Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2013 “Occasione” di Sabrina Venditti

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013

Ero uscito, come tutti i giorni. Fiducioso e ignaro.

A volte penso sia proprio un bene non conoscere il futuro. Se l’avessi intuito, quel giorno di certo sarei rimasto a casa. Ma, a pensarci bene, sarebbe servito?

La sorte c’insegue. Di sicuro, la mia inseguiva me.

Sono sempre stato un uomo tranquillo. Sin da piccolo pensavo: si fa il proprio dovere, si fanno le cose per bene e ci si guadagna sempre.

Avevo un buon lavoro. In banca. Ben pagato.

Fare il pendolare non mi pesava. Mi alzavo presto e ne ero contento. Sono sempre stato convinto che “il mattino ha l’oro in bocca”.

Mia moglie mi preparava in una borsa tutto ciò che serviva per la giornata: la colazione, il pranzo, l’acqua, il caffè. Portavo persino lo spazzolino e il dentifricio.

Era tutto molto semplice. Salivo sul treno, sempre sulla stessa carrozza, di solito quella di coda dove c’è meno gente. Prendevo posto in un sedile di quelli singoli vicino al finestrino. Mai in quelli doppi, per evitare di dover fare conversazione. Si fosse seduto uno sconosciuto, poco male, si poteva dormire in pace; ma tra pendolari ci si conosce tutti. A volte sottrarsi alle chiacchiere è impossibile.

M’immergevo ogni giorno nella lettura di qualche pagina del Vangelo, oppure dei libretti liturgici presi nella cappella vicino alla stazione.

Dio esiste di certo. Ero un uomo fedele e religioso, sapevo che un giorno l’avrei incontrato. Ero una brava persona, non poteva che essere così.

Di solito, dopo la lettura, facevo un sonnellino lasciandomi cullare dal movimento silenzioso del treno. Giusto il tempo di raggiungere le porte della città.

Il  mio orologio interno non sbagliava mai. Quando aprivo gli occhi vedevo sempre le stesse case, la stessa stazione in transito. Era l’ora della colazione: ciambellone fatto in casa o fette biscottate con marmellata. Fatta in casa.

Mia moglie in queste cose era bravissima. Faceva un caffè speciale. Me lo metteva in un thermos. Grazie a lei, il mio braccio destro, tutto funzionava a meraviglia.

Mi piaceva pensare che avessimo la stessa visione della vita.

Il mio era un buon lavoro, un po’ ripetitivo forse, ma per me andava benissimo.

Di certo lo facevo bene. Provavo un vago senso di fastidio solo se, per caso, mi davano qualche extra quando mancava un collega. Avevo paura di sbagliare.

Pranzavo puntuale alle 13, sempre con i manicaretti preparati da mia moglie la sera prima.

Alle 17:30 ero sul treno di ritorno a casa.

Lo ammetto, ero un pantofolaio. Aspettavo la cena leggendo il giornale. Poi un po’ di tv e qualche parola stentata con i figli. Quanto sono complicati e strani i ragazzi d’oggi!

Andando a letto, con la mia tisana della sera e i due immancabili biscottini, passavo davanti alla loro camera, dalla quale sentivo provenire strani suoni e ancor più strani odori che mi facevano venire la pelle d’oca.

I miei ragazzi proprio non li capivo, ma entrare nel mio lettuccio caldo e accogliente mi riconciliava con il mondo.

Poi, quella mattina… Puff. Tutto fu spazzato via.

Avevo capito subito che qualcosa non andava. L’annuncio alla stazione era sempre lo stesso, ma il treno che arrivò era un altro, color viola scuro con sopra delle onde dorate e rosse che, a pensarci bene, somigliavano molto alle fiamme.

Ricordo che titubai non poco prima di salire a bordo. Appena lo feci e mi guardai intorno, decisi intimorito di tornare indietro, ma la porta si era già chiusa e davanti a me un capotreno in livrea viola con alamari rossi e dorati mi fece cenno di sedermi.

La carrozza era vuota, tutto mi sembrava davvero strano. Non c’era nessuno dei soliti compagni di viaggio.

Fui subito colpito da una musica assordante. Pensai di cambiare carrozza, ma le porte erano serrate.

Non avevo scelta, mi sedetti. Il fastidio diventava sempre più intenso.

All’improvviso una voce annunciò: “Benvenuti a bordo del treno ad alta velocità Freccia di Fuoco. Prego, allacciate le cinture di sicurezza e preparatevi a un viaggio elettrizzante!”

Il treno cominciò a correre a velocità sempre più sostenuta, supersonica direi.

Cominciai ad aver paura.

Che ben presto si fece puro terrore.

