Premio Racconti per Corti 2013 “Il perdono” di Emanuele Ratti
Categoria: Premio Racconti per Corti 2013
In quel giorno d‘inverno, il sole era luminoso e le spire vagamente calde del vento portavano la sabbia del deserto africano.
Come ogni sabato mattina, Luca aveva condotto al parco comunale Luigi, il figlioletto di tre anni e, dopo averlo fatto divertire sull’altalena, l’aveva lasciato giocare sullo scivolo e si era messo a leggere il giornale sulla panchina, al centro dell’area.
Le sferzate di quel vento vagabondo portarono improvvisamente ai piedi di Luca un foglio grande come la pagina di un quotidiano, dapprima facendolo volteggiare in aria e poi scagliandolo a terra con un botto, accanto al passeggino.
Luca iniziò a leggere l’avviso funebre: “è mancata all’affetto dei suoi cari, Anna Maria…” e poi continuò sottovoce; erano la condivisione di un lutto per lenire la sofferenza di chi aveva un famigliare abbandonato dalla vita terrena e la richiesta di preghiere per condurre a Dio l’anima immortale del defunto.
Subito dopo, il foglio fu preso dal vento e scivolò nell’aria come un drappo, quasi fosse trascinato da mani invisibili.
“Anna Maria? È la padrona della villa costruita all’inizio del ‘900 e situata vicino a questo parco comunale.”
Luca prese a leggere il primo foglio del giornale, ma di lì a poco, girando le pagine ed alzando lo sguardo, scorse l’edificio oltre la siepe di confine e si disse: “Ah, è morta la signorina Anna Maria Mauri”.
Riaffiorò così nella sua mente il volto della donna novantenne che offriva a tutti, qualche anno prima, il sorriso dolce di nonna.
“Papà, il lenzuolino vola”. Le parole del figlio gli giunsero dallo scivolo e chiusero quell’improvvisa immagine.
L’uomo osservò la pezzuola che, risucchiata al passeggino, svolazzava nel vento eludendo le leggi dell’aerodinamica e della forza di gravità; la vide cadere e infine fermarsi cavalcioni sul filo metallico della vite, nel giardino di proprietà Mauri. Sull’angolo della pezzuola erano visibili due lettere maiuscole “LM”, ricamate con filo rosso.
“Vieni Luigi, andiamo a recuperare il lenzuolino.”
Luca prese il figlio per mano e, raggiunto l’ingresso della Villa Mauri, varcarono insieme il cancelletto aperto su cui erano appesi un addobbo funebre ed un piccolo manifesto, recante un testo a lui noto da poco.
Entrando in casa, Luca ricordò le parole di Vincenzo, carabiniere in pensione, che tanti anni prima lo informarono della denuncia fatta a suo papà Luigi dalla signora Anna Maria per il furto di due verze dal giardino dove fu trovato, un dì di febbraio, un fazzoletto con il ricamo “LM”.
Quell’accusa portò rabbia e rancore perché veniva compromessa la condizione di disoccupato di Luigi; il Maresciallo Guicciardi, però, scagionò l’uomo rilevando che le impronte erano grandi per lui e che nel giorno del furto il sospettato era in ospedale.
Luca lasciò il figlio con una conoscente in salotto e raggiunse il gruppo di preghiera, in tempo, per terminare il Rosario con cui si affidava l’anima di Anna Maria alla misericordia di Dio mentre il corpo di lei giaceva sul letto senza vita.
L’uomo si accomiatò dai parenti della defunta e, sentendo la loro sofferenza, li abbracciò e disse loro parole di conforto; poi si diresse subito con Luigi al parco comunale per riprendersi la pezzuola deposta dal vento sulla panchina e vide l’avviso funebre tra gli arbusti di un giardino della via.
Tornando a casa, Luca si sentì pervaso di serenità, libero da ogni rancore e rabbia, e allora ringraziò Dio del dono del perdono, utile alla riconciliazione ed al rito di purificazione.
Il vento porta in giro un avviso funebre per farlo leggere alle persone, distratte e chiuse nei loro problemi, e quando non ottiene il risultato sperato ricorre a stratagemmi particolari, legati a episodi del passato. Gli uomini perdonino le colpe del defunto, anche per i comportamenti che li hanno coinvolti con sofferenza, e preghino Dio di ricevere l’anima immortale, data l’eccezionalità degli eventi.
