Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2013 “Joe Solo” di Francesco Pandolfi Balbi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013

 Conosci la rabbia?
Sono sicuro che credi fermamente di sì.
Anche tu, forse, sei figlio della follia che nutre questa società, e la subisci giorno dopo giorno.
Eppure, ogni volta che mi rinchiudono qui, l’ira raggiunge apici che in qualsiasi altro istante mi sembrano impossibili.

Lo sai, vero… che la rabbia nasce dalla paura?

Dio mio… sono ancora qui.
Ogni volta… ogni santa volta, mi sorprendo di quanto resistente possa essere la mente. Lo shock genera la speranza che si tratti solo di un incubo, anche se mi colpisce sin quasi fisicamente e con atrocità sempre rinnovata.
Ma l’angoscia ha tutta la pazienza del mondo. Lentamente assume consistenza e diventa puro orrore, che inizia a colare giù dalla lingua verso lo stomaco in un viaggio senza fine.
Le lacrime, allora, tentano in tutti i modi di schizzare via dal corpo.
Dio, almeno loro si salvino!
La saliva diventa metallo elettrico, tanto è intrisa d’adrenalina… Quel gusto orribile che ormai conosco tanto bene.

Questa prigione è pulitissima.
Asettica, direi.
Quel giorno che, per un solo istante, loro hanno abbassato la guardia, ho visto ambienti che nulla hanno in comune con le prigioni che si vedono nei film.
C’è sempre una puzza dolciastra che sento solo qui. Credo si tratti di un disinfettante… O di un anestetico, anche se non so assolutamente quando e perché lo usino. Talvolta l’odore mi si condensa in gola creando un sapore sordo che m’impedisce di deglutire. Quando poi lentamente se ne va, mi lascia dentro, per giorni, un aroma molto simile a quello che potrebbe produrre la coccoina mischiata con olio d’oliva.
Anche l’illuminazione mi stordisce. Neon bluastri rendono tutto ancora più squallido di quello che è. Ma tanto, oltre i confini della mia prigione, vedo chiaramente molto di rado, come altrettanto di rado riesco a percepire qualche suono.
Di solito ho un’immagine deformata dell’ambiente che mi circonda. Come se, da qualche parte tra me e il resto del mondo, ci fosse una lastra di vetro spessa un pugno chiuso e, al di là, solo acqua.

Dio mio, sono di nuovo qui…
Adesso come faccio?
Devo continuare a parlare, parlare, bisbigliare, bisbigliare, parlare, parlare… anche se so bene che ad ascoltare c’è solo la parte migliore di me, quella che non s’agita mai e riesce a vivere tutto come se accadesse a qualcun altro.
Ma poi… bisbiglierò davvero?
A pensarci bene, la domanda è più che legittima. Mi sento isolato nell’ovatta, esattamente come quando di notte, dormendo, uscivo in astrale e rimanevo a fluttuare come un salame qua e là senza quasi vedere un accidente, senza poter fare un movimento, senza sapere se quel poco che riuscivo a osservare lo percepissi con gli occhi fisici oppure no.
Mi sentivo in balia dell’ignoto, un ignoto che ero certo fosse in agguato nel buio…
Buio sensoriale, buio senza fine. Interrotto a tratti da qualche barlume che metteva in risalto particolari sempre e comunque dannatamente incomprensibili.
Risolsi la questione dopo mille notti, durante le quali mi svegliavo paralizzato e in preda a una vibrazione terrificante, prima leggendo libri apparentemente dotti sull’argomento, poi fregandomene della loro inutilità, esplorando, cercando una soluzione sul campo e, infine, decidendo di smettere di tentare di capire e scegliendo, invece, quella che volevo fosse la mia realtà.
Funzionò.
Sono libero, ho semplicemente eliminato dalla mia vita ciò che non volevo ne facesse parte.
Ma questa qui è tutta un’altra storia… Qua dentro sono nulla, ho un valore ben inferiore a quello di una vacca da macello.
Ricordo l’infanzia, una dimensione totalmente controllata da mio padre. Non potevo nulla, ero schiacciato dalle regole e dalla sua illusione d’amore per me.
Per anni strinsi i denti recitando un mantra: ‘Un giorno sarò io a decidere della mia vita‘.
Se non ci fossi tu, mio caro me stesso, come potrei superare questi momenti atroci che sembrano ripetersi all’infinito?
Ogni volta che torno qui, mi sembra di non esserne mai uscito e, per dirla tutta, solo il cielo sa quante volte ho temuto che i miei ricordi del mondo fossero solo dei grandissimi bluff, inventati dalla mente al solo scopo di preservarsi dalla pazzia.
Eppure, inspiegabilmente, quando esco di qui i ricordi di questi momenti si fanno ben presto talmente foschi che ho seri dubbi a proposito della loro autenticità e, sia pur lentamente, riesco anche a ritrovare un minimo di pace.
Come quando ti risvegli da un incubo… Solo che non sai quale sia l’incubo e quale la vita reale.
Prima o poi, questi qua tornano a prendermi. E di nuovo tutto appare semplice, chiaro. Purtroppo, orrendamente vero.
Sai qual è la cosa che, stando rinchiuso qui dentro, mi manca di più? E’ lo sguardo dei miei figli, il sorriso che corre chiassoso e argentino sui loro lineamenti. Sono cose che non s’inventano con un ricordo.