I capelli mi si drizzarono in testa, i peli sulle braccia e mi venne un improvviso bisogno di andare in bagno, ma non osai muovermi.

Sudavo freddo.

Mi girava la testa.

Mi sentivo schiacciato dall’accelerazione e pensavo che, da un momento all’altro, sarei impazzito.

Non so da dove, comparve una hostess con un thermos in mano, sorridendo come se fosse da sempre abituata a quella velocità.

“Un caffè, signore?”

Acconsentii e, mentre mi serviva, avrei giurato che sorridesse.

In effetti, a ripensarci bene, potete star certi che ghignava, e una luce un po’ selvaggia le brillava negli occhi.

Riuscii a staccare la mano dal bracciolo, portai la tazza alle labbra e mandai giù un sorso.

Il caffè era salato. Orrendo. Schifoso. Mi fece venire da vomitare.

Sono contenta che abbia gradito!

Non riesco a ricordare bene la successione degli eventi. So solo che entrammo in un tunnel senza fine e che mi sembrò di precipitare.

Dopo un tempo indefinito, mi accorsi che il convoglio rallentava per poi fermarsi del tutto.

Pensando di essere giunto a destinazione, feci un sospiro di sollievo.

Sarei sceso. Sarei andato al lavoro e avrei dimenticato quell’incubo.

Sicuramente le ferrovie stavano facendo qualche test su nuovi modelli di treni superveloci. Di certo non ci sarei più salito. Anzi… sarei andato subito a dirglielo, al servizio clienti, che non si può viaggiare in quelle condizioni.

E il loro caffè faceva veramente schifo!

Ad ogni modo pensai che ormai ero salvo.

Ma quella non era la mia stazione. Anzi, secondo me non poteva proprio esistere una stazione chiamata “Occasione”.

La voce nell’altoparlante disse: “Siamo al capolinea. Vi raccomandiamo di non dimenticare gli oggetti personali e di attendere l’apertura completa delle porte. Vi ringraziamo per aver scelto la nostra compagnia e vi auguriamo una buona giornata”.

Mi costrinsi a scendere mentre un certo timore tornava ad impossessarsi di me. Due personaggi, nella solita livrea, mi affiancarono. Stesso ghigno e stessi occhi invasati della hostess.

Quasi me la feci sotto dalla paura e svenni.

Quando tornai in me, ero seduto su una comoda poltrona. Con la mia mente annebbiata capii che non potevo muovere braccia né gambe.

Aprii gli occhi. Ero legato.

Vidi una stanza circolare con pareti composte da un collage di schermi, su cui scorrevano immagini di incendi, eruzioni vulcaniche e fucine fiammeggianti.

Il caldo era insopportabile.

“Ben tornato tra noi”.

Lo guardai. Era il gemello del capotreno. Stesso viso, stessa divisa. Ma aveva due piccole corna sulla fronte, la pelle molto più scura e una coda a punta di freccia. Non ci volevo credere, sembrava uno travestito da diavolo.

“Dove sono? Cosa ci faccio qui? E chi è lei?”

“Non aver paura. Mi chiamo Hormutz. Sei in buone mani. Inferno, girone degli ‘abitudinari’”.

“Inferno? Abitudinari?”

Dio mio, che incubo! Mi sarei svegliato, prima o poi. Oppure ero impazzito?

“Sei qui per capire. Sei un privilegiato”.

“Ma cosa devo capire? Io sono una brava persona. Semmai dovrei andare in Paradiso”.

“Oh certo. Non sei un malvagio o un assassino. Ma quelli come te Dio non lo vedono di certo. E’ qui che vengono. Sono convinti di conoscerlo, anche loro sono dei veri peccatori”.

“Io voglio ritornare a casa. Al mio lavoro. Voglio rivedere mia moglie e i miei figli”.

“Ah! Ma ti accontento subito. Ecco tua moglie, guarda!”

Su uno schermo apparve lei. Non era a casa come credevo, ma in un centro estetico: parrucchiere, depilazione, massaggi, trucco. Vidi casa mia e una sconosciuta, molto somigliante alla hostess del treno, che faceva le pulizie. Era molto procace e aveva due piccole corna sulla fronte. Poi vidi mia moglie con un uomo, nel letto di una stanza d’albergo. Ridevano e mangiavano insieme un grappolo d’uva.

Mi costrinsero a guardare una scena lunga e insostenibile.

Non ce la facevo più.

“Ma allora lei non è una brava donna. Non pensa a me, ai figli, alla casa. Credevo che andasse in chiesa tutti i giorni. Invece andrà all’inferno”.

“No. Lei non andrà all’inferno. E’ una donna che coltiva l’inquietudine, perciò meriterà il Purgatorio e, con un po’ di sforzo, in qualche centinaio d’anni riuscirà a vedere il Paradiso”.

