Premio Racconti nella Rete 2013 “Una musica nella notte” di Federico Bianca
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013
Roger Madison, seduto sul sedile posteriore, osservava, per l’ultima volta nella sua vita, l’afosa e solitaria notte di luglio che, inquadrata per un attimo nell’intelaiatura del finestrino abbassato, fuggiva subito via. Adesso era finalmente calmo. Erano passate l’ansia e la paura che lo avevano accompagnato da quando, circa un’ora prima, Jack Palazzo ed i suoi due tirapiedi lo avevano prelevato da casa. Gli schiaffi, i pugni, le urla, le bestemmie, gli occhiali frantumati, le stanze a soqquadro, il sangue che, grondando dal naso, gli aveva riempito la bocca: a Roger sembravano i fastidiosi strascichi di un vecchio brutto sogno. Cosa era successo, in fondo, di così eclatante? Davvero nulla, a paragone dell’eternità che, forse, lo avrebbe atteso da lì a breve. Cosa c’era, dopo? Il nulla o il tutto? Eppure, adesso, anche questo problema gli sembrava lontano, insignificante. Voleva pensare a Sylvie, sua figlia. “…lo spero davvero per te, mi dispiacerebbe, credimi, Madison”. La catarrosa voce dell’anziano boss Palazzo riuscì a superare il silenzioso isolamento della mente di Roger, grazie alla sue insinuanti incrinature per la perenne faringite causata dall’abuso di sigari e dell’alcol di contrabbando e di pessima qualità. L’istintiva timidezza di Roger gli fece chiedere: “Come dice, signore?”. Tutti sghignazzarono. Tony, seduto alla sua destra, gli diede una violenta gomitata sul fianco e gli alitò all’orecchio: “Ora ci divertiremo”. L’umida e putrescente zaffata di alcol lo tranquillizzò, gli ricordò che il mondo in cui muoveva i suoi ultimo passi, in fin dei conti, non era un granché e che, dunque, poteva concentrarsi sull’unica cosa bella della vita, Sylvie. La berlina nera procedeva veloce nell’oscurità, i fari fendevano la notte in agguato nelle curve che sagomavamo, serpeggiando, la strada che si perdeva nella lontana e sconosciuta campagna. Certo, era ancora difficile pensare a sua figlia, mentre Jim guidava concentrato, lo sguardo miope che cercava di superare le spesse ed inutili lenti degli occhiali, Tony manovrava uno stuzzicadenti tra gli ampi spazi degli incisivi e Jack Palazzo si sforzava, blaterando oscenità tra se e se, di vincere i soprassalti di sonnolenza che gli facevano ciondolare il capo. Eppure, questa era stata la sua vita per tanti e tanti anni. Possibile? Forse stava sognando…Roger sospirò debolmente, appoggiò la schiena al morbido schienale, chiuse gli occhi, si abbandonò ai ricordi. Un matrimonio con la ragazza sbagliata, la morte della moglie, una bambina difficile da crescere, da solo, la crisi del ’29, il lavoro di assicuratore bruciato…La sua coscienza non aveva abbassato la guardia, si era votata ed adeguata allegramente all’impiego di contabile per un piccolo gangster di periferia. Il proibizionismo, la crisi e la guerra se ne erano poi andati, ma lui non aveva rinunciato al suo lavoro. Quanti anni erano trascorsi?…Quindici?! Sì, sì…il calcolo era esatto, quindici anni…Ma anche in questo caso si poteva sbagliare…Avevano tanta reale importanza le date? Quanti anni aveva? Quarantasette? Sì, pensava così. Un acidulo rigurgito gli fece riaprire gli occhi, arrabbiato. Non era giusto! Come aveva potuto rovinarsi così, con le sue mani? Perché? Non poteva morire! Che vita era stata la sua? Si sentì avvampare, i suoi pugni si strinsero sulle ginocchia, voleva vendicarsi, ribellarsi, fargliela pagare. Un gruppo di straccioni trogloditi, ignoranti, ubriaconi, inutilmente violenti…Era stato solo grazie a lui che non si erano scannati, così stupidi da non sapere neanche tirare una riga e fare la somma dei numeri. Lui ne aveva approfittato, aveva rubacchiato, rubato, a man salva, e nessuno, ovviamente, era stato in grado di accorgersene. Li aveva tenuti in pugno, era lui a dare i soldi per le armi, le automobili, le ragazze, le feste, i regali…Non poteva finire così. L’orgoglio, l’odio, la paura e l’istinto di sopravvivenza si fusero, brividi di febbre e di ansia gli corsero lungo la schiena, refrigerandolo e rincuorandolo. L’ira risvegliò il suo corpo e, quindi, il dolore delle percosse subite e, con esso, la consapevolezza che non aveva speranze, dopo quello che aveva fatto. Già…perché aveva rubato l’intera cassa della banda, per lasciare i soldi, in una scatola di cartone, sul letto di Sylvie? Il finestrino abbassato lasciava entrare lente folate di aria appena fresca che si mescolavano alle presenze dei quattro uomini. L’abitacolo tiepido, la certezza della morte, l’inutilità di tutta la sua vita, l’odio di Sylvie, il rollio del motore calmarono definitivamente Madison. Ricordava