Bel pezzo. Messaggio chiaro e significativo.
concordo col commento di emanuele, metafora forte è quella che riempe questo racconto di significato. Il bambino e i vecchi, rappresentano secondo me la linea infinita della vita, che pare finisca e invece ha un inizio costante, si rigenera da se stessa.
buon lavoro, dal quale si potrebbe imbastire un racconto lungo con spicchi di vita di almeno tre generazioni diverse.
Sì, un corto insolito che lascia riflettere. Nulla accade di eclatante ma poi, ci si rende conto che molto è, invece, accaduto. Sottovoce.
Verrebbe fuori un bel corto muto, con gli esterni stile Mallick e gli interni, a casa delle morta, stile Suspiria (per quanto riguarda la fotografia, i colori). Me lo immagino così, forse un’idea poco coerente, però questa contraddizione stilistica potrebbe esaltare al meglio il contrasto tra la vita e la morte.
Ciao Matteo, voglio ricordarti che l’argomento del racconto non è il contrasto tra la vita e la morte; per altro considero la vita e la morte, come le due facce dell’esistenza. E’ vero che le facce della moneta sono contrapposte ma le loro superfici sono in continuità dopo un piccolo spazio, lo spessore, e che la diversità delle due facce dà il valore finanziario ed artistico della moneta.
L’argomento del racconto è il perdono che è una condizione facoltativa tra i vivi mentre è indispensabile per i defunti. Qui entra in gioco il vento che, spostando l’avviso funebre e la pezzuola, coinvolge Luca per concedere il perdono ad Anna Maria che ha avuto comportamenti offensivi nei confronti del padre Luigi. Il vento ha spostato l’avviso in un altro giardino perchè c’è bisogno di un altro perdono e così di seguito.
Grazie Matteo per avermi dato lo spunto di fornire queste precisazioni. Ciao.
Emanuele.
Ciao Emanuele, grazie per i chiarimenti,ma l’argomento, cioè il perdono, viene fuori molto bene e io l’ho colto. Mi ero spinto un po’ avanti pensando alla realizzazione del corto; lo vedrei in quel modo lì che ti ho detto. Diciamo che mi sono fatto trasportare dalla visione, e devo dire che è stato proprio il vento (elemento cardine del tuo racconto,e molto poetico) a farmi “vedere” il corto. Le mie erano idee sulla realizzazione visiva del soggetto. Per quanto riguarda il perdono come condizione indispensabile per i defunti non saprei. Certo, se si tratta di colpe perdonabili anche quando erano vivi, è d’obbligo perdonare i defunti, ma se si tratta di colpe imperdonabili, di crimini contro l’umanità, se il defunto è, ad esempio, un sanguinario dittatore, o un omicida a sangue freddo, è giusto perdonare solo perché il tiranno o l’assassino è morto? Non so. Penso che la morte non cancelli colpe le cui conseguenze si facciano ancora sentire per i vivi. Se il perdono scaturisce da una sincera comprensione, diciamo empatia, credo sia meglio perdonare quando il colpevole è ancora in vita, anche se è difficile, doloroso anche; ma il perdono è difficile e doloroso. Grazie a te Emanuele e complimenti anche per le riflessioni che pone il tuo racconto.
Ciao Matteo, ti ringrazio per quanto mi hai scritto. Il mio intervento precedente non voleva essere una puntulizzazione polemica ma un’occasione di riflessione mentre sulle questioni tecniche non mi sento competente. Leggo con piacere e interesse la tua riiflessione e ti dico che anch’io condanno i crimini contro l’umanità ed il dittatore sanguinario e che ritengo meglio perdonare il colpevole quando è in vita, ma, come anche tu dici, in certi casi è difficile e doloroso.
Ciao
Mi complimento, Emanuele (nome importante), per aver raccontato di un perdono.
Per – dono, quando è sentito e sincero è il dono per eccellenza più elevato che un essere umano può concedere a un suo simile. Ma in primis è un dono elargito a noi stessi. Solo in questo modo ci si libera da una catena invisibile che si passa in eredità alle generazioni successive, aggiungendo maglia a maglia. I nostri figli ereditano a volte un lenzuolino, un fazzoletto (io li ho visti simboli di questo passaggio di eredità), a volte un corredo intero. In tante occasioni portiamo rancore e non perdoniamo colpe a qualcuno che ignora perfino di averle commesse. Nutriamo un tumore che corrode noi innanzitutto.