Ecco le vibrazioni…

Dio mio… Di nuovo!
No!!!

Mi aggrappo alla loro immagine, al loro ricordo.
I volti si deformano. I pensieri fuggono.
Si sciolgono.
E io lentamente mi sollevo. Fuggo dalla gabbia di carne che avevo scelto per vivere in pace questa esistenza.
Cavi bluastri mi corrono incontro.
Mi attraversano.

Io fluttuo… Sono un maestro del fluttuare, ormai…
Fluttuo e osservo dall’alto le batterie di cilindri, gli altri disgraziati, le pareti di roccia…
… E quella specie di cosa di carne, che continua a girare le sue maledette manopole nel tentativo di estirparmi dal mio tempio.

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9 commenti »

  1. Non ho parole. Un linguaggio che mi fa entrare in una visuale affascinante ed un ”racconto” davvero bello ed interessante: esplora l’uomo nel suo piccolo, se così si può dire. Complimenti ed in bocca al lupo!

  2. Cavolo, stupenda angoscia dell’essere, del corpo, dei pensieri. Bellissimo…

  3. care Noemi e Valentina, grazie infinite per le bellissime parole!

  4. Molto bello e con un’ottima proprietà di linguaggio. Bravo!
    Paola Cavallari (“In viaggio”)

  5. Grazie Paola. Ti ho appena risposto nella pagina del tuo racconto.

  6. Un racconto suggestivo capace di rendere visibile l’invisibile: l’anima e il suo eterno viaggio tra due dimensioni diverse; l’anima che, nella sua fame di esperienze, spesso dimentica chi è e si sente prigioniera, identificandosi con la prigione/tempio che ella stessa ha scelto. Bellissimo! Queste sono le impressioni che mi ha lasciato la lettura. Bravo Francesco.
    Marzia Pasticcini (“Una cartolina per le stelle”)

  7. Cara Marzia,
    grazie molte per avermi reso partecipe delle tue impressioni e dei tuoi pensieri. Il racconto è piuttosto criptico, basato in gran parte sulle esperienze riportate da persone che affermano di essere state oggetto di incontri molto ravvicinati con civiltà extraterrestri (vd. i lavori di Corrado Malanga, del quale sono stato curatore ed editore).
    Loro so come la pensano… Sono invece molto interessato a conoscere quali sfumature questo breve racconto è capace di destare nei lettori più fortunati, quelli che, come me, attualmente sono liberi da simili problematiche.
    In bocca al lupo con il tuo racconto!

  8. Vivido, intenso, acceso. Scritto benissimo.
    Hai descritto l’interiorità, i pensieri, hai dato forma alle sensazioni.. Mi è piaciuto tantissimo.
    Complimenti!

    Ilenia

  9. Ilenia carissima,

    moltissime grazie per questa FANTASTICA iniezione di fiducia!
    Cosa non m’inventerei per farmi scrivere tutti i giorni da te… 😀

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