Racconti nella Rete 2009 “La combinazione vincente” di Silvia Fabbri
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009Incanto.
E’ il viso di una bambina…lineamenti dolci, occhi languidi che mi fissano e mi riportano indietro a quando il tempo era immobile…C’era una volta…ora non più.
Tutto cominciò in un tempo remoto nel passato, fino ad arrivare a lei, Marilù, l’ennesima casuale combinazione genetica. Suo padre era calzolaio mentre sua madre era parrucchiera: ambedue lavoravano in casa e questo permetteva loro di occuparsi delle bambine. Marilù aveva una sorella più piccola di nome Nina; erano diverse ma legate profondamente nonostante i piccoli, innocenti conflitti. Crescendo, il loro rapporto si sarebbe consolidato sempre di più. La vita scorreva così, semplicemente, nella campagna in periferia di Parigi.
Marilù frequentava l’asilo, anche se un po’ controvoglia…era introversa e quasi spaesata. Quando ripensa a quel tempo lontano, riaffiorano ricordi sfuocati di mattine passate a giocare alla tiepida luce del sole, a disegnare, colorare e respirare l’aria di un mondo ancora da scoprire. Ben presto arrivarono gli anni della scuola…lei era spontaneamente brava nel canto e nella recitazione: spesso le facevano fare la protagonista nel coro o nelle recite scolastiche. Oltre a ciò, era minuta e flessuosa, fisicamente portata per la ginnastica artistica ma non ebbe mai l’opportunità di sviluppare tutti questi suoi potenziali talenti.
Passava i pomeriggi a fare i compiti o a giocare nelle corti e nei campi con amici di scuola. Alcuni erano i figli di vicini di casa benestanti: le bastava attraversare la strada e le si apriva un altro mondo. La loro villa era per lei come un labirinto di stanze dove perdersi, così come il loro stile di vita rappresentava un ideale di benessere a cui aspirare. Più avanti negli anni avrebbe realizzato che, l’aver vissuto sin da piccola a confronto con quel modello di vita, l’aveva influenzata tanto da non farle apprezzare, talvolta, quello che già aveva. Solo con l’esperienza, avrebbe sviluppato il senso critico necessario per prendere le distanze da tutto ciò che, alla fine, non costituiva un bisogno reale bensì indotto da una sistema di vita sempre più superficiale.
Era una gioia quando Marilù e Nina potevano giocare con le loro cugine di città, Amelie e Kitty. Insieme sembravano le quattro sorelle uscite dal romanzo di Louisa May Alcott e, come delle piccole donne dell’era moderna, unite dalle loro umili origini, cercavano di affrontare le prime difficoltà. Giocando, interpretavano i personaggi dei cartoni animati del tempo: streghe buone che, con amuleti magici, potevano trasformarsi in qualcun altro…Allora non sapevano che le persone fanno similmente nel corso della vita, indossando le maschere sociali più disparate perché incapaci di liberare la propria vera essenza…diventano un “qualcuno” che si forma via-via per inerzia, quasi imposto dal contesto in cui nascono e dalle circostanze.
Capitava…d’improvviso sua madre che piangeva con una mano sul cuore oppure piegata su se stessa a vomitare…talvolta finiva all’ospedale e tendeva le braccia alle bimbe per stringerle a se appena le rivedeva. Marilù cercava nello sguardo di suo padre e in quello della zia come un cenno di “consolazione”, una spiegazione leggera e indolore. Non comprendeva affatto quello che succedeva. Tanto più restava disorientata quando sua madre si arrabbiava ed era solita rimproverarla dicendole << quando sarò morta non venite a portarmi i fiori sulla tomba!>>. Una frase senza senso per Marilù e Nina: cosa ne potevano capire della morte? Come si poteva loro spiegarla? In realtà i bambini non hanno le facoltà necessarie per comprendere ed accettare la fine di loro stessi e degli altri: è un concetto fuori dalla loro portata.
Quel mondo apparentemente ovattato dell’infanzia forse era una bugia. Una promessa di felicità eterna che gli adulti raccontano ai figli e che tengono in piedi fin che possono. Marilù cercava di dimenticare questi episodi ma, il prendere distacco dagli eventi dolorosi, la portava anche a non godere pienamente di quelli sereni. Viveva sempre “all’erta”, in attesa della prossima batosta…solo molti anni più tardi avrebbe imparato a gestire meglio la paura. Un giorno, avrebbe tentato di non lasciarsi più sopraffare dagli eventi negativi, affrontandoli subito e cercando di trarne sempre un risvolto positivo, perché il tempo non passasse invano, senza significato. Che il senso della vita fosse quello: sopravvivere alle avversità per evolversi? Perché solo la sofferenza può forgiare la nostra personalità?
