Premio Racconti nella Rete 2013 “Oak” di Ilenia Pecchini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013Bussai piano sul tronco della quercia e rimasi in ascolto. Il vento strusciava le fronde degli alberi e soffiava via le foglie colorate, nascondeva la terra sotto la loro coperta, spostava le nuvole per velare il sole e non aveva tempo per me e perché avessi freddo. Gli uccelli non cantavano quasi più, e correvano neri sopra la mia testa verso i loro rifugi.
Bussai un po’ più forte sul legno, e feci un giro intorno alla quercia. I miei passi scricchiolavano sulle foglie coricate, e anche se non si sentivano rumori provenire dall’interno sapevo che lui era lì, forse ancora addormentato. Bussai ancora e ancora, e chissà che bel sogno stava sognando, non vedevo l’ora che me lo raccontasse. Dato che era così bello non volevo svegliarlo, mi sedetti con la schiena appoggiata al tronco della quercia e lo lasciai dormire.
La terra era asciutta e da sotto il manto di foglie si vedevano spuntare i fili d’erba, che le sorreggevano e le gonfiavano come se fossero piume di un cuscino. Abbassai la testa per osservarli. Lui avrebbe detto che erano così sottili che, se il cielo non fosse stato nuvoloso, ci si sarebbero visti attraverso i raggi del sole.
Mi tirai su e appoggiai la testa al tronco. La quercia sembrava molto più grande vista da sotto, quasi infinita, con tutti i suoi rami fitti di foglie intense che tremolavano al vento come se volessero occupare più spazio di quanto fosse loro permesso, come se volessero avvicinarsi l’un l’altra e tenersi strette per non cadere, toccarsi fino a fondere in un unico mantello che coprisse ogni spazio di cielo. Era difficile dire cosa pensassero le foglie.
Ne guardai un paio cadere ma non sembravano affatto tristi. Si staccavano dal ramo in un momento impercettibile, cominciavano a oscillare nel vento, lui avrebbe senza dubbio detto che stavano danzando, andavano su e giù, si avvicinavano a terra e poi stavano un attimo sospese in un tempo strano e cadevano. In verità non era vero che cadevano, perché ci impiegavano un sacco, andavano piano e non si facevano mai male, e poi se il mondo dritto non fosse così, dove uno che cammina per terra è in piedi, le foglie penserebbero che sono io che continuo a cadere e a risalire e si starebbero facendo le stesse domande.
Lui ogni tanto diceva che le foglie cadono perché vanno ad attaccarsi a un altro albero, che in verità è sempre lo stesso da cui sono cadute ma visto girato al contrario. Diceva anche che poi le foglie dell’albero di sotto vengono assorbite dal tronco e si trasformano nelle foglie nuove dell’albero di sopra, e quindi in verità sono sempre le stesse foglie ed è sempre lo stesso albero e non esiste un mondo dritto e uno al contrario, e io gli ho sempre creduto perché abitava dentro a un tronco, e poi lui di alberi se ne è sempre inteso.
All’improvviso mi alzai in piedi, perché mi era venuto in mente che non era rimasto più neanche un ramoscello dei nostri che usavamo per fare le costruzioni e invece che stare tutto il giorno a cercarne insieme potevo iniziare a raccoglierne un po’ io. Diedi un paio di colpi sulla corteccia con la nocca del mignolo e per non avere dubbi avvicinai l’orecchio al tronco, ma ero sicura che stesse ancora dormendo.
Raccogliere i ramoscelli era abbastanza difficile dato che ce n’erano un sacco e noi volevamo solo quelli del nostro tipo, che non si può spiegare bene cosa dovessero avere di particolare però si capiva subito osservandoli un po’. Lui era molto bravo a fare questo lavoro perché trovava subito l’ispirazione per i posti giusti, dove dei nostri ramoscelli ce n’era più che altrove. Io invece non ci riuscivo, e ogni volta pensavo che i posti giusti li avesse già trovati tutti lui e che non ce ne fossero più, ma alla fine lui ne trovava sempre degli altri. Non so come facesse; forse glielo dicevano gli alberi, ma secondo me lo sapeva già di suo.
