Premio Racconti nella Rete 2014 “Da che parte stare” di Milena Paulon
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014La tintoria dei nonni era un libro di avventure. Mi piaceva soprattutto l’odore. E poi mi incantavo davanti all’enorme oblò del lavaggio a secco. Ci stavo ore a guardare come la maglia rossa cadesse sempre allo stesso modo sui pantaloni a righe o come la giacca blu cambiasse direzione dopo due giri e mezzo verso sinistra, precisa. Nella stanza sul retro, quella che dava sul cortile, c’era sempre una nebbia di vapore creata da macchine a pedali che quando li schiacciavi, oltre al vapore, facevano un bel rumore di nave che entra nel porto. Mia nonna usciva da quel fumo senza odore e dava gli ordini, come un capitano ai suoi marinai. Mio nonno rispondeva sempre – Si – e poi aggiungeva – amore mio – e sorrideva come sorridono i pirati. Mia nonna preparava delicati pacchetti di vestiti avvolti nella carta sottile e in mezzo ci metteva un bigliettino. Mio nonno prendeva il pacco con attenzione, leggeva il bigliettino e saliva sulla sua Lancia Fulvia bordeaux (ma lui diceva – granata – e lo diceva come fosse un complimento anziché un colore). Vieni con me campionessa? – e sorrideva e io quando sorrideva sarei andata con lui dappertutto.
E infatti, andavo con lui al Fila a vedere gli allenamenti del Toro e quando entravamo da quel cancello tutto arrugginito mi diceva tutta la formazione del Grande Torino, a me del calcio non importava poi granché ma la diceva così bene che sembrava una poesia. Poi andavo con lui a scoprire la città e quando faceva troppo caldo per camminare o troppo freddo per stare fermi a guardare i giocatori di bocce, andavamo al cinema. Ho visto centinaia di film con mio nonno, avevamo una nostra sequenza perfetta: cinema – farinata – birra lui – coca cola io – non dirlo alla nonna – no che non lo dico. E poi ovviamente lo seguivo sempre nel suo giro di consegna dei pacchetti di vestiti. Un giorno però successe che mia nonna, il capitano, preparò un pacchetto, scrisse il bigliettino con il nome e l’indirizzo e consegnò tutto a mio nonno. Il marinaio lesse il bigliettino e, per la prima volta, gli sentii dire – No – non aggiunse – amore mio – e non sorrise. Un ammutinamento in piena regola.
– Lo sai che da quello non ci vado, è inutile che tu me lo chieda tutte le volte.
– Ma smettila, non fare il bambino, sono passati 40 anni.
– Per quanto mi riguarda potrebbero esserne passati anche 100 di anni, possibile che tu non capisca?
– Capisco che paga e tanto basta, aspettassi te saremmo già morti di fame da dopo la guerra, forza muoviti, questa roba va consegnata entro oggi, non farmi perdere tempo.
E qui mia nonna dichiarò chiusa la discussione e fece una cosa che non mi aspettavo: si avvicinò a mio nonno e lo baciò, proprio sulla bocca, come al cinema. Lui si prese il bacio e poi anche il pacchetto di vestiti – Andiamo campionessa – mi disse, io lo seguii alla macchina e lui prima di sistemare il pacchetto e salire si voltò verso mia nonna e le sorrise, come un pirata. Durante il tragitto mio nonno non era allegro come al solito, si vedeva che c’era qualche cosa che quel bacio non era riuscito a scacciare del tutto, ma io allora ero troppo piccola per chiedergli cosa fosse e me ne stavo lì a guardare le sue mani nervose sul volante della Lancia Fulvia Granata. Arrivammo in un corso alberato dove non ero mai stata, mio nonno parcheggiò e prese il pacchetto di vestiti quasi con rabbia, come se imbracciasse un fucile, si voltò verso di me e mi disse – Vieni campionessa, stammi vicina – e anche se io l’avevo sempre fatto di stargli vicina lui non me l’aveva mai chiesto prima. Mi prese la mano strettissima come faceva la nonna quando dovevamo attraversare una strada trafficata e io mi lasciai trasportare così fino al quarto piano di un palazzo con gli interni di marmo e la moquette bordeaux – E’ granata questa moquette? – chiesi – No – fu la risposta – questa no. Mi lasciò la mano giusto il tempo di suonare il campanello. Venne ad aprirci un uomo magro poco più alto di mio nonno e infinitamente più vecchio, o almeno così mi sembrava. Quando furono uno davanti all’altro nessuno dei due sorrise, nessuno dei due parlò. Come in uno di quei film quando il buono e il cattivo si ritrovano faccia a faccia immobili in mezzo alla polvere marrone e la città vuota intorno. Dalla tromba delle scale mi sembrò persino di sentire il vento del deserto e occhi impauriti nascosti dietro gli spioncini delle altre porte. Dopo un tempo teso ed eterno fu mio nonno a sparare per primo. Con una mossa rapida e con una mano sola, che con l’altra continuava a tenere stretta la mia, lanciò il pacchetto di vestiti addosso al nemico. Il vecchio con insospettabili riflessi parò il colpo ma non poté evitare il tonfo sordo dei vestiti sulla moquette bordeaux.
