Racconti nella Rete 2009 “Benny il cuscino parlante” di Antonella Mei (sezione racconti per bambini)
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009Gaia non era certo una bambina tranquilla, a dispetto del suo visetto angelico, che due grandi occhi azzurri illuminavano di una luce come magica. Quasi ipnotizzavano chi si fermava, incantato, a guardarla, distogliendo così l’attenzione da quelle sue manine sempre appiccicose e sporche di cioccolata, come dalle sue scarpe spesso slacciate o dai vestiti sfiziosi che indossava, segnati, ahimè, da catastrofiche macchie di gelato o di sugo. Alla fine, però, le si perdonava tutto; la sua dolcezza disarmante e le sue simpatiche improvvise risatine cancellavano ogni guaio commesso. E ne combinava Gaia di guai… Non c’era angolo di casa dove non si avvertisse il suo passaggio. Calzini colorati pendevano dai cassetti lasciati aperti, diventando facile preda di Leonardo, il suo splendido gattone tigrato. Peluche e giochi venivano seminati ovunque: per terra, sui divani, sotto i tavoli, in balcone. Era possibile trovarne fin dentro il forno della cucina.
“Prima o poi, Gaia, farò arrosto il tuo orsetto preferito!”, urlava sempre la signora Polli quando trovava qualche giocattolo mentre cucinava.
Dopo il gatto, la signora Polli era, per Gaia, il principale bersaglio dei suoi scherzi. Proprio non la sopportava. Era, la signora Polli, un’arzilla vecchietta, che i genitori di Gaia avevano assunto come governante. Benché non avesse granché pazienza con i bambini, era tuttavia affidabilissima. Gaia brontolava sempre quando qualche volta la sera doveva rimanere sola con lei: “Con la signora Polli non ci voglio più stare. Di divertente ha solo il cognome. Per il resto è antipatica e bisbetica. Ed è pure brutta”.
Non aveva torto, eppure la signora Polli era una garanzia. Inoltre i suoi genitori pensavano che quello della figlia fosse solo un capriccio, perché non voleva che loro uscissero. Be’, in effetti, a Gaia dispiaceva dover andare a letto senza la mamma che, rimboccandole le coperte, le leggeva o le raccontava qualche favola, benché la compagnia del gatto e della governante, grazie alla sua fantasia, finissero per essere sempre un’occasione di divertimento. Soprattutto da quando aveva scoperto la paura della signora Polli per gli insetti, si impegnava a trovare un posto sempre diverso da cui far spuntare i suoi meravigliosi ragni di plastica. Vederli penzolare di qua e di là scatenava nell’anziana signora una sensazione di vero e proprio terrore, anche se per Gaia era pericoloso arrampicarsi sui tavoli e sulle sedie per collocare i suoi “strumenti di tortura”.
Ma una fredda sera d’inverno, proprio una di quelle sere in cui i genitori erano soliti uscire, a Gaia capitò di non avere proprio voglia di fare scherzi di nessun genere. Sua mamma, prima di andare via, la strinse forte a sé, la baciò e le accarezzò dolcemente la testa.
“Allora, piccola peste, promettimi che questa volta sarai buona. Noi torneremo presto. Mi raccomando metti via quegli orribili ragni e lascia in pace anche quel povero gatto”.
Proprio il gatto era stato vittima, ahimè, di uno dei suoi scherzi peggiori. Un giorno, dopo aver aspettato che la governante andasse a dormire, Gaia si era alzata dal letto e aveva chiuso il gatto dentro il vecchio pianoforte a coda che avevano in soggiorno. Leonardo aveva così iniziato a passeggiare sui tasti, componendo, a suo piacere, gli accordi più sgraziati che nel pieno della notte finirono per svegliare l’anziana signora. Gaia assistette, ben nascosta dietro a un divano, alla scena spassosa dell’apertura del pianoforte da parte della signora Polli che, in preda alle ipotesi più terrificanti, si era finalmente decisa a scoprire la causa di tanto baccano. Per questo autentico disastro i genitori la tennero in punizione per un paio di giorni.
Ma non fu certo per paura di qualche castigo che, quella sera, Gaia non progettò nessun dispetto. Si sentiva solo un po’ triste. Dopo una gustosissima cena, iniziò i soliti preparativi per andare a dormire, aiutata dalla signora Polli che l’incalzava ogni due minuti: “Ti sei lavata i denti? E la cartella? È pronta la cartella per domani?”. Gaia sbuffava passando dalla sua camera al bagno, mentre andava sfumando la speranza di vedere, anche solo per pochi minuti, un po’ dei suoi cartoni animati preferiti.
“Li vedremo domani, vero?”, si rivolse al suo gatto sbadigliando.
“Guarda che Leonardo dorme di là in cucina, intesi?”, le ordinò l’anziana signora. “Come si fa poi a chiamare un gatto Leonardo? Leonardo non è un nome da gatto”.
Leonardo, è vero, non era certo un nome da gatto. Si chiamava così un cugino di Gaia che lei adorava. Per questo non aveva esitato un istante a dargli quel nome.