Dopo i ramoscelli li appoggiavamo per terra, li sistemavamo un po’ e li usavamo per le costruzioni. Li mettevamo giù come ci veniva in mente di farlo, così saltavano fuori delle forme strane che però nelle nostre teste erano ben chiare, e il fatto più straordinario era che anche se avevamo due teste diverse vedevamo le stesse cose e ci trovavamo sempre d’accordo.
Girai intorno agli alberi e frugai in mezzo alle foglie. Era l’inizio dell’Autunno; i colori erano vividi e intensi, la terra umida e soffice, come una nuvola, da cui spuntavano le infinite punte castane dei pezzi di corteccia e dei bastoncini, dei fili d’erba, bacche, ghiande, pigne cadute, aghi, funghi, e qualche piccolo fiore. Tutte cose che andavamo a cercare perché avevano colori impossibili e odori infiniti. A me piaceva lavorare con i profumi, e quando lui tirava fuori i cesti e diceva che era ora di andare a raccogliere il respiro del bosco mi sentivo pervasa da una felicità profonda.
Un’altra cosa straordinaria che aveva, era che lui sapeva sempre quand’erano i momenti delle cose. Sapeva quando doveva piovere, quando doveva venire la nebbia, quando gli uccelli cominciavano a cantare, quando smettevano di cadere le foglie, quando nasceva il muschio, quando si potevano raccogliere le violette, i lamponi e le castagne. E lo sapeva perché lo sapeva.
Quando tornai alla quercia avevo le braccia piene. Sembrava che adesso il vento spirasse più forte, e che fosse più freddo. I suoi rami oscillavano con violenza sotto il cielo, come se si stesse scuotendo e cercasse di liberarsi dalle folate che la attorcigliavano e la avvolgevano, si mescolavano a quelli degli altri alberi anche loro intenti a combattere contro una forza invisibile ed estranea come solo la nostra interiorità può essere.
Forse era per questo che i loro movimenti densi e malinconici assomigliavano tanto a una danza di riflessioni e all’innegabile armonia di un pensiero confuso. Appoggiai i ramoscelli per terra senza staccare gli occhi dalla tempesta di emozioni sopra la mia testa.
La quercia oscillava e si arrotolava su se stessa, flettendosi e inarcandosi come pronta a cadere. Sembrava che tutti gli alberi si stessero comportando come le foglie attaccate ai loro rami, ed esse concordavano, a gran voce, frullando nei turbinii d’aria e attaccando ogni cosa con momenti intermittenti di luce. Se si guardava da lontano, con i rami come venature e il contorno frastagliato della chioma, un albero poteva anche assomigliare ad una foglia.
Forse gli alberi per come li intendevamo noi non erano alberi veri e propri, ma solo le foglie di un albero molto più grande, grande come tutto il mondo. Dopotutto erano attaccati a terra come a un ramo, e chissà sotto che movimenti facevano le loro radici. Forse il mondo era un unico albero immenso, e io nient’altro che un piccolo insetto.
Allungai un braccio a terra e con la punta delle dita raccolsi un albero. Perché se un albero poteva assomigliare a una foglia, allora anche una foglia, con il suo contorno frastagliato e le venature come rami, poteva assomigliare a un albero. E io che lo tenevo in mano ero la terra. Quando lo lasciai andare invece divenne un albero volante, e il cielo si fece ancora più immenso per lui.
Emersi dai miei pensieri e tornai a fissare la quercia. Improvvisamente mi accorsi che il vento si era sfilacciato in tanti piccoli flussi che spiravano ognuno nella propria direzione, ed ebbi la consapevolezza di trovarmici in mezzo. I ramoscelli erano ancora tutti al loro posto, ma se per caso si fossero sparsi in giro non mi sarebbe dispiaciuto perché così finalmente anch’io avrei trovato un posto giusto dove cercarne.
Mi sedetti sotto la quercia e appoggiai piano la testa al tronco. Provai a immaginare lui che dormiva e che sogno stesse sognando. Poteva essere un tramonto che allungava talmente tanto le ombre delle cose da farle diventare vive, oppure una neve fatta di piccole foglie di ghiaccio, o forse un sentiero che durava finchè avevi voglia di camminare. Magari invece si era messo a testa in giù e aveva pensato talmente tanto al giardino dove si sentivano i pensieri degli alberi che le sue riflessioni erano diventate un sogno e non sapeva neanche lui se le stava controllando oppure no.