Passarono gli anni, fino a quando, come ad una pianta, le furono tagliate le radici: il trasloco. Per Marilù fu un vero trauma. Tutte le amicizie delle classi elementari, i luoghi in cui aveva cominciato a crescere, la casa che l’aveva protetta per così tanto tempo, i primi battiti del cuore…tutto perso. Si trasferirono in collina nel paese natio della madre. Per anni non si sarebbe più sentita “a casa”…Doveva abituarsi ad un ambiente e a persone diverse ma non solo, fu la fine definitiva della spensieratezza: sua madre si addormentò per sempre a trentanove anni di età. Marilù ne aveva dodici e sua sorella Nina appena otto. Sin da piccola era stata attratta da quello che non capiva ma questo evento andava aldilà di qualsiasi mistero che potesse concepire, aldilà di qualsiasi dolore che potesse sopportare.
I primi tempi, le sembrava di vedere sua madre in giro, nelle facce dei passanti, le pareva d’improvviso di poterla chiamare esclamando: << mamma! dove sei stata?>> pronta a perdonarla all’istante e a dimenticare l’angoscia devastante subita, perché comunque era tornata da lei. Le stesse sensazioni le provava in sogno, continuava a incontrarla come se sua madre fosse tornata da qualche viaggio, non si sa bene da dove…Le chiedeva << perché sei andata via? >> ma non riceveva mai una risposta a questa domanda. Così le succedeva di svegliarsi dal sonno e di vivere in un incubo…
La solitudine, tanto rifuggita da alcune persone, era invece ricercata da Marilù che ne aveva bisogno per rigenerarsi; lei sentiva che in quello spazio-tempo vuoto poteva rifugiarsi e staccare la spina con il mondo. Aveva sempre avuto un’attitudine riflessiva; non le piaceva leggere soltanto per intrattenersi con storie fini a se stesse bensì aveva sete di conoscenza. I libri furono un valido sostegno per quella adolescenza mai pienamente vissuta. Amava raccogliere aforismi, estrapolava i pensieri che più la colpivano e la rappresentavano: era in estasi quando uno scrittore era capace di esprimere in poche frasi quei concetti e quelle emozioni che Marilù non riusciva ad esternare ma che aveva dentro di sé. Che sollievo! Aveva trovato nello scrittore la persona che sapeva comprenderla anche senza conoscerla e che sembrava aver scritto quel libro proprio per lei!
Negli anni che seguirono, le incomprensioni con il padre furono la molla che spinsero Marilù ad impegnarsi nello studio per diplomarsi, trovare un lavoro sicuro e andare via di casa per essere indipendente. Ci riuscì: a ventidue anni fece il grande passo e realizzò così il suo sogno. Per lei fu come rinascere. Quella volta non rimase ad attendere che il destino facesse il suo corso, piuttosto gli andò incontro per indicargli la strada da percorrere…
Per quanto lavorasse, la sua vita però non prendeva quella piega che lei voleva. Sentiva dentro di sé un conflitto struggente, fra la persona che stava diventando e quella che sognava di essere. C’era sempre stato squilibrio tra i suoi desideri più profondi e le risorse a sua disposizione per realizzarli, come se per esprimere se stessa le mancassero anzitutto gli strumenti…così aveva sempre tentato la sorte, alla ricerca di quella coincidenza fortunata che, pensava, l’avrebbe finalmente resa libera. Dopotutto, si diceva, quello era il costo della speranza. In questo modo però, rimandava la vita stessa, in attesa di viverla come avrebbe voluto e, alla fin fine, sprecando tempo prezioso in attività senza emozione.
Marilù aveva talora atteso che, qualche evento inaspettato, come un detonatore, potesse dare il via a quella reazione a catena che le avrebbe potuto cambiare l’esistenza: come se la vita, prima o poi, dovesse in qualche modo risarcirla per le ingiustizie a suo parere subite, ben sapendo che, in realtà, il mondo non fa che riflettere le semplici leggi di causa ed effetto…
Avvertiva su di sé come una “zavorra” invisibile ma pesante, che non riusciva a scrollarsi di dosso: l’insieme di tutte le illusioni e i pregiudizi che forse, ogni tanto, aveva inconsciamente usato come alibi…La visione che aveva avuto della realtà era stata offuscata dai vari condizionamenti che si erano accumulati nel corso della sua esistenza. Sotto infiniti strati di emozioni represse, in fondo, avrebbe ritrovato la sua anima sommersa e al contempo sfuggente, la sua unicità. Quella “combinazione vincente” che avrebbe potuto renderla felice o infelice, aldilà degli eventi della vita.