E mi spingo oltre, si possono perdonare anche i crimini più efferati e terribili. Se uscissimo dal giudizio, dal bene e male, se fossimo nell’accettazione di tutto ciò che accade come pura esperienza di anime che stanno vivendo un’esperienza terrena, anche il brutto, il dolore, il difficile non avrebbero più ragione di esistere. Solo Dio ci giudicherà e solo a Lui renderemo conto.
Qui ci starebbe bene un bel AMEN. Si deve sempre sdrammatizzare, credo io.
In bocca al lupo, Emanuele.
Un caro saluto.
Marcella
Emanuele,
singolare, e ben congegnato.
Importante, essere capaci di perdono. Essenziale.
Segno di forza e non di debolezza.
Rabbia, rancori e risentimenti costruiscono gabbie tutto intorno a noi, mura tanto spesse e robuste che non riusciremmo mai a spezzare.
Se non riuscissimo a lasciar andare.
Arriva il momento, arriva – alle volte è un manifesto funebre in faccia. Tutti dobbiamo essere capaci di perdonare, per continuare a vivere.
Auguri,
Nikki
in effetti… la miglior vendetta è il perdono!
Bel racconto descritto molto bene e con un tocco di freschezza. Parole chiare e dirette per un messaggio che non deve avere fronzoli: il perdono! Ottimo racconto!
Ciao Emanuele, mi permetto di riscrivere solo per dire che non avevo preso la tua risposta al mio primo commento come una puntualizzazione polemica, anzi! Infatti ho risposto proprio perché mi è sembrata un’occasione di riflessione. Devo dire che quando perdono, ed è capitato, a volte :), mi sento più forte, superiore alle mie capacità. Cioè non so spiegare, ma ci provo: sento come un calore crescere crescere e crescere dentro di me, è come se mi sollevassi e mi affrancassi dai miei limiti. Per questo è sempre più bello perdonare prima che sia troppo tardi, per condividere la gioia con la persona che ho perdonato, perché so come ci si sente dall’altra parte, ad essere perdonati: ci si sente bene, sollevati, in armonia. Ma per me è ancora impossibile perdonare chi perpetua il male scientemente, quelli che feriscono con la precisa volontà di ferire, perché so che è sbagliato, è senza dubbi sbagliato. Chissà, un giorno raggiungerò l’atarassia, l’apatia dei santi o degli antichi saggi 🙂 Emanuele hai scritto su un tema veramente tosto, che apre grossi dibattiti, e in più l’hai fatto bene. Ciao
Emanuele, mi rimetto in mezzo, perdonami!
Vorrei aggiungere che in questo nostro mondo, come lo vediamo e percepiamo, esiste il male e bene, il buono e cattivo. A mio figlio insegno cosa è giusto e cosa è sbagliato. Ma chissà, in un altro giro, un’altra possibilità, potrebbe accadere che non ci sia più bisogno di perdonare… se non esiste colpa alcuna. In questo giro non penso di riuscire a raggiungere l’atarassia, caro Matteo… però chissà, dico anch’io. Intanto a quello anelo attendendo un balzo quantico.
E il dibattito potrebbe continuare all’infinito…
Ciao Matteo, apprezzo molto i commenti al racconto qui riportati. Mi sento di dire che gli interventi di Marcella e di Nikki sono particolarmente significativi, il perdono dà salvezza (e salute) e libera l’animo dalla sofferenza sopratutto per chi lo esprime, l’odio avvelena la mente, inacidisce il corpo e porta malattia e sofferenza.
Tu ed io siamo in sintonia davanti a questo sentimento. Non è facile perdonare, accettare con un sorriso l’ammissione di colpa, chi ha fatto del male e, sopratutto, chi ci ha fatto del male. Come si può perdonare chi non ammette le proprie colpe, chi non si ravvede come i tiranni ?
