Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2013 “L’amore di Nina” di Vincenza Parisi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013

Era estate, ennesima estate, vacanze scolastiche, ritorno al paesello natio, “le sacre origini” come le chiamava, a volte,  Mamma, nostalgica.

Era agosto, tempo di esodo dalla città. E cosi, come sempre rieccoli là sulla grande autostrada del Sud. Quell’estate arrivammo prima, perché si era deciso di andare a metà luglio cosi da stare un po’ di più e assaporare i frutti generosi della terra, le albicocche, le pesche, anzi le “ percoche”,  come le chiamavano là.

Avevo imparato i nomi dei frutti in dialetto e mi divertito a sentirli e a volte anche a pronunciarli. Sentivo tutta la melanconia dell’infanzia  della Mamma affiorare in una parola. Sentivo un passato lontano affacciarsi sulla  finestra di casa, dove dormivamo, la vecchia casa di Nonna Maria ormai scomparsa da tempo.

Tuttavia era divertente, quasi una caccia al tesoro, dormire li, perché trovavo sempre oggetti misteriosi da decifrare. Il più delle volte, foto, soprammobili, lettere. Si apriva, come per magia, un enorme cassapanca, in legno, robusta, e dentro c’era di tutto. Sembrava un eterno bazar, persino camicie, vecchi gilet, lenzuola, poi a non finire e  foto, foto, foto…

Una volta trovai una foto di mamma quando era dalle suore.Rimasi stupita. Allora, si usava, mi aveva spesso raccontato, studiare dai preti, perché cosi costava meno o nulla. E cosi anche lei come lo zio Checco, era stata in seminario. Ma lei amava insegnare ai bambini. Ed era partita prima per la Calabria e poi per il Nord.Oggi era giovedì, e come ogni giovedì, si andava da zia Margherita, la mia zia preferita.Li trovavo i cugini e la sua casa-fattoria con gli animali. C’era persino un asino e una mucca, un cane, due o tre galline, papere…Era fantastico.Adoravo quel posto, quell’odore di fieno mescolato al sugo di pomodoro della passata che arrivava dal cortile  e poi forse si poteva salire su nel fienile e giocare, come l’ultima volta.

Mi sentivo quasi come Heidi, libera, spensierata, felice.

Mi abbracciò sempre con grande foga Zia e poi mi chiamò su mia cugina Nina, dal balcone, che stendeva i panni. Era più grande, la mia cugina maggiore, aveva ben cinque anni più di me ma a  sembrava molto più grande, forse di 7-8 anni in più. Aveva lo sguardo un po’ scavato, magra magra, esile quasi, non altissima, 1,58, forse 1,59, con i capelli  neri, come quelli di mia zia e gli occhi piccoli ma molto espressivi di color nocciola, enormi sopracciglia. Indossava sempre strane camicie enormi e gonne quasi anni 60 strette e lunghe, più di rado i  pantaloni perché suo padre, zio Piero, diceva che non stava bene che una ragazza indossasse jeans o cose simili.

Era un po’ fuori dal mondo, quel luogo. E nel retro della casa c’era un immenso giardino, con zone per gli animali da cortile e alberi, una specie di foresta vergine, diceva con gusto ridendo la zia…Ma quello che più mi piaceva era il cane Buck, come il libro di London che mi ricordava il mio cane Chicco. E poi  la cucina col camino.Aspettavo sempre che l’accendessero… E ogni volta, mi sembrava un immenso mistero rosso scintillante pieno di meravigliosi crepitii, mentre si mangiava la pasta, i mitici maccheroni al sugo, pieno di sugo, sugo fresco, ci teneva a sottolineare zia, e anche mia cugina, fatto con i pomodori della terra, non comprato come da voi al Nord E spesso a tavola eravamo non più cinque ma anche nove e dopo  con tutti i cugini a giocare a nascondino o insieme a  camminare lungo il vicolo.

A volte, prima di mezzodi,  si andava a prendere il pane.Sembrava quasi un rito. Si usciva di casa, e ci si addentrava per vicoletti come in una sorta di labirinto. Ci si ritrovava puntualmente davanti a una casa con cortile e portone di acciao. Si apriva, ad un tratto, dopo aver bussato, col vecchio toccaporta, come con un segnale speciale e si attendeva. Dopo qualche minuto, che sembrava eterno, appariva qualcuno. Ed ecco che li nel retrobottega della casa, c’erano ceste piene di pane, pane casereccio, enormi pagnotte da un kg o anche due o tre, dalla crosta scura e dalla mollica infinita. Era un momento catartico quasi quello di inzuppare il pane nella scodella col sugo o magari la mattina nel latte per la zuppa. Ma ancora più divertente e quasi una gita era il venerdi al mercato.Si scivolava lungo stradine, a me ignote, anche se già viste, come lungo filari di vigneti di rosso e di bianco, con le bancarelle scintillanti al sole, le urla dei venditori, gli sguardi perplessi di Nina e sua sorella, inseparabile, Cetta. Cetta, ci portava a volte in auto. Era un vero e proprio viaggio quel tragitto sulla sua 126 verde bottiglia. Non sarei voluta più rientrare.

