Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2013 “Quando il diavolo ti accarezza” di Marta Santomauro

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013

Sono venuto pure io oggi.

In mezzo a questa folla scossa tra mazzi di rose bianche e pizzi neri.

“Povero don Angiulino” bisbigliano le comari tra un urlo di disperazione e un tuffo nel fazzoletto immacolato.

“Maronna… una disgrazia, questa è una disgrazia!”

Vecchie in processione sfilano rosari scuotendo la testa. Gli uomini si calano il cappello sugli occhi, fumano appoggiati agli angoli della piazza, con lo sguardo che si puccia nelle pozzanghere, per pudore.

Piove dritto e grigio.

Tutta Castellabbate è inebetita dalla notizia del brutale omicidio di don Angelo.

“Pare che siano stati quelli di satana, le belve come si chiamano, sono arrivate pure qui! Quello don Angiulino era una brava persona veramente. Lo hanno sacrificato alla luna, quant’è vero iddio.”

“Sì, sant’uomo, lo hanno trovato senza mani, gliele hanno tagliate, povera all’anima sua, come un ladro gliele hanno fatte saltare.”

“Chissà dove sono finite poi, che neanche le hanno trovate i poliziotti, Gesù che brutta cosa!”

Mi perdo tra le voci della folla.

 

Le mani di don Angelo me le ricordo molto bene.

Erano le mani di uno del nord, che la terra non l’ha mai toccata, solo i libri sfogliavano le mani di don Angelo.

Rugose, come carte geografiche, coperte da uno strato di pelle così sottile che ci vedevi il sangue scorrere sotto, dentro le vene, come fiumi timidi.

Da quando mamma era morta era lui che si preoccupava di me.

Papà viveva praticamente sempre dentro la sua officina, non usciva mai da lì e alle volte lo sentivo, al buio, che piangeva e ripeteva sottovoce perché, perché.

Era diventato vecchio in una notte sola, e i suoi occhi si muovevano come biglie lanciate a caso sulla sabbia.

Io e mia sorella Rosetta ce la cavavamo a modo nostro.

Lei era fidanzata con Nicola o’Saponaro e la notte impastava il pane al forno, ma presto si sarebbero sposati e se ne sarebbero andati a vivere in città, che lì la vita è meglio, mi diceva sempre, con gli occhi luccicanti come se stesse guardando il mare.

“Quando le cose andranno bene ti farò venire da noi, Anto’, te lo prometto” mi diceva accarezzandomi veloce la testa con le mani fatte di farina, “sarai lo zio preferito dei miei figli, vedrai. Ne voglio almeno tre, un maschio e due femmine!”

Si mordeva le labbra rosa, forte, con tutti i denti. A trattenere la bugia che mi stava raccontando. Perché non lo sapeva, Rosetta, che stavo nascosto dietro la porta del negozio, settimana scorsa, mentre si appiccicava con Nicola. Li avevo sentiti tutti i suoi ruggiti, che quello mica mi voleva, a me, dentro casa sua.  “La famiglia è la nostra, quella che ci facciamo io e te, Rose’, non quella che ti porti appresso dalla sfortune tue” ripeteva con la bocca tanto spalancata che vedevo volare pulci di saliva dalla sua lingua, per tutta la stanza.

Io cercavo di non sentire che rumore fa essere abbandonati a se stessi.

 

Prima facevo il garzone per Mast’Achille. Lui era un uomo duro, ma dal cuore buono e mi curava come fossi figlio suo, che di figli non ne aveva.

Io gli facevo le commesse, lo accompagnavo sul trattore quando dovevamo andare in campagna e lui mi dava patate e cipolle in cambio.

Quando andava bene anche due monete.

Poi don Angelo aveva cominciato con questa storia che dovevo studiare.

Mi aveva fatto trasferire dentro casa sua e diceva che mi insegnava la scienza.

Diceva che ero intelligente e che sarei diventato uno importante se avessi fatto come mi indicava lui.

A me dispiaceva lasciare Mast’Achille, ma dentro alla casa di don Angelo avevo una stanza tutta mia con una coperta ripiena di piume sul letto, e anche una stufa. E la domenica, dopo la messa mi potevo pure mangiare l’uva appassita, che era un sogno per me.

Don Angelo mi leggeva i libri e mi insegnava a scrivere.

Verso le cinque di ogni pomeriggio, io andavo a trovare Mast’Achille che tornava dalla campagna, gli raccontavo le cose che imparavo e ogni tanto gli portavo pure le caramelle al rabarbaro che rubavo dalla dispensa di don Angelo.

Ci andavo di nascosto perché don Angelo non voleva che mi mischiassi con la gente di terra. Era una regola, diceva, che le teste stanno con le teste e le mani con le mani.