Certe volte lo faceva. Quando gli veniva un’idea molto grande o voleva pensare intensamente si metteva a testa in giù perché diceva che così era più tranquillo e riusciva meglio a concentrarsi. Io non lo so come facesse, perché secondo me in basso c’erano molti più pensieri che gironzolavano, con la terra, le foglie, i ramoscelli, fiori, ghiande, fili d’erba, ed era difficile riuscire a riflettere bene senza interruzioni insieme a tutti quegli altri flussi. Però lui diceva che non era vero, che per aria c’era il vento che era troppo rumoroso e trasportava sempre i pensieri di tutti anche se erano sbagliati o venivano da molto lontano, copriva i suoni interessanti, c’era il sole che rifletteva sempre su qualsiasi cosa gli capitasse a tiro, e poi era troppo lontano dal cielo e si sentiva pesante. Invece stando a testa in giù al cielo ci era appiccicato che più di così non avrebbe potuto quindi si sentiva molto leggero e i pensieri gli uscivano fuori meglio e più attaccati fra loro.
Le cose proprio più serie però andava a pensarle a testa in giù dentro l’albero, perché il rischio quando si faceva un ragionamento intenso era sempre quello che qualche pezzo di pensiero si staccasse dagli altri e volasse via, e allora era tutto un lavoro sprecato. Invece stando dentro l’albero al massimo finiva dentro a un ramo e bastava andarlo a prendere.
Adesso il vento stava diminuendo, e la quercia aveva cominciato a calmarsi. Ogni tanto mi tornava in mente la storia del giardino dove si sentivano i pensieri degli alberi, e mi sembrava una cosa meravigliosa.
In certi periodi lui mi diceva che doveva andare e partiva. Stava via tanto tempo; e allora tutto il bosco era abbattuto, il cielo si svuotava, la quercia si piegava così tanto da non sembrare neanche più viva. Dalla terra evaporavano coltri di nebbia distorta come se l’aria gravasse sul respiro delle cose, e ogni movimento era squallido perché immobile. In quei periodi io cercavo di guardare sul suo viso lontano e di vedere dentro ai suoi occhi, ma quando pensava da solo il suo flusso di coscienza mi sfuggiva.
Partiva perché mi aveva raccontato che certe volte, sul finire dell’ Autunno, si sentivano i pensieri degli alberi. Sussurravano dolci poesie poi all’improvviso più niente, e si sentiva che se n’erano andati. I loro suoni rimanevano sospesi nell’aria, come un profumo, e poco alla volta diventavano flebili fino a scomparire. Se fossero i loro ultimi pensieri, la voce delle loro anime o i loro respiri prima di morire lui non lo sapeva. Non avevano delimitazioni nello spazio e nel tempo, e assomigliavano più che altro al livello estremo dei sogni, ma portavano con loro la perfezione che non apparteneva a questo mondo.
Lo vedevo nei suoi occhi, da come diventavano profondi, lontani, che lui stava ascoltando il giardino. Non sapevo cosa avesse visto e sentito. Le cose che gli dicevano gli alberi non me le aveva mai raccontate, ma quando tornava mi bastava guardare il sorriso sulle sue labbra e i colori armoniosi che si mescolavano sul suo viso per essere infinitamente felice. L’aria diventava traslucida, calda, si inondava dei riflessi del sole, e non importava se il giardino non l’aveva ancora trovato perché io ero sicura che gli mancasse poco e un giorno ci sarebbe riuscito.
Girai indietro la testa e guardai la quercia farsi attimo dopo attimo più grande e più bella. Mi alzai in piedi e appoggiai una mano sulla corteccia. Il vento soffiava piano e accarezzava le foglie di suoni, e loro continuavano a cadere e a coprire la terra. Alzai la testa e pensai a come fosse strano, che il suo respiro tranquillo fosse lento e invisibile come quello dell’albero, che il suo corpo fosse lungo e fermo come il tronco e che i suoi pensieri, tanti pensieri, fremessero e si librassero tutt’attorno come l’infinita moltitudine di foglie sulla sua chioma. Pensai a com’era bello che si allargassero e cambiassero continuamente forma, come un desiderio con gli occhi aperti dentro il proprio cuore. Pensai che forse le foglie erano l’anima di un albero, e guardando quelle della quercia ebbi la certezza che lui stesse sognando il giardino, e non so se perché avevo fatto quel pensiero o se perché mi era caduta una foglia sul viso, mi ci sentii vicina come non lo ero mai stata. Forse se avesse continuato a sognare così tanto le sue riflessioni avrebbero riempito tutto il cielo, e magari a forza di disseminare foglie il giardino sarebbe diventato grande come il mondo.
