Premio Racconti nella Rete 2014 “Periferie” di Lucia Fornaini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Il rituale si ripeteva ogni mattina alle sei e mezzo, estate e inverno.
Lo rappresentava la donna dalla faccia grigia, le rughe scavate sulla fronte stretta, gli occhietti spenti come una palude, le labbra curvate all’insù in un sorriso forzato che trasmetteva tristezza.
Quella donna bassa e sgraziata, dal ventre rilassato in pieghe molli, le braccia corte dai gomiti nodosi, due gambette incerte sui piedi strascicati, usciva lenta sul ballatoio davanti alla porta di casa e si fermava sull’impiantito del lungo corridoio tra le due costruzioni parallele.
Gli edifici erano grigiastri, come il volto della donna, posti in simmetria frontale, suddivisi in tanti appartamenti addossati l’uno all’altro, distanziati da un corridoio col pavimento in assi di legno, in alcuni punti un po’ sconnesso.
Quelle case popolari, costruite appena dopo la guerra in una zona periferica della città, davano alloggio a tante famiglie di operai che conducevano un’esistenza dignitosa ma pervasa di grigiore. E tutto ne dava segno, nonostante la pianta di basilico sul davanzale di una finestra, la tendina di plastica che imitava una giallognola trina, appesa a un vetro, il tappeto verde sfilacciato sulla soglia di una porta.
La donna abitava nell’ultimo appartamento, uno dei più piccoli, che divideva col marito manovale e un figlio sedicenne, garzone presso un meccanico del quartiere.
Ogni mattina, dopo aver servito ai due uomini il caffelatte col pane raffermo, rimaneva sola per tutta la giornata.
Indossava estate e inverno sempre gli stessi indumenti: una giacca di lana di un azzurro stinto, oramai lisa sui gomiti e priva di due bottoni, un grembiule di cotonina a minuscoli fiori bianchi e blu rammendato in più punti, un paio di calzettoni fatti ai ferri in gioventù, con tante maglie tirate che aprivano lungo i polpacci smagliature che sembravano ferite e ai piedi un paio di ciabatte di plastica, imbottite di spugna sulla parte superiore.
Alle sei e mezza puntualmente la donna usciva dalla porta di casa e si fermava all’inizio del ballatoio. Con gesti precisi sfilava il golfino, slacciava il grembiule e lo toglieva di dosso, faceva scivolare a terra la nera sottoveste di nailon e poi tirava sopra il capo la maglietta da sotto, grigiastra e piena di rattoppi finché riusciva a levarla, quindi arrotolava le mutande di cotone pesante fino a rimuoverle completamente dalle gambe, infine toglieva ciabatte e calzettoni.
Con ordine ammonticchiava gli indumenti ripiegati uno sopra l’altro, quindi si metteva a camminare nuda avanti e indietro per il lungo corridoio, dapprima esitante e poi con sicurezza sempre maggiore.
Nell’ incedere il capo acquisiva una postura sempre più eretta, le spalle curve si allargavano, le braccia penzolanti assumevano movimenti sempre più armoniosi, le pieghe del ventre liberavano una femminilità pressoché sconosciuta, le gambette si facevano più sicure, il passo sempre più veloce.
Paradossalmente quella creatura quasi informe, nella sua completa nudità si trasformava in un’altra persona, con una dignità che nell’incedere esprimeva persino tratti di grazia.
Nei primi anni trascorsi in quella casa, i vicini non avevano notato nessuna stranezza nei comportamenti della donna. Avevano udito qualche litigio di sera, quando il marito tornava dal lavoro, ma era una situazione comune a quasi tutte le famiglie. Si mormorava che lui bevesse più del normale e al ritorno dal lavoro facesse tappa in troppe osterie. Forse per questo fra i brontolii dai toni accesi si erano sentiti a volte dei colpi battuti dai pugni sul tavolo e i singhiozzi soffocati di lei nel silenzio della notte.
Poi, crescendo il ragazzo, da quelle pareti non si era più sentito alcun rumore. Un mattino però era avvenuto il fatto strano: la donna uscita dalla porta si era spogliata completamente e tutta nuda e scalza aveva percorso più e più volte il lungo corridoio di legno tra le case.
Dapprima l’episodio aveva suscitato l’ilarità dei pochi inquilini già alzati e per alcuni giorni tutti erano diventati mattinieri per osservare da dietro i vetri l’esibizione della bizzarra vicina. Qualcuno nel vederla passare si era ripetutamente percosso la fronte per comunicare agli altri che la donna aveva cominciato a dare segni di follia. Ma un po’ alla volta nessuno aveva fatto più caso a lei che ogni giorno esibiva il suo povero corpo spogliato, anzi l’abitudine aveva finito per rendere normale la malinconica scena e la vita delle case era ripiombata nella calma totale.
Un mattino d’autunno una folata di vento di tramontana penetrò nel lungo passaggio tra le case portando mulinelli di foglie gialle.
Poi si fece largo un uomo nella sua lugubre divisa portando una fredda sensazione di morte. E fu proprio all’ultima porta che si diresse per comunicare alla donna, rimasta immobile come una pietra davanti all’uscio, la morte del marito per un incidente avvenuto nel cantiere di lavoro.
Per alcuni giorni dopo il mesto funerale l’ultima porta rimase ermeticamente chiusa e le finestre sbarrate.
Una mattina però le imposte, come per miracolo, furono spalancate agli ultimi smarriti raggi di sole e dopo anni, riscaldata da quella tenue luce che per la prima volta riusciva a penetrare nella sua dimora, la donna aprì il piccolo armadio.
Da una gruccia di legno penzolava il vestito bello, di seta verde, che le aveva confezionato la sarta in occasione della cresima del figlio.
Lo indossò con riguardo e, quasi vergognosa, si accorse con una sorta di piacere che le stava ancora bene.
Sopra infilò un soprabito nero dopo aver tolto accuratamente i residui di naftalina dalle tasche.
Appuntò sul colletto una piccola spilla d’oro, unica eredità di valore della sua povera madre.
Poi con emozione crescente aprì lo sportello del comodino e ritrovò le scarpe col tacco imbottite di carta di giornale per mantenerne intatta la forma nel corso degli anni. Le indossò sopra un paio di calze velate dimenticate da sempre nel cassetto.
Provò a camminare su e giù per la stanza per accomodare la posizione di precarietà di quella rinnovata versione di sé che sembrava non appartenerle.
Ma avvertiva pian piano che una donna nuova prendeva posto nel suo corpo, una donna che non aveva più bisogno di spogliarsi di paure, di miserie, di soprusi, di grigiori.
Dal cassetto del comodino raccolse una manciata di monete per il biglietto del tram e richiuse la porta di casa dietro alle spalle.
Avanzava adagio sul corridoio seguendo in modo armonico il ritmo impresso dai tacchi sull’impiantito, davanti allo sguardo stupito dei pochi vicini.
Si diresse quindi alla vicina fermata del tram accarezzata dai tiepidi raggi dell’ultimo sole. Mentre camminava sentì che uno strano sentimento di timore misto a stupore si stava impadronendo di lei. Allora provò il desiderio incontenibile di conoscere il mondo oltre le grigie case parallele, oltre il suo povero mondo di periferia.