Premio Racconti nella Rete 2013 “S·botto·nato” di Antonella Sciarra
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013– S · botto · Nato –
Bentrovati, mi presento, sono Tony Botto e sono un bottone.
Insoddisfatto e disoccupato aggiungerei, almeno fino a ieri.
Questa piaga del precariato e dei lavori frustranti ha colpito anche noi bottoni: stages inutili dentro mercerie polverose a fare le fotocopie dei merletti. Come se un bottone avesse qualcosa a che fare coi pizzi..bah. Al massimo con quelli che ci estorcono le cerniere lampo, quelle prepotenti presuntuose. Si credono così nobili che hanno dimenticato le loro umili origini.
Non è un caso, infatti, che funzionino dal basso verso l’alto.
Ma non divaghiamo.
Data la situazione decisi di darmi da fare, cominciando a tentare dei colloqui.
Avevo il terrore di diventare l’anonimo bottone di un pantalone qualunque.
Il primo incontro era per la mansione di bottone a pressione.
L’idea non mi dispiaceva, e poi il nome “plick” m’era sempre suonato bene.
Mi ricordava la sinfonia della pioggia sui vetri.
Per di più sarei stato pratico, maneggevole, moderno.
Ma l’apprendistato s’è rivelato un disastro: ho scoperto di essere claustrofobico.
Era un continuo sentirsi costretto in un ingresso così ridotto, ed inoltre il vuoto d’aria che dovevo provocare per chiudermi rischiava di provocarmi costantemente un embolo, mon dieu!
Anche per far felici i miei, che mi hanno sempre voluto “bottone prestigioso”, ho provato come primo bottone in alto della camicia. Quel bottone che i più lasciano slacciato e che i professionisti nascondono dietro il nodo della cravatta.
Ero orgoglioso nelle mie vesti di primo bottone della camicia di un imputato penale, in tribunale, alto e sicuro mentre solleticavo il punto più fiero del corpo: il mento.
Ma il primo bottone è un bottone omertoso: non deve mai dire agli altri che cosa accade dietro sé.
Non avevo potuto comunicare a nessuno che nell’istante prima la sentenza del giudice l’imputato aveva avuto la consapevolezza, per un frangente impercettibile, di passare i successivi trent’anni ad attendere ogni giorno l’ora d’aria.
Così l’ho fatto. Ho celato la gola che tremava sul mio retro.
A quel punto non potevo che provare con l’opposto: volevo diventare il bottone della manica di un grembiule. Bianco su stoffa blu, aderente al polso esile, al piccolo palmo, alle dita minute che si macchiano d’inchiostro e tempera. Volevo essere il complice testimone di bigliettini passati sotto il banco, delle merende rubate, della polvere di gesso della lavagna, del sudore dell’ora di ginnastica asciugato con il braccio sulla fronte.
Ma quando la maestra mise il mio piccolo padrone in punizione, facendogli togliere le scarpe davanti a tutta la classe, capii che anche quello era troppo per me.
Sono un emotivo, io.
Sentii il suo pugnetto che si stringeva per la vergogna e mi lasciai cadere.
Poi hanno provato a propormi un ingaggio come bottone d’ottone voluminoso di un’uniforme militare, posizionato esattamente all’altezza dell’atrio sinistro del cuore.
Mi ha fatto rinunciare il solo pensiero di trovarmi così, lucido, a riflettere l’immagine di un proiettile contromano.
E di primo acchito ho cestinato, sebbene allettante, anche l’offerta di far parte (insieme a una famiglia di tappi di bottiglia) di un’opera d’arte concettuale contemporanea; ho sempre avuto difficoltà a vendermi come qualcosa in più di ciò che sono.
Mi sono aggrappato, disilluso, al mio ultimo tentativo prima di gettare la spugna.
Stavolta nulla poteva andar storto: ero il supporto del gemello del testimone dello sposo.
Elegantissimo nella mia mìse nero ed argento, ero anche firmato.
Adagiato su cuciture rifinite mi crogiolavo tra il profumo d’orchidee e la presa di coscienza di essere uno status symbol. Mica male.
Poi il mio padrone, il testimone, entrò nel confessionale, cominciando a parlare con un tono cupo e segreto, e fissando gli sposi.
Non ho rivelato a nessuno ciò che avevo udito, e pensare che il fatidico “sì” era così prossimo … Mi sono guardato attorno.
Incensi, sciarpe candide e inginocchiatoi di legno.
Testimone di un’unione perenne senza possibilità di riserve.
Una delega in bianco.
Più o meno come il consenso elettorale.
Non ci avevo mai pensato: sposarsi è un po’ come andare a votare.
Tra questi pensieri ho fatto un salto nel piattino delle offerte, certo che il prete mi avrebbe accolto come un suo figliuolo. Anche se solitamente all’argento preferisce l’oro.
Fuggii dribblando le scarpe lucide e le gonne pudiche.
Rassegnato, svuotato, demotivato, mi ero proiettato nell’ incarico che con tutto il filo avrei voluto evitare.
Anonimo bottone di un pantalone qualunque.
Magari anche prima di un rapporto sessuale insapore.
Poi, senza preavviso, un’epifania.
Tutto il mio senso era lì, in quei pochi centimetri di distanze i n f i n i t e s i m a l i.
La mano giusta, attesa e inaspettata.
Le sue dita che mi spingevano alla deriva dalla mia asola.
Finalmente sbottonato.
Divertente e originale!
Non è facile dare voce a chi non ce l’ha: si rischia di dire stupidaggini o di farsi rinfacciare “ma chi te l’ha chiesto”. Non credo sia questo il caso. Mi piace. Brava.
P.S.: non uso superlativi per scelta: chi sono io per giudicare con un issimo/a?
Divertente, scorrevole e frizzante. Brava. Molto, molto carino!
Paola Cavallari (“In viaggio”)
Vi ringrazio.
Ed anche Tony (per farvi l’occhiolino sta tentando di strizzare uno dei suoi quattro fori).
E se le cose potessero parlare chissà quant’altro avrebbero da dire …..a tutti quanti nessuno escluso!
Diverso e di buon umore!
Auguri!
Originale e divertente, dalla scelta del nome al finale 🙂
W Tony Botto!
Grazie Emanuela, auguri anche a te!
Cinzia, mi fa piacere tu abbia colto il FILO conduttore 🙂
Giuseppe, Tony apprezza sempre un “viva” !