Per adesso però, a pensarci anch’io, avevo paura di svegliarlo o di fargli perdere la concentrazione; quindi accarezzai appena il tronco e rimasi un attimo ferma sul tappeto di foglie. Non importava quanto a lungo avrebbe dormito, avrei anche aspettato per l’eternità, perché volevo solo che lui fosse felice e che finisse in pace di sognare dentro la sua quercia.
Pensai a com’era strano che si assomigliassero così tanto.
Ma mentre giravo attorno alla croce di pietra che stava immobile ai piedi dell’albero, per un attimo solo, sentii che era ovvio che fosse così; e che non avrebbe potuto essere diversamente.
Non sono brava a scrivere commenti che siano chissà quanto costruttivi, posso solo dirti che mi sono commossa, e le immagini che ha evocato il racconto erano varie, confusionarie, ma piene di emozioni. Mi è piaciuto tanto,ma veramente tanto. Il non aver definito la situazione lascia spazio all’immaginazione del lettore, e sulla mia immaginazione, ha avuto successo. Mi piacerebbe sapere cosa immaginavi tu, scrivendolo.
Grazie, sono davvero felice che il mio racconto ti abbia emozionato.
Nella mia mente i colori e le forme erano talmente definiti che descriverli non aveva senso; dal momento che oltre a scrivere io disegno per me questo è normale, e se una volta tendevo a specificare tutto, come se stessi dipingendo un quadro delle immagini nella mia mente, ora sto cercando di ‘saltare un passaggio’, e di dare tridimensionalità alla scrittura tenendo conto delle immagini che ho in testa ma senza esplicitarle.
Il bosco in cui è ambientato il racconto per me è un luogo surreale, dove le stagioni si manifestano in tutta la loro meraviglia.
Adesso vorrei iniziare a lavorare a una serie di disegni che rappresentino la storia.
Racconto insolito… molto belli i momenti poetici.. mI ha catturata ed emozionata…
Brava e ancora brava!
Ilenia,
suggestivo. Toccante.
Il bosco, la similitudine tra gli elementi della natura e l’uomo che alla fine è tornato alla Madre. Alla terra.
La forza della presenza di ‘Lui’ che distorce i colori, prende il vento in una mano e sradica gli alberi.
Non c’è disperazione, nella sua assenza.
Perché Lui non se n’è andato. Lui è ancora lì.
Lui E’ quel luogo incantato e surreale dove ogni sospiro si accende di meraviglia, ogni pensiero prende forma e colore, dove l’assenza diventa presenza.
Dove la disperazione si stempera nella nostalgia.
Quale luogo migliore per continuare a vivere?
Bello, Ilenia.
Struggente. Brava.
Nikki
C’è un testo teatrale che dovresti leggere – è incredibile e c’entra molto con il tuo scritto.
Si chiama “AN OAK TREE”, l’autore è Tim Crouch.
Non è tradotto, ma on line lo puoi ordinare facilmente,
Molto molto bello….grazie!
Emanuela
Grazie Nikki, mi fa piacere vedere che quello che volevo trasmettere è arrivato.
Il bosco del racconto è un luogo fondamentale per me, così come gli Alberi e le Stagioni sono esseri profondi posti sulla linea sottile che separa la realtà da noi conosciuta da tutto il resto, e lo stesso vale per l’Arte. I ragazzi del racconto, nella loro vita e nel loro modo di essere e di pensare, sono l’unione delle due cose.
Emanuela, grazie a te per l’attenzione.
Elena, non conosco il testo che mi hai consigliato non sapendo praticamente nulla di teatro, ma lo leggerò volentieri!