Mi veniva da piangere. “Mi sento distrutto. Per favore rimandami dai miei figli” piagnucolai.

“Hai bisogno di una pausa. Il pranzo è servito”.

Entrò la cameriera ma non ve la sto a descrivere, avrete già capito chi era. Mi mise davanti un vassoio. Bevvi un sorso di caffè.

Era rivoltante.

“Mi fa piacere che gradisci!”

Anche il ciambellone era orribile, salato e amaro.

“Abbiamo i migliori cuochi, e il menù è personalizzato. Si prenderanno cura di te per tutto il tempo che sarai qui!”

Pensavo che non sarei sopravvissuto, ammesso che fossi ancora vivo.

Pensavo ai miei figli.

Cosa ne sarebbe stato di loro? Anche loro sarebbero finiti in Purgatorio? Il tizio mi lesse nel pensiero: “Beh, i tuoi figli puoi vederli da te…”

Sullo schermo apparvero altre immagini.

Erano in camera loro. Il caos regnava. Ma c’era anche qualcun altro. Il maggiore era seduto, sembrava stesse giocando a scacchi con un ragazzo strano, vestito con una lunga tunica bianca. Il più piccolo suonava la chitarra elettrica insieme a una ragazza dai lunghi capelli scarmigliati. Sia lei che l’altro ragazzo avevano una fascia intorno alla fronte che sembrava emanare una luce intensa.

“Vedi? Stanno bene. Sono insieme a due angeli. Se continuano così, andranno di certo in Paradiso. Dipende tutto da loro”.

“Paradiso? Ma come? Loro? Sono disordinati, disobbedienti, menefreghisti, musoni ed egoisti come tutti i ragazzi della loro età. E io, che sono sempre stato una brava persona, finisco all’inferno?”

“Vedrai, stando con noi per un po’, imparerai. La salvezza sta nell’incertezza”.

Eh già! Per fortuna sono qui a raccontarvela. Non è stato mica facile!

A Occasione ci restai a lungo.

Ero abbastanza duro di comprendonio. Radicato, convinto. Dovevo continuamente guardare su quegli schermi cose sconvolgenti che avrebbero potuto far perdere il senno a chiunque.

Ero costretto a mangiare panini amari e caffè salato.

Non saprei dire quanto durò, ma alla fine capii e tutto mi risultò chiaro.

Hormutz ha decretato che ero pronto e mi ha rimandato a casa. Così eccomi qui, di fronte a questa vita totalmente ignota.

La banca l’ho lasciata, con i soldi che avevo da parte sto facendo un viaggio. Con mia moglie.

Lei, non l’ho lasciata. L’ho capita. Adesso ci addormentiamo tutte le sere chiedendoci dove saremo domani e tutte le mattine ci svegliamo nuovi e con un luogo sempre diverso da scoprire.

Mio figlio grande sta diventando davvero forte negli scacchi e vuole cominciare a fare gare internazionali. In fondo sarà meglio che fare l’impiegato in banca come me.

Quello piccolo suona in una band, come si dice adesso – ai miei tempi si chiamavano complessi. Però ha voluto cominciare a studiare il violino e, due volte a settimana, passa il pomeriggio con i suoi amici “diversamente abili”, che a me sembrano davvero più svegli degli altri. Comincio a pensare che non diventerà un ingegnere come avrei voluto. Ma, a dirvela tutta, mi va bene lo stesso.

Una cosa l’ho capita. Il sole sorge ogni giorno su un mondo completamente diverso.

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2 commenti »

  1. Un bellissimo viaggio introspettivo nella coscienza: la discesa negli inferi, per esplorare con coraggio la zona d’ombra in cui si annidano i più oscuri segreti della psiche, conduce alla conquista della consapevolezza e alla riconciliazione con il proprio sé. Complimenti Sabrina per la qualità incantatrice ed evocativa della tua scrittura.
    Marzia Pasticcini (“Una cartolina per le stelle”).

  2. Molto originale questo racconto, apprezzo particolarmente la morale che vi è alla base.
    Trovo soprattutto che sia molto attuale: troppo spesso la società odierna, con la sua promessa di non pretendere niente di più di un “sano” rispetto delle regole in cambio di protezione e libertà, crea individui fragili, privi di intuizione critica e incapaci di rischiare. A tal proposito è interessante come sia proprio una creatura dalle fattezze diaboliche ad insegnare al protagonista il valore del libero arbitrio e l’umanizzazione (non l’esaltazione) del peccato.
    “La salvezza sta nell’incertezza” e “Il sole sorge ogni giorno su un mondo completamente diverso” sono di gran lunga le mie frasi preferite del racconto.
    Buona fortuna!

    Marta

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