“Con quel suo ridicolo cognome dovrebbe starsi proprio zitta. Se avevo un fratellino alleato, mio caro Leo, a quest’ora la signora Polli era fritta!”. Gaia continuava a perdere tempo con il gatto sussurrandogli all’orecchio tutto quello che le veniva in mente. Voleva ritardare il momento di andare a letto e lui, ben contento di prendersi tutte quelle coccole, si strusciava allegramente sui polpacci della sua padroncina.
“Che orrore! Adesso ti porterai a letto tutti i peli del gatto!”, esclamò disgustata la signora Polli.
Gaia non reagì e, stufa di essere osservata, diede la buonanotte a Leonardo e poi la salutò freddamente.
“Vado a dormire”.
“Bene Gaia, sei diventata proprio brava. Ricordati, però, di chiudere la porta della camera”.
“Perché?”
“Il gatto…”
“Ah, già, il gatto”. Gaia si allontanò trascinando i piedi con indolenza e si rinchiuse tra le pareti di quel piccolo mondo straordinario che era la sua stanza.
“Brrrrr….”, esclamò non appena si ritrovò sotto le coperte. “Fa veramente freddo!”. Poi, prima di prendere dal comodino uno dei suoi libri, diede un’occhiata in giro. Di notte ogni cosa le sembrava diversa. Forse era la luce del suo lume a forma di coniglio a rendere tutto più strano. O, più semplicemente, era lei che vedeva in un altro modo gli oggetti che la circondavano e che gettavano magiche ombre sulle pareti. ‘Stasera non leggo’, si disse. E, abbracciato il suo peluche preferito, si affrettò a spegnere la luce. Ma faticava ad addormentarsi e continuava a girarsi di qua e di là senza trovare pace. Dopo essersela presa con la coperta gettandola ai piedi, si mise in ginocchio e cominciò a sprimacciare il cuscino.
“Non mi puoi maltrattare così!”.
Gaia udì all’improvviso una voce squillante rompere il silenzio e le rispose:
“Io non maltratto proprio nessuno”. Poi realizzò che aveva risposto a qualcuno e si spaventò. “Chi c’è qui? Chiunque tu sia, io chiamo la signora Polli”.
“No, la signora Polli no, mi schiaffeggia spesso”.
“Ehi, insomma, ma chi è che parla?”
“Sono io”.
“Io chi? Non vedo nessuno. Ho capito… Sei un fantasma… Io ho paura dei fantasmi, anche se so che non esistono”.
“Se non esistono, perché tanto spavento?”
“Tutti i bambini ne hanno il terrore”.
“Però amano le storie di fantasmi”.
“Io no. Allora? Che razza di alieno sei? Guarda che ti trafiggo con la mia spada, o ti lego con lo spago, oppure posso distruggerti con il mio raggio fotonico e…”
“Aspetta aspetta. Che caratterino… Inoltre mi risulta che le bambine di solito giochino con le bambole non con le spade. Comunque mi dispiace deluderti, ma sono solo un innocuo cuscino, per l’esattezza il tuo cuscino”.
“Un cuscino che parla? Aiutooo!!!!”, urlò Gaia disperata. Poi, cercando di mantenere la calma, aggiunse: “Per quanto mi riguarda, devi sapere che io ho sempre giocato anche con i soldatini e possiedo una spada proprio come la principessa Zaffiro”. E prese decisa il cuscino alle estremità come a tenerlo fermo. In quel preciso istante fece irruzione nella stanza la signora Polli, che era accorsa per vedere che cosa stava accadendo.
“Che diamine succede? Hai avuto un incubo?”, esclamò preoccupata.
“Sì, forse ho fatto un brutto sogno”. E lasciò che la signora Polli le sistemasse il letto.
“Adesso vai sotto le coperte e cerca di dormire”.
In realtà Gaia aveva paura da morire a mettere la testa giù, ma si fece coraggio e lentamente poggiò l’orecchio sulla fredda federa. Poi, non appena la signora Polli andò via, si alzò di scatto e, stupita del silenzio, disse rivolta al cuscino:
“Be’, perché non parli più?”
“Non voglio metterti paura”.
“Tanto me l’hai già messa”.
“Esagerata! Non sono certo io a spaventarti. Tu hai solo fifa a stare da sola”.
“Come pretendi di conoscere le mie paure?”. Gaia si era messa in piedi sul letto, per controllare meglio la situazione.
“Ogni sera, da anni, raccolgo i tuoi pensieri. So tutto di te”, le rispose il cuscino.
“Proprio tutto? Anche i pensieri cattivi?”
“Soprattutto quelli”.
“Be’, qualche volta… Quando la signora Polli mi fa arrabbiare… La odio!”
“Che parolona! Ma in fondo hai ragione, ti mancano i tuoi genitori, non è vero?”.
Gaia non rispose.
“Per distrarti un po’, se vuoi, ti canto una canzone. Poggia la testa su di me e in un attimo ti addormenterai”. La voce del cuscino si era addolcita.