Salì su in camera e la trovai piena di colori, come sempre. Avevano appena tinteggiato ma solo per metà, sembrava un atelier da pittore o la stanza di uno studente scapestrato… come diceva a volte mio zio.. Ma Nina  sorrideva con leggero rammarico misto a pudore. “Dobbiamo finirla… aspettiamo i soldi della prossima raccolta…”Un altro enorme mistero. Non sapevo nulla di agricoltura, di raccolte, di semine, ec. Ecc.. tutto sembrava un affare fantastico al limite del proibito….

Ma mi piaceva ascoltarla, la sua cadenza, il suo tono lento, a tratti squillante, quando rimbrottava un fratello più piccolo. Con lei mi sentivo bene, al sicuro. C’era la parete verde e gialla,  i poster dei cantanti e attori famosi, la libreria con quaderni e pochi libri ma sempre curiosa con i suoi oggettini, il  grande armadio nero con cassetti enormi, stile liberty che  si apriva come uno scrigno segreto. E Quasi sempre erano piccoli gioielli in oro o argento o ricordi di viaggio.

Ma quello che più mi aveva colpito erano le saponette profumate! Si, aveva iniziato a collezionare saponette  profumate colorate a forma di animali.Erano splendide. C’erano anche cuoricini e stelle  e alberi e conchiglie… Mi guardò, vedendo accendersi i miei occhi di interesse, e mi domandò subito quale mi piacevo.Restavo a bocca aperta qualche istante, avevo ancora  13 o 14 anni… No no, scegli, non ti preoccupare….Mi accarezzava con il suo sguardo dolce e bizzarro…. Aveva già 18, quasi 19.. ma era ancora single, senza grandi prospettive  di lavoro o di fidanzamento… E li era un fatto molto strano, quasi già preoccupante…Sua madre si era fidanzata a 14 anni e a 18 aveva già due figli!!! Ma erano altri tempi… Ripetevo io….

Era preoccupata. Non voleva continuare a vivere per sempre dai suoi, non voleva sentirsi un peso, visto che non riusciva a trovare lavoro nonostante il diploma da maestra. Voleva come tanti andare via di casa, anche se era legata a quel luogo come se fosse stata sempre li. E in un certo senso era cosi. Era nata in casa, come suo fratello, perché allora si usava cosi. Era come uno di quei mobili, “parte della nave, parte della ciurma”… Avrebbe detto oggi, capitan Jack Sparrow dei Pirati

Sapeva di non essere particolarmente bella, né intelligente, ma sicuramente molto affettuosa, instancabile,  dolce, amabile. Sapeva forse o cosi credevo che era una forza della natura quando raccontava e quando ascoltava. Le piaceva parlare ma anche ascoltare, cosa rara di solito in che chiacchiera molto. Ma più di tutto le piaceva la tv.

Aveva in quel periodo fine adolescenza una vera e propria venerazione per la televisione. Si era creata, diceva con rimprovero,  a volte, sua sorella, un mondo suo…E quando non funzionava, per qualche guasto improvviso, si rabbuiava e correva da sua cugina vicina di casa o da zia Fonzie, come la chiamavano alcuni, la sorella di nonna, quella zia matta come una capra, sempre agitata con il suo sguardo da sparviero ciarliero e le sue mille messe.

Erano metà anni 80… quando imperversavano le grandi fiction… ma anche quelle sudamericane… lacrimose e disfattiste ma cosi piene di vena romanzesca e romantica, “faceva sognare” diceva sempre Nu.. per noi… forse per te in città no… ma qui… che non c’è nulla.. solo la festa del patrono, una volta all’anno, a settembre… o quella del patrono dei paesi vicini..

