Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2013 “Acqua mista con aria” di Roberta Zilio

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013

Olga capiva quando una cosa era arrivata alla fine. Così quella mattina si era alzata dal letto e aveva deciso che se ne sarebbe andata. Aveva bevuto il caffelatte, si era lavata, aveva messo gli stessi vestiti del giorno prima.

Per capire che tempo facesse fuori le era bastato sbirciare attraverso le fessure della tapparella. Tirava aria e sembrava piovere. Una di quelle pioggerelle di marzo, che non sono veramente pioggia, ma acqua mista con aria. L’ombrello poteva anche lasciarlo al suo posto, il foulard di seta che le avevano regalato a Natale sarebbe stato sufficiente a ripararla. La cosa che le aveva richiesto più tempo era stata scegliere tra le scarpe e gli stivali. Odiava l’aria fredda sui piedi, ma le scarpe erano più comode e pratiche e l’avrebbero fatta andare più veloce. Erano quasi le sette e siccome non aveva molto tempo a disposizione alla fine aveva indossato le scarpe. Quelle vecchie, però, che le stavano comode come pantofole.

Quando fu in corridoio pensò se non fosse il caso di passare dalla cucina per salutarli. Ma sì, che tanto non le avrebbero chiesto dove stesse andando. Infatti non glielo chiesero. Sua nipote alzò lo sguardo dal libro, ma non la vide nemmeno. Sua figlia Teresa le disse ciao, senza neanche voltarsi, perché stava mettendo la caffettiera sul fuoco. Quel pigro di Carletto non c’era, doveva essere ancora a letto.

Tanto meglio.

Uscì di casa e cominciò a scendere lungo la strada che portava alla via principale. Come se stesse andando al mercato, ma senza le sporte. E senza neanche il portafoglio. Un passo dietro l’altro. Non considerava nemmeno il fatto che non ci sarebbe stato ritorno. Era occupata a parlare con la Vergine Maria, di cose che sapevano solo loro due.

La conversazione s’interruppe quando Olga arrivò in fondo alla via e vide Paolino. Era a quell’incrocio che gli aveva dato l’ultimo bacio, insieme alla sacca col pranzo, tanti anni prima. Il tempo di dirgli “va’ piano” che lui già era sparito dietro la curva, sulla bicicletta comprata apposta per andare a lavorare in città. Glielo avrebbero riportato la sera su un camion, lo stesso che l’aveva messo sotto, quando ormai non c’era più niente da fare.

Paolino di solito stava con le mani in tasca, appoggiato al cartello del dare precedenza, come chi aspetta qualcuno. Invece stavolta era seduto per terra e le dava la schiena. Le parve più magro del solito. “Che hai?” gli chiese, sfiorandogli una spalla, ma lui teneva gli occhi a terra e non rispose niente.

Quando faceva così era meglio non dargli troppa corda. Era lunatico anche da morto. Olga tirò dritto, ma non fece molta strada, ché le gambe le erano diventate pesanti come due tronchi. Si appoggiò al muretto di cinta della casa dei Battiston. La colpa era del diabete, certo non della paura. In vita sua, lei, la paura non l’aveva mai provata. Nemmeno davanti ai tedeschi che le avevano puntato contro il fucile quando stavano portando via Sergio.

Non fatemi scherzi, stupide, disse alle gambe. E le gambe ripresero a camminare.

Attraversò il paese deserto e poi svoltò sulla stradina che portava al viadotto.

La cosa fondamentale era arrivare lì prima delle sette e tre quarti.

La carreggiata costeggiava un bosco di pioppi imponenti, con i rami ancora spogli. Dai tronchi coperti di muschio si staccò un’ombra. Avanzò verso di lei. Olga riconobbe suo padre, tale uguale a com’era nella foto che stava di fianco al suo letto: vestito da caporal maggiore e con i mustacchi impomatati. Lei gli chiese scusa perché andava di fretta, non poteva trattenersi, doveva fare un cosa per il bene di tutti. Soprattutto dei nipoti: della Linda che ormai aveva smesso di mangiare e se continuava così l’avrebbero sicuramente portata in ospedale e del Carletto che sembrava tanto furbo ma ne avrebbe prese, di botte. Che Dio li assistesse tutt’e due. La nonna magari era un po’ matta, ma voleva loro un gran bene.

Suo padre fece di sì con la testa, come dire che aveva capito e approvava.

Olga riprese il cammino. Quando arrivò sul ponte il campanile del paese segnava sette e mezza.

Aveva ancora qualche minuto a disposizione e ne approfittò per concludere il suo discorso con la Vergine Maria. Le disse tutto, ma proprio tutto quello che aveva nel cuore. Le fece anche qualche rimprovero. Poi però si rese conto che non era il momento di prendersela con la Madre di Dio e le chiese scusa.

Chi invece non le riusciva proprio di perdonare era la Ada. Era stata lei a consigliare a sua figlia quella casa di cura, la stessa dove il suo Berto “s’era spento serenamente”.

“Vedrai, la Olga si sentirà in famiglia.” E Teresa, come il suo solito, le aveva dato retta e aveva organizzato tutto, in quattro e quattr’otto. Aveva anche preso accordi per vitto e alloggio a cinquecento mila lire al mese.

“Ma va’ in mona” brontolò. E quello fu l’ultimo pensiero per la donna che in tanti anni aveva considerato come la sua migliore amica.

Adesso doveva sbrigarsi, perché alle sette meno un quarto sua figlia sarebbe uscita di casa per andare al lavoro e sarebbe passata proprio di lì.

Rimase qualche istante appoggiata alla ringhiera, con la lamiera fredda contro le ginocchia. Il vento le graffiava la faccia, la spingeva, la faceva oscillare. Si tolse il fazzoletto, lo legò alla barra di ferro. Un ciuffo di capelli si sollevò, finendole sugli occhi.

I suoi capelli leggeri, radi fili d’argento.

Si sfilò il cappotto.

Il grigio vapore acqueo l’avvolse.

Scavalcò.

Era in bilico, come quand’era bambina, sul ponte del canale.

“Buttati, Olga, dai, non è tanto fredda!” le diceva Sergio sollevando alti spruzzi con le braccia nel tentativo di bagnarla.

E lei rideva e si lanciava. Nemmeno il tempo di sentire l’aria attraversata che già l’acqua l’accoglieva.

Si tuffò.

Non avrebbe mai immaginato che questo volo per arrivare giù sarebbe stato così a lungo. Dopo una vita contratta in settantacinque anni, ciascuno dei quali pesante come un secolo, rivide le sue trecce nere e il carro che la portava in paese. E le danze e il bacio rubato a Paolino e l’amore e il ventre che le si squarciava per lasciare uscire Teresa e il pianto e le scarpe bucate sulla neve e ancora pianto di solitudine e rabbia.

Poi una raffica la sollevò e la portò lontano, sempre più lontano, così che quando il suo corpo arrivò a terra lei nemmeno se ne accorse.

 

Adesso era acqua mista con aria.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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