fino a poco tempo prima era la mia stanza da letto. Un dolore improvviso pervase le mie viscere. Sollevai il capo. Il mio ventre era costellato di schegge di cristallo: somigliavano a lapidi insanguinate in un cimitero abbandonato.

Urlai disperato, ma il mio grido fu inghiottito da una quiete sinistra. Un silenzio vivo.

Mi voltai alla mia sinistra. Non c’era più nessuno.

Nonostante le fitte, riuscii a mettermi seduto. Mi trascinai poco alla volta fino ai piedi del letto. Volevo fuggire. Appena appoggiai un piede a terra, il suolo franò sotto il mio peso e per poco non cascai fra le macerie. In quell’istante, scorsi il riflesso di una figura pallida lungo un cristallo ancora intatto. «Susan!» gridai. La cercai con gli occhi.

Una folata di vento esplose dalla finestra, mandandola in frantumi.

L’ultimo residuo di fiamma aggrappato al lucignolo si estese alla cera liquida e formò una nube di fuoco che si spense con la stessa velocità con cui prese vita. Nel buio, fui subito circondato da ruggiti, tonfi, sibili e movimenti sfuggenti. Cercai di non perdere l’equilibrio, ma benché i miei sensi fossero più vivi che mai, le forze mi stavano a poco a poco abbandonando, sconfitte dal terrore e dall’inesorabile perdita di sangue.

Crollai in ginocchio e persi i sensi.

Sognai mia moglie. Mi diceva che non era ancora tempo, per me. Che non l’avrei mai trovata dove pensavo, perché non c’era alcun aldilà per la sua anima. La Morte non mi avrebbe mai avuto, finché lei fosse rimasta al mio fianco. E lo sarebbe stata sempre. Il suo viso era dolce e luminoso e la mano, protesa verso di me, in procinto di accarezzarmi.

Qualcosa mi azzannò alla gola.

Quando riaprii gli occhi, un lieve e rassicurante bagliore filtrava dall’apertura lasciata dalla finestra. Sollevai il capo, poi tutto il corpo, pronto a nutrirmi della bellezza di quell’alba tanto sospirata. Arrivato di fronte allo squarcio, mi accorsi che era la luna, a sorgere. Splendeva più del sole, e illuminava di verità ogni cosa. Il collo mi pulsò nel punto in cui ero stato morso. Stavo per poggiarvi una mano sopra, quando mi sentii avvolgere i fianchi in un tenero abbraccio.

Mi voltai.

E allora tornai a vivere.

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