Ero stata a quelle feste.Erano feste semplici ma coinvolgenti con le sfilate dei patroni, l’allegria mai smisurata dei giovani e tanti dolci e qualche cantante di passaggio o attore, a volte anche molto famoso che richiamava migliaia di visitatori anche dalla provincia.Come quell’anno, il 1984, quando, trovai, con mia grande sorpresa, uno dei miei cantanti preferiti dell’epoca. Andai con lei , sua sorella e la loro cugina-vicina di secondo grado.Tutte  tirate a lucido o quasi…tranne lei che indossava il suo gonnelline scuro, camicia bianca e immancabili orecchini  abbinati alla collana d’oro e rossetto, unico filo di trucco su quel viso un po’ emaciato e pallido. Non ricordo cosa avevo indosso, ma sicuramente pantaloni in voga, mi piacevano molto cose strane anni ’80 pur senza seguire alla lettera madonna, culture club &C… mi piacevano i jeans, i pantaloni alla pirata, lunghe camicie coloratissime, stile hawaiano, anche per nascondere anche i chili di troppo che mi tormentavano ancora .Fu un bellissimo spettacolo, nonostante, poi le lamentele, alla fine, della Nina “sei matta…. Sei matta in mezzo a tutta quella gente..”…

Ma io ero contenta.. correva lei, era ora della tv…. Sapevo che quella sera avrei dovuto aspettare dopo le 22 per poter parlare con lei. E fu cosi. Finalmente sotto le coperte avremmo chiacchierato fino a tardi però, magari fino all’alba.

Sapevo anche che forse zia avrebbe urlato qualcosa dall’altra parte del muro per farci zittire.E sapevo anche che avremmo ascoltato ma solo dopo tre o quattro urla.

Era bello stare li e raccontarsi nel tepore della notte d’estate coi grilli a un passo, qualche cane che abbaiava ogni tanto, le stelle che si intravedevano dalle imposte semichiuse e il cicalio del sonno della cugina che ogni tanto si svegliava e ci raccomandava di tacere.Ma erano già le 2  o le 3, quando infine, esauste..giocavamo a chi taceva per primo…Le raccontavo dei miei sogni, dei progetti di viaggio o studio.  Non volevo sposarmi o non subito, volevo vedere il mondo e amavo gli animali…Mi ascoltava attenta e poi come sempre, ripeteva quella frase “mi piaci perché tu fai sempre quello che dici.. Qui invece  sai, non si può, qua ci sono regole. Come non puoi andare al bar, i vicini mormorano…” Io vorrei sposarmi, ma non tardi. ormai ho l’età.. ma sono tutti orribili o squattrinati. E poi vogliono la dote!!ce l’ho, si, vedi quel cassettone è pieno di roba da quando avevo 9 anni.. ma, non basta..Quello che mi voleva c’era ma non so. Era troppo vecchio e pure zoppo, aveva già quasi 35 anni..!!! Mi sembrava di ascoltare Mena a colloquio con Alfio. Mi sembrava di vedere i Malavoglia in persona, in quel quadretto da famiglia antica…. Non capivo spesso però mi affascinava. E adoravo lei, Nina anche quando cercava di darmi troppi consigli, e mi voleva sistemare per forza i capelli secondo i suoi gusti, quando si sforzava di uscire dal suo mondo angusto, quando salivamo su in terrazza da zia Fonzie per cantare, ballare, urlare a volte a squarciagola il nome di un vicino, a mo’ di burla e ci nascondevamo dopo aver puntualmente lanciato un sassolino sul tetto. Come dei monellacci.

Lei scuoteva la testa, rideva, ammoniva ma poi si divertiva con noi più piccoli, noi già grandi ma ancora molto infantili. E rideva quando ballavo col mio vestitino blu e giocava con noi a fare teatro in terrazzo o nel salotto di zia, quello buono, secondo la tradizione, anche s’era tutto  da sistemare, con l’enorme tavolo di legno mogano scuro dove spesso si facevano i pranzi importanti con zio Checco, o il cugino maggiore Valentino  e gli altri. C’erano quelle vetrine piene di bicchieri, calici, piatti delle feste e foto, foto antiche di volti mai visti.

Ma a volte anche senza la tv, Nina  finiva col parlare di tv, insieme alla cugina più grande, Emma, insieme parlavano ore fitto fitto come in un misterioso codice… E noi allora stanche e un po’impazienti, andavamo fuori a giocare, a correre, a prendere il gelato.

Poi, accadde, quello che non pensavo sarebbe mai accaduto.

Improvvisamente mi sembrò di vederla sollevarsi  in alto, come in un cartoon, con i suoi oggetti preziosi, i suoi mobili, i suoi cassetti, le sue care foto e ninnoli, e la televisione…

Era davvero volata via, con la tv, per sempre.

Forse, come aveva sempre sognato.

 

 

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