Premio Racconti nella Rete 2014 “Il segno del destino” di Guido de Eccher
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014Uscito dall’ambulatorio, fu abbagliato dalla luce forte del mattino d’estate. S’incamminò lungo il marciapiede sconnesso senza accorgersi di aver preso la direzione sbagliata e proseguì, perso nei suoi pensieri, finché giunse all’angolo con un largo viale. Solo allora si accorse del suo errore e si lasciò sfuggire un gesto di sconforto. Non aveva voglia di tornare subito alla macchina, che aveva lasciato nel parcheggio di un supermercato. Il caldo insopportabile, la luce accecante, la spossatezza che lo pervadeva, lo indussero a cercare un posto dove fermarsi un momento. Vide parecchie persone sedute davanti a un bar, sotto un pergolato, dall’altra parte del viale. Lo attraversò, raggiunse un tavolino libero, si buttò pesantemente su una sedia e si asciugò il sudore con il fazzoletto.
Estrasse dalla tasca della giacca la busta con il referto e lesse per l’ennesima volta l’esito delle analisi: carcinoma della vescica. Rimise la busta in tasca, prese il pacchetto di sigarette e ne sfilò una. Si volse verso la vetrata del bar per riparare la fiamma dell’accendino e vide il proprio viso riflesso. Non trovò nulla di familiare e di rassicurante nella propria immagine: un viso magro e sottile ma indecifrabile come quello di un estraneo, incorniciato da una corta barba grigia, sovrastato da una chioma ancora scura.
Mentre il cameriere gli chiedeva che cosa volesse ordinare, sentì una tremante voce di donna pronunciare il suo nome.
“Aldo!”
Si volse di scatto. C’era una donna, seduta al tavolino accanto al suo, che lo guardava con grandi occhi spalancati. Quando era entrato nell’ombra protettiva del bar, non aveva fatto caso alle altre persone.
Era suppergiù della sua età. Sulle prime non la riconobbe. La forma del viso, i capelli bruno chiaro e gli occhi castani, chiari anch’essi, gli ricordavano qualcuno che gli era familiare. Furono gli occhi e quel modo di spalancarli a riportargli alla memoria cose vecchie di dieci anni.
“Camilla!” esclamò. “Che ci fai qui? Non eri in America con…”
S’interruppe. Non aveva mai voluto, con lei, durante la loro relazione, neppure nominare suo marito.
“Sono tornata da due anni. Maurizio è mancato tre anni fa”.
“Mi dispiace” mormorò.
“Sei bugiardo! Non te ne importa niente!”
Non ribatté: dieci anni lo separavano da quella storia.
“Come stai?” gli chiese lei.
“Così così” rispose.
“Hai il viso stanco, ma sei sempre tu”.
“Anche tu sei la stessa”.
“Però hai fatto fatica a riconoscermi. Ti ho osservato mentre leggevi quella cosa. Dapprima ho esitato a parlarti ma poi mi sono decisa”.
“Così non mi trovi troppo cambiato. È vero, ci sono cose che non cambiano e altre, invece…”
“Che cosa è cambiato, per te?”
“Tante cose. Mi sono separato qualche anno fa e poi la salute non è quella dei bei tempi”.
“Non sarà per via di quel foglio? Mi sembrava un referto medico…”
“Non vorrei parlarne” mormorò.
“Con chi ne parlerai?” chiese Camilla.
Anche allora gli era difficile nasconderle qualcosa. Non le rispose. Non voleva confessarle di non avere un amico vero o un parente con cui confidarsi. Nessuno cui telefonare per dirgli: “Ho un cancro, è in fase avanzata. Mi restano pochi mesi di vita”.
“È una cosa grave?” chiese ancora Camilla con circospezione.
“Un po’”.
“Un po’ quanto?”
Sorseggiò la bibita fresca senza rispondere. Che strano incontrare Camilla proprio quella mattina! Due anni da che era tornata e non si erano mai incrociati, in una città così piccola.
“È un segno del destino” disse Camilla.
“Che cosa?” le chiese lui, ma sapeva quello che voleva dire. Anche allora aveva uscite come quella.
“Incontrarci proprio oggi. Non credi?”
Camilla si alzò e venne a sedersi al suo tavolino, di fronte a lui. Allungò il braccio e posò la mano sulla sua. Gli parve di essere trasportato indietro, suo malgrado, verso qualcosa che aveva voluto dimenticare, quando s’incontravano di nascosto in qualche bar.
Camilla si sporse verso di lui.
“Quando mi hai lasciato” gli disse con un’espressione accorata “ho sofferto come non puoi nemmeno immaginare. Ci ho messo anni per ritrovare un po’ di pace. Ma per te, com’è stato?”
“Per me? Mi sei mancata. Poi ho cercato di toglierti dalla mente”.
“Ci sei riuscito?” gli chiese Camilla.
Lui non rispose e si limitò a scuotere la testa, come se non trovasse le parole. Lei lo guardò e poi gli chiese ancora: “Ti rendi conto di quello che mi hai fatto, quando hai deciso di non vedermi più?”
“Non ero capace di vivere quella situazione” mormorò lui.
“Potevamo cambiarla, la situazione, ma non ci hai nemmeno provato, hai preferito amputare un pezzo di vita”.
“Ancora a questo punto?” chiese Aldo con voce stanca. “Dopo tutti questi anni? E tu, perché te ne sei andata via? Non volevi farla finita anche tu?”
“Mettiti nei miei panni! Maurizio aveva un’occasione di lavoro che non poteva perdere ed io ho pensato che andare lontano mi avrebbe aiutato a dimenticare”.
“Non mi pare che tu ci sia riuscita”.
“No, infatti. Avevo sempre davanti la tua faccia dura e le tue parole crudeli, quando mi dicesti che non volevi più vedermi. È stato quello che mi ha fatto più male”.
“Perdonami…” disse lui, senza forze.
Camilla alzò le spalle, come per dire che, ormai, non c’era più nulla da perdonare.
“Ora dimmi di te, di quell’analisi”.
Lui non disse nulla, di nuovo tirò fuori la busta. Esitò e poi le porse il foglio ripiegato. Camilla lo lesse e poi glielo restituì.
“Che disastro” disse e si asciugò una lacrima con un fazzolettino.
“Le nostre vite distrutte, e abbiamo solo cinquant’anni!”
Lui la guardò. Rimise in tasca il foglio e fece un cenno al cameriere.
Camilla si alzò.
“Ti accompagno a casa. Abiti sempre là?”
“Sempre” disse lui alzandosi a sua volta “ma non disturbarti. Ho la macchina qui vicino”.
Le fece un cenno di saluto con la mano e si allontanò in fretta nella luce violenta di quel giorno d’estate. Lei lo seguì con lo sguardo mentre attraversava la strada.
Scritto bene si sente il dolore del cancro che neanche un incontro che poteva sollevarlo ci riesce.
Il racconto non dà soluzioni, ma un incontro fortuito può simboleggiare un addio alla vita attraverso un lontano vissuto. Molto triste, ma realistico.
Angela
Il passato che ritorna… ma in questo caso non reca salvezza. Racconto ben scritto, apprezzabile proprio per il suo crudo realismo.
Due persone si ritrovano dopo che le loro strade si erano separate. I loro momenti d’insieme, di convivenza non bastano a ricostruire il legame perché prevale il ricordo dell’abbandono e la paura della sofferenza fisica. Sono questi i tempi caratterizzati dalla fragilità degli affetti e dalle malattie terminali che condizionano l’esistenza. Tu lasci il fanale aperto che, credo si possa riassumere così: ciascuno può scegliere tra l’incedere inesorabile della vita o fatalismo e la partecipazione alla vita dell’altro. Destino inesorabile.
Emanuele.
Si sente il conflitto tra tante cose, e questa mi pare sia la cosa più lodevole del lavoro. Sicuramente è crudo ma mi piace pensare che non sarà il loro utlimo incontro… Potrebbe esserci una seconda puntata.. Grazie
Scrittura asciutta, quasi minimalista, però efficace nel veicolare sensazioni di alta intensità drammatica. Racconto crudo che tratteggia in poche righe due vite giunte all’epilogo. E non c’è alcuna apertura alla speranza di rinnovare un’antico amore: troppo tempo è passato, troppo ingombrabte la presenza della malattia.
l’aspetto migliore del racconto è il “non detto” e “il non scritto” che lascia chiaramente intravedere sia la possibile trama di due vite che si sono incrociate un tempo sia le emozioni attuali con l’avvento della malattia. C’e un intero mondo dietro a questo breve racconto, un mondo passato con due attori sfumati dal tempo e dalla malattia ma ciononostante ben delineati.