– Non hai ancora imparato le buone maniere vedo – furono le prime parole del vecchio
– E tu a lavarti le camicie, cos’è hai paura che si scoloriscano e diventino grigie e tristi come te?
– Ma ci pensa la tua Signora a tenermi in ordine, cosa che a quanto vedo non le riesce con te
A quelle parole mio nonno mi lasciò inaspettatamente la mano, come se avesse bisogno di tutti i suoi gesti, sembrava non aspettasse altro da che eravamo saliti in auto fuori dalla tintoria. Ma alla fine gli uscì solo
– Lei lasciala stare – era rosso in volto, il vecchio se ne accorse, ne approfittò per interromperlo e affondò il colpo
– Una donna così bella, non capisco come faccia a stare con uno come te da tutti questi anni
– Ancora non ti sei rassegnato al fatto che abbia scelto me, vero? – si rialzò orgoglioso mio nonno.
– Sicuramente avrebbe avuto una vita migliore, senza il bisogno di lavorare per esempio
– A parte stirare le tue maledette camicie nere, gratis.
I toni si alzarono tanto da rimbombare tra i piani del palazzo, mi aspettavo che da un momento all’altro, uscisse qualcuno dagli appartamenti vicini a protestare, ma nessuno si mosse e mio nonno sparò ancora, tutto d’un fiato questa volta.
– Non sopporto le tue ordinate camicie nere, non sopporto te e non sopporto tutte queste persone dietro gli spioncini di questo condominio di ricchi borghesi fascisti
Agitava le mani e indicava ora il vecchio, ora le altre porte chiuse attorno a noi. Non avevo mai visto mio nonno così agitato, nemmeno quando ascoltava il derby con la radiolina attaccata all’orecchio.
– Ah sei venuto a fare il tuo solito comizio. Ma qui non puoi, è un palazzo rispettabile questo – provò a contrattaccare il vecchio, ma mio nonno era ormai inarrestabile
– Ordine e divieti. Avete paura di chi non è come piace a voi, di chi pensa e di chi parla a voce alta
– Ma bravo, sono queste le cose che insegni a tua nipote? A gridare per le scale dei condomini e che siamo tutti uguali e tutte quelle balle lì da comunista?
– Al contrario, le racconto che siamo tutti diversi, le insegno a non stare mai dietro ad uno spioncino e soprattutto mi raccomando che non stiri mai le camicie che non vuole stirare.
Questa frase per me decretò la vittoria di mio nonno e quando la porta si chiuse e fummo di nuovo soli io, che fino a quel momento ero stata come in apnea, lo guardai e dissi – Non mi ricordo mai chi viene prima di Mazzola – Gabetto – mi rispose lui e sorrise. Poi scendemmo le scale in silenzio e al secondo piano fui io a cercare la sua mano. Come mia nonna avevo capito allora e per sempre da che parte stare. Sono passati 30 anni da quel giorno, il nonno e la nonna non ci sono più e nemmeno il vecchio fascista. Io vivo in un condominio pieno di divieti, non ho mai voluto imparare a stirare le camicie e conosco a memoria una sola poesia. “Bacigalupo, Ballarin, Maroso, Grezar, Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola”.
Racconto tenero e sensibile. Complimenti
a tratti poetico.complimenti.
Grazie mille Francesca e Mariangela
È una bella storia di nonni e nipoti. Ci sono vicende e saperi che si raccontano in famiglia e restano incisi nella nostra storia personale. Non so se questa storia si ispiri a un fatto realmente accaduto ma credo che tante persone, leggendola, possano rivivere momenti importanti della proprio passato. Almeno a me è successo questo.
I nonni possono essere grande fonte d’ispirazione per racconti di vita! Grazie e auguri per il concorso!
Silvia
Delizioso. E il nonno del racconto somiglia straordinariamente al mio! Leggiamo anche per questo, per ritrovare noi stessi, inaspettatamente, nelle parole di chi scrive
Davvero ben fatto,
emozioni e nostalgia.
Brava.
A presto.
M
Grazie davvero per gli apprezzamenti al mio piccolo racconto 🙂
Mi hai commosso. Come hanno gia’ scritto in tanti: delicato. Complimenti.
I sentimenti e….i risentimenti rimangono cristallizzati nel tempo. Gli anni non riescono a cancellare la rivalità. Un racconto tenero dove le parole sono proiettili che possono ferire e uccidere e…..insegnare. Molto bello è il riferimento del colore granata col grande TORINO.
Emerge, anche, il tenero rapporto che può instaurarsi tra nonni e nipoti e che lascia grandi insegnamenti e ricordi che ci accompagnano per tutta la vita.
Complimenti a te, cara Milena, per aver saputo dosare tenerezza e forza.
Angela Lonardo