Non so perché, ma ho iniziato a leggere il racconto ad alta voce. Senza motivo. Deve essere stata un’ispirazione, un’illuminazione, perché così ho potuto cogliere ancora di più la musicalità delle frasi, dei periodi. Soprattutto all’inizio, le allitterazioni rendono il paesaggio, il bosco, le foglie, gli alberi, il vento incredibilmente presenti. E’ stato come leggere un quadro, un quadro bellissimo fatto di parole e suoni, che poi sono i colori dello scrittore. Complimenti!!
Grazie Matteo, sono davvero felice che tu abbia colto l’aspetto musicale del testo, che per me è essenziale.
Scelgo con cura ogni parola, e spesso mi capita anche di inventarne quando mi accorgo che non ne esiste una con il suono adatto.
Le prime due cose che mi si accendono nella testa quando scrivo, frase dopo frase, sono i colori e la forma sonora del testo. Amo tantissimo la musica e il disegno, e vedo la scrittura come un’unione di queste due Arti.
Grazie Carla, mi fa molto piacere che tu abbia trovato poetico il mio racconto.
E’ una cosa a cui tengo molto, ed uno degli scopi che cerco di raggiungere quando scrivo è proprio quello di creare una prosa che sia anche un po’ poesia. Le immagini poetiche danno colore, musicalità e profondità al testo, e in questo caso aiutano a rendere l’ambiente surreale del racconto.
Ilenia, ma questo non è un racconto…è una bellissima poesia!!!Concordo appieno sulla musicalità che le immagini evocano, suggestive, sembra proprio di essere immersi in un’altra dimensione…..BRAVA!
Cara Ilenia, anche io come Matteo T. (che è molto bravo ad analizzare positivamente i racconti in rete) ho iniziato a leggere il tuo racconto ad alta voce. Chissà perchè poi ho pensato istintivamente al “Canto delle lumache che vanno al funerale* di Jacques Prévert, bellissimo esempio poetico della natura che parla. Esattamente come parla il tuo albero e la natura che gli sta attorno. Poi, proseguendo nella lettura, sono entrata in un sogno (ammetto molto “ventoso”) e un altro poeta mi è apparso “sognai talmente forte che mi uscì sangue dal naso” (De Andrè). Brava, porti il lettore in una strana dimensione, non sempre facile e scontata. Un bel racconto disegnato. Silvia
Grazie Caterina, era proprio mio intento fare in modo di aprire una finestra su un altra realtà. Sono felice che tu abbia apprezzato questo e la musicalità del racconto!
Ti ringrazio Silvia, è bello che tu colleghi il mio racconto ad altri scritti e sono felice che la miia strana dimensione ti abbia raggiunta!
Ciao Ilenia.
Sapiente è uso della scrittura; le parole sono il pennello e l’armonia delle immagini trasforma i suoni in musica, comunque.
E’ poesia. Bellissima l’immagine degli alberi che pensano e hanno sentimenti.
E Oak è lo spirito della quercia che vive nel tronco ma che può vagare nel bosco e le cui vitalità e assenze seguono i cicli della natura.
Mi sembra di capire che Oak abbia fatto innamorare chi ce lo descrive nel racconto, l’insetto.
Auguri.
Emanuele.
Grazie Emanuele,
sono felice che tu abbia apprezzato l’immagine del giardino dove si sentono i pensieri degli Alberi, che per me è una delle più importanti del racconto.
Non mi è invece chiaro perchè tu dici che la voce narrante è quella di un insetto.
I personaggi della storia sono due ragazzi, e l’ambiente del bosco è surreale, così come lo sono i pensieri e i comportamenti dei protagonisti e la loro particolare filosofia; nel momento in cui la ragazza si è paragonata ad un insetto, immaginava che il mondo intero fosse un Albero, e quindi lei non era altro che una piccola forma di vita che vagava tra le sue foglie.
Mi è piaciuto moltissimo invece che tu abbia pensato che la ragazza fosse innamorata del suo amico. Sinceramente io, scrivendo, non mi sono posta il problema e li vedo un po’ come due facce della stessa medaglia, però mi è piaciuta la tua interpretazione.
Grazie ancora,
Ilenia
Molto particolare e suggestivo. Assolutamente poetico e armonioso, incanta. Complimenti Ilenia!
Grazie Valentina, sono davvero felice che tu abbia apprezzato il mio racconto e ti abbia catturata!