Posso sentirmi tranquillo a lasciare il giudizio alla Storia? Speriamo che gli uomini sappiano sempre distinguere il Bene dal Male, in ogni epoca. Il perdono è un sentimento grande che per esprimersi deve vincere la rabbia e le forze utili alla nostra sopravvivenza.
Grazie. Emanuele
Bello, lineare e di grande impatto emotivo. Complimenti. Anch’io penso che il perdono sia fondamentale. Ancora di più quando l’ingiustizia subita sembra insopportabile.
Un caro saluto
Alessandra
Emanuele, il tuo racconto ha generato un dibattito che, come dice Marcella, potrebbe continuare all’infinito!! 🙂 Grande merito!! E’ proprio come dici tu, la chiave, secondo me, sta nella distinzione tra Bene e Male. E quindi il problema è la Giustizia. In quel senso dico che in certi casi il perdono andrebbe lasciato a Dio, diciamo così. Cioè, per me sarebbe mostruoso perdonare un Videla, o un Pinochet, per citare i primi nomi che mi vengono in mente. Mostruoso, o divino, appunto. Io provo a mettermi nei panni di chi ha sofferto l’uccisione o il sequestro di figli, mogli, sorelle fratelli madri padri: come posso pretendere che perdonino gli uomini che hanno causato un dolore che non si placherà mai? Certamente esiste qualcuno che ci sarà riuscito, e guardo a questo qualcuno come a un santo, a qualcosa che va oltre la mia comprensione attuale, magari da venerare, da ammirare. Ma sono certo che la maggior parte non riuscirà a perdonare, in quei casi lì. Perché siamo uomini. Per questo la Giustizia dovrebbe essere fondamento di una comunità che vuole vivere in pace. Giustizia che, lo dico a scanso di equivoci, nella mia idea non prevede la pena di morte nemmeno per Videla. Ma nemmeno il suo perdono, perché se il perdono diventa la miglior vendetta, beh allora non è più perdono, ma è strumento della propria vendetta. Secondo il perdono deve essere sincero e disinteressato. Mamma mia che sproloquio!!:) Perdonami (è proprio il caso di dirlo:)) Emanuele se ho sfruttato il tuo spazio per completare un mio pensiero, e anche di essere andato un po’ fuori tema rispetto al tuo racconto, che non parla di tiranni, però credo che puoi essere fiero di aver prodotto un confronto tanto sfaccettato e tanto ricco di opinioni diverse. Grazie!
L’ho letto inizialmente senza leggere che fosse un corto, ma è molto ben scritto tanto che ho immaginato subito visivamente il bambino, il parco, la villa, persino l’anziana
L’idea è molto buona ed è anche originale.
Il racconto è scritto bene, si sviluppa in modo coerente e lo trovo molto adatto alla rappresentazione in immagini.
E’ un brano gradevole ma profondo, che lascia molti spunti di riflessione come dimostra la discussione che ne è scaturita.
Un’accusa infamante è quanto di peggio possa capitare a una persona.
A volte rimane confinata nella zona torbida delle insinuazioni e non ti lascia nemmeno la possibilità di difenderti.
In questo caso è stato anche fortunato Luigi, perché c’è stato un maresciallo che ha accertato la verità dei fatti e lo ha potuto scagionare.
Sul tema del perdono ci si potrebbe scrivere per ore.
Devo dire che perdonare dopo la morte del “colpevole” è molto più facile, perché subentra anche quel sentimento di pietà che in genere non si nega a nessun defunto.
Nel caso specifico, sarebbe stato interessante vedere la reazione di Luca se avesse incontrato Anna Maria e magari le avesse sentito lanciare di nuovo accuse pervicaci contro il padre, al ricordo di quell’episodio. In questo caso il perdono sarebbe certamente stato molto più difficile.
Però è anche vero che il figlio di Luigi non si limita a un perdono interiore, il suo non rimane un atteggiamento compassionevole ma passivo.
Lui si reca dai familiari, li conforta, traduce in atti sostanziali il suo perdono, aumentandone di molto il valore umano.
Da questi gesti il lettore percepisce anche una sua bontà d’animo.
Il tema del perdono si presta ancora a moltissime riflessioni, però mi fermo qui.
Chiudo nel dire che è un bellissimo racconto e credo sarebbe anche un ottimo corto.
Ciao
Avete parlato tutti tanto e tanto bene del perdono ed io condivido, il perdono è necessario, è un atto da agire.