vagamente, attraverso una dissolvenza di squallidi colori scuri, i gesti nel suo ufficio: le mani che svuotano la cassaforte e riempiono una logora borsa di pelle, le pareti spoglie, i rumori e le risate provenienti dall’altra stanza, Shirley che, imbellettata come sempre troppo vistosamente, cerca di trattenerlo, già ubriaca e su di giri, Palazzo che, vincendo la tosse, stava raccontando una ridicola ed inverosimile rapina giovanile…Poi, come d’incanto, la scatola poggiata sul letto di Sylvie, un biglietto scarabocchiato a matita con le istruzioni da seguire, accanto…Un violento conato di vomito scaraventò Madison in avanti, come se un altro pugno di Tony lo avesse bersagliato sullo stomaco. Era stato nuovamente assalito dall’immagine del volto furente della figlia che lo malediceva, tra le lacrime, urlando sulla morte della madre, la delinquenza del padre, la vergogna, il disonore, la libertà, la fuga, la vita da ricostruire…Ma da dove diavolo ha tirato fuori tutte queste parole?, aveva tentato di difendersi, dentro di se, Madison, incapace di interrompere la crisi della figlia, culminata in una corsa, la porta sbattuta, se stesso schiantato sulla poltrona, la bottiglia di whisky quale unica compagna per il resto della giornata…Era accaduto una settimana prima. Da allora, Sylvie si era chiusa nel più ostentato mutismo. Madison alzava le spalle, incurante, troppo impegnato nella revisione dei conti della banda. Ma cosa lo aveva spinto al furto ed al dono? Cosa? Si chiedeva angosciato l’uomo, mentre la berlina si fermava davanti un piccolo casolare isolato e buio. “Scendi, Roger. Come vedi, non scherzavo”, disse Palazzo. Tony e Jim, spintonando il prigioniero, lo fecero entrare nel piccolo capanno, fortemente illuminato da una lampada a petrolio. Lentamente, i due lo legarono ad una sedia, rimanendo in piedi di fronte a lui, mentre il vecchio, a fatica, si metteva a cavalcioni sull’unica altra sedia: “Roger, per l’ultima volta…Dove hai messo i soldi?”. Madison era irritato, quegli imbecilli gli impedivano di riflettere. Tony, una colonna di quarti di dollaro chiusi nel pugno, abbatté il pugno sullo zigomo sinistro di Roger, fratturandolo in più punti. Il dolore era insopportabile, ma l’uomo resistette: doveva pur esserci una spiegazione. Jim gli calò il tirapugni sulla clavicola destra, fracassandogliela. Roger urlò disperato, ma una parte del suo cervello continuava nella ricerca. “Roger, Cristo santo! Parla! Ti giuro che non ti ammazzo!”. Sorprendentemente, il tono del gangster era sincero…Sylvie era viziata, vanitosa, maleducata, prepotente…era vissuta sempre nella bambagia, non se ne era mai lamentata, non aveva mai fatto troppe domande sul misterioso impiego del padre, come non ne ponevano nella sfarzosa scuola privata in cui si era diplomata…e quella scenata, allora? Madison non era più in grado di distinguere chi fosse a martellarlo di pugni sul viso, il naso, la mascella, la mandibola, il collo. Aveva la bocca inondata di sangue, sentiva i frammenti dei denti spezzati che gli squarciavano la lingua. “Parla! Dove sono quei soldi?”: le urla giungevano ormai attutite. Che strano…Ora Sylvie era una bambina, vestita di bianco, pregava in chiesa, la prima comunione…Ma cosa c’entrava tutto ciò? Madison era riverso a terra, Tony gli aveva sferrato un calcio nello stomaco. Una secchiata d’acqua non riuscì ad allontanarlo dallo stretto sentiero senza ritorno in cui si era incamminato l’uomo…Sylvie sorrideva felice, giocava con un pallone sul prato davanti casa, lo chiamava, lo salutava con la mano…Madison era sereno, si godeva lo spettacolo, non si faceva più domande. Il corpo ormai insensibile non registrava più i calci che gli rompevano le coste. Roger era con la sua bambina, giocavano a palla in giardino. Il male, la violenza, le rapine, la droga, il contrabbando, il racket, il gioco d’azzardo, la prostituzione erano lontani, scomparsi. Un attimo prima di morire, Madison seppe di essere finalmente un uomo libero. Mentre scivolava in un mare di tenebre su un’alba di luce, il suo ultimo desiderio sensibile fu pronunciare il nome della figlia. “È morto”, disse Jim, accovacciato accanto al corpo di Roger. Palazzo sputò a terra. Aprì una finestra ed accese una vecchia radio poggiata sulle tavole del pavimento. Una melodia jazz di successo si diffuse lentamente nella notte della campagna buia.
…gran bel noir anni ’40. Mi è piaciuto tantissimo complimenti ed auguri per il concorso Federico!!
Veramente un bel racconto federico, originale , fluido, serrato.
Mi è piaciuto molto. Bravo anche nel delineare i personaggi.
Complimenti!
marco
…ringrazio Eleonora e Marco per le belle, affettuose e graditissime parole!
Grazie davvero!
Un abbraccio! :-)!
federico