Mast’Achille mi faceva sedere al volante del trattore, mentre scaricava il retro dagli attrezzi e dai cesti pieni di verdura fresca, io gli parlavo di Pirandello e di Pascoli.

Lui sorrideva sotto al naso tondo tondo e scuoteva la testa, senza dire niente.

Mi faceva bere le uova fresche direttamente dal guscio, pure se ancora erano sporche di pollaio. Diceva che mi facevano forte e io lo ascoltavo, anche se un po’ mi faceva venire i brividi  quel gusto crudo e viscido sulla lingua.

Ogni tanto gli luccicavano pure gli occhi, quando gli recitavo Cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non ritorna e io mi sentivo che così era la vita, con le regole da infrangere, le poesie e le uova crude che puzzano di merda.

Il giorno prima di morire stroncato da un infarto, Mast’Achille mi disse: “Anto’, figlio mio, una cosa della vita ti devi imparare bene. Sono spesso le cose che non ti aspetti, quelle che ti faranno soffrire di più. Devi stare molto attento, non fidarti di nessuno. Ricordati bene quello che ti dico, Anto’, che quann’ ‘o diavulo t’accarezza, vole l’ ànema”.

Quando il diavolo ti accarezza, vuole l’anima.

Ma non l’avevo mica capito, cosa voleva dirmi.

Non l’ho capito fino al giorno in cui don Angelo ha cominciato a dire che avevo il male dentro.

Che tutte le sventure che mi erano capitate mi avevano messo il diavolo in corpo, e che solo lui poteva curarmelo, che sarebbe andato tutto bene e che poi me ne potevo pure andare al mare a nuotare, che non affogavo più.

Don Angelo era uno che sapeva le cose del mondo e io volevo stare felice nella vita,  raccogliere i ricci dietro gli scogli di Castellabbate, e pure andare bene a scuola e fidanzarmi con Annarella.

Diceva che ci pensava lui e io sospettavo che allora era pure magico, don Angelo. Prima di addormentarmi, parlavo nella mia testa a Mast’Achille e gli raccontavo che ero proprio fortunato perché era me che don Angelo voleva aggiustare, e adesso che non c’era più nemmeno lui avevo bisogno di tornare tutto intero.

Io me ne dovevo stare zitto, diceva, e lui avrebbe fatto passare tutto.

Prima con le mani.

Le sue mani di carta crespa, secche e lunghe.

Poi con la bocca.

Poi con tutto il suo corpo.

Mi premeva dentro.

Diceva che se mi faceva urlare, era un bene, che era il male che se ne stava uscendo e allora doveva spingere ancora, e ancora.

E di nuovo con quelle mani.

Sono diventate il mio incubo.

Io non capivo come poteva mettermi a posto se mi sentivo che ogni volta mi rompeva un pezzo in più.

Ma me ne stavo zitto.

Come diceva lui.

Ingoiavo le lacrime e nascondevo la testa nei suoi libri.

Sono stato zitto vent’anni.

Fino all’altra notte.

 

Io lo so, dove sono finite le mani di quel sant’uomo di don Angelo.

Le troveranno, sporche, tra i fiori bianchi.

Voglio vedere la faccia che faranno. Quando capiranno.

Gli ho tolto le carezze perché non facessero più male a nessuno.

L’ho lasciato urlare, come mi ha insegnato lui. Così il male se n’è uscito pure dal suo corpo vecchio e pieno di spigoli.

 

E adesso che ho saldato i miei conti con il diavolo, andrò a mettere un fiore sulla tomba di Mast’Achille.

Pace all’anima sua.

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23 commenti »

  1. Sento l’odore delle uova qui nell’aria. Vedo i personaggi e sento le loro voci e i loro toni dialettali. Molto intenso e ben scritto… Complimenti!

  2. Questo racconto si inserisce degnamente nel filone della “revenge story”.

    Il taglio delle mani è particolarmente efficace, come immagine.
    Con le mani l’uomo non solo accarezza, ma costruisce, scrive, afferra. Un esempio classico (per rimanere in tema di violenza), raccontato da Ovidio nelle Metamorfosi: Filomela, a cui viene fatta violenza e mozzata la lingua, racconta il suo sopruso ricamando un messaggio su una tela.
    Anche per la lunga tradizione che sta dietro a questo tipo di narrazione, la scelta del soggetto e il tipo di vendetta mi hanno colpito.

    Quando poi, come Marta, si riesce a tradurre tutto questo in uno stile proprio, con una voce personale e grande chiarezza compositiva, siamo vicini all’eccellenza.

  3. Un racconto molto intenso, scritto con uno stile preciso e puntuale. Ottima la parlata