Si tratta di qualcosa di grande però, di qualcosa di molto molto grande, tanto da maturare con molta molta lentezza in molte molte stagioni.
Quando ti senti di nuovo soffice allora vuol dire che hai perdonato.
io presumo così.
Grazie Emanuele e auguri.
Caro Emanuele.
Nel passato (non sono giovanissimo) ho diretto come regista (ma sono stato anche attore ed autore di commedie) una compagnia teatrale amatoriale. Leggendo il Tuo ‘corto’ ho avuto subito la sensazione d’aver scorso lo spartito di qualche scena cinematografica del grande Bergman. E’ chiaro il messaggio, ma è ancora più chiaro che ogni lettore/spettatore deve farlo proprio al di là delle parole e dei gesti. Perdono, circostanze fortuite, voce di bimbo, ricordi… Poco importa che a qualcuno appaia più preponderante la vita o il perdono o la morte o una preghiera a Dio. E’ una scheggia di corteccia dell’albero della vita, che ha un valore suo proprio. Mi complimento per lo stile e per quell’attimo di riflessione al quale mi ha invitato. Ti concedo il merito di ciò. Brunello
Un fermo immagine anch’io vi ho scorto, ma che punta il dito proprio al fluire del tempo, come non si possa mai determinare che tipo di anse assumerà l’umano cammino, hai fatto parlare le parole, come i grandi scrittori hanno saputo, e che sono anelli della stessa catena, di cui tutti fanno parte, e a cui nessuno può sottrarsi.M
Racconto ben scritto Emanuele e sarebbe molto bello vederlo realizzato come corto. Riuscire a perdonare è dimostrazione di aver raggiunto una maturità tale da permettere di potersi liberare di ogni rancore, dando prova di grande bontà d’animo anche se credo che in certi casi tutto questo non basti e sia veramente difficile poterlo fare.
Emanuele io vedo il tuo corto in bianco e nero (anche se il lenzuolino è viola). Sarà per lo stile di scrittura e il lessico; l’immagine comunque scorre lenta ma leggera e invita all’attenzione ai particolari, più per l’aspetto visivo che per il valore dato al perdono, chiaramente espresso nel finale. Quest’ultimo è comunque da leggere come momento di riflessione per chi legge/guarda, e l’effetto-discussione l’hai già ottenuto qui, nei vari commenti.
Silvia
Perdono è sempre una parola che pochi conoscono, è bello fermarsi a rifletterci un po’ sopra. Grazie per avermi dato uno spunto di riflessione. Complimenti per il pezzo!
Mi è piaciuto il modo in cui hai inserito il vento nel pezzo attribuendogli la valenza di forza superiore, come se fosse un messaggero divino che spinge i vivi a perdonare.
Complimenti!
Ilenia
La scoperta, a due giorni dalla scadenza, del concorso “Racconti nella rete” e “Racconti per corti” è stato l’epilogo di una lunga ricerca di soggetti e racconti cinematografici per soddisfare una mia curiosità: capire come fosse possibile trasmettere e vedere emozioni e immagini attraverso le parole; vedere il film sulla carta, scoprirne la genesi prima della sua realizzazione, ripercorrere a ritroso i vari passaggi: sceneggiatura, trattamento, soggetto, racconto. E sono stata incerta fino in fondo a quale delle due sezioni partecipare.
Questo tuo racconto, Emanuele, soddisfa appieno la mia curiosità e non solo. Lo trovo molto bello, lascia quel buon saporino in bocca come quando esci dal cinema dopo aver visto un bel film. È veramente godibile e proprio come davanti a un film vedi scorrere i fotogrammi tra le righe. Devo dirti, che dopo avere visto il tuo nome nel commento al mio racconto, sono andata subito a leggerti, facendo la ricerca per nome e non mi ero accorta che si trattava di un corto.
C’è un che di magico e misterioso, un cerchio che si chiude, ma non del tutto; resta qualcosa come sospeso, sarà il vento, una presenza divina, coincidenze, ll potere sciamanico del perdono come atto di guarigione per le ferite dell’anima che continua ad avere effetto anche dopo aver terminato la lettura:
In bocca al Lupo.
Marzia Pasticcini (“Una cartolina per le stelle”)