“No, aspetta. Ancora non mi fido di te. Voglio capire un po’ di cose, anche se… mi sembri buono. Sei un alieno o no? E da quale pianeta vieni?”
“Sono solo il tuo cuscino e non ti ho mai fatto del male. Sei tu, piuttosto, che ogni tanto mi maltratti”.
“Perché, però, fino ad ora non mi hai mai parlato?”
“Ti parlavo, ma tu non mi sentivi”.
“Guarda che io ci sento benissimo!”.
Il cuscino scoppiò a ridere.
“Che fai mi prendi in giro?”, disse indispettita Gaia.
“Ma no… È che oggi è stato diverso perché eri triste e, quindi, hai iniziato a pensare molto. E quando elabori le tue idee è come se mi chiamassi”.
“Ma è bellissimo! Quindi potremo parlarci sempre?”
“Be’, sempre… Quando ne avrò voglia”. E chiuse la frase con uno sbadiglio.
“Sai che sei proprio antipatico? Prima dici di volermi aiutare…”
“Sì che voglio aiutarti. Ma vedi… pure tu non puoi fare tanto tardi la sera. E io, devi sapere, ho spesso sonno”. Di nuovo un lungo sbadiglio risuonò per la stanza.
“Così rischi di svegliare la signora Polli, fai piano!”, lo sgridò Gaia. Poi continuò a incalzarlo di domande. “E le storie… le sai raccontare?”
“Diciamo che me la cavo abbastanza bene. Tra l’altro, quando vorrai intensamente ricordare qualche episodio di quando eri piccola, potrai guardare dentro di me, come fossi un grande schermo, e ti appariranno immagini del tuo passato”.
“Fantastico! Sei una specie di televisione!”
“Una televisione particolare. Ricordati, però, che anche ogni angolo di cielo e di verde può essere un grande schermo che ti aiuta ad andare lontano con la fantasia”.
“Dici delle cose un po’ strane, ma mi piaci”.
“Ora, però, inizia ad essere tardi, poggia la testa su di me”.
“Hai per caso in mente uno scherzetto?”
“Non sei tu la maestra in questo campo? Dovrei essere io ad aver paura di te”.
“E non farai del male neanche a Leonardo, vero?”
“Mi piacciono gli animali, anzi, fosse per me, gli farei pure sentire quanto sono morbido. Adesso pensa a dormire”.
“Aspetta… un’ultima domanda…”. Gaia si era sdraiata di lato e, poggiata su di un gomito, lo guardava incuriosita. “Sei per caso un cuscino volante?”
“Volante?”
“Be’, come esistono nelle favole i tappeti volanti, pensavo che…”
“Che sapessi volare?”
“Eh…”
“No, sei delusa? Ripensa a quello che ti ho detto”.
“D’accordo”. Gaia cominciava ad essere veramente stanca e, tra uno sbadiglio e l’altro, poggiò finalmente la testa sul cuscino, infilando sotto le mani, per cercare di prendere sonno più facilmente.
“No, così noooo!!!! Mi fai il solletico!”, esclamò il cuscino.
Divertita, Gaia continuò a far scorrere le mani di qua e di là, ridendo a crepapelle insieme a lui, che continuava a intimarle di smetterla. Le sue risate erano così fragorose che costrinsero la signora Polli a fare nuovamente irruzione nella stanza.
“Che cos’hai stasera, Gaia? Prima urli per la paura, adesso sembri una pazzerella”.
“È che questa volta era… un sogno allegro”.
“Un sogno allegro, eh? Vedi di fare silenzio, altrimenti sarò costretta a chiamare i tuoi genitori”.
“Va bene”, disse seria Gaia, anche se le veniva ancora da ridere e, per non far vedere i suoi sorrisi, aveva fatto finta di soffiarsi il naso. La signora Polli andò via sbattendo la porta. Ma Leonardo fece comunque in tempo a intrufolarsi nella camera della sua padroncina e, soddisfatto anche lui di avere ingannato la governante, si acciambellò ai piedi di Gaia.
“Che bello! C’è pure Leonardo!”, esultò Gaia, affrettandosi ad accarezzarlo.
“Be’, ora che ci siamo tutti, possiamo andare a dormire?”, brontolò il cuscino.
“Parli come un ubriaco”.
“È perché sono stanco”.
“Ho sonno anch’io ma, prima di addormentarmi, voglio sapere come ti chiami”.
“Non mi chiamo”.
“Cioè???”
“Non ho un nome”.
“Allora te ne trovo uno io”. Si fermò un attimo a pensare e poi esclamò: “Ti chiamerai Benny. Ti piace Benny?”
“Non è proprio un nome da cuscino, ma… se va bene a te…”. E fece un profondo sospiro.
“Sì, mi piace e…”. Gaia non fece in tempo a concludere la frase che crollò dalla stanchezza, mentre una soave musica cominciava ad avvolgerla. Il cuscino, soddisfatto della sua buona opera, aveva accolto dolcemente la bambina tra le note che andava componendo. Poi, cullandola, entrò insieme a lei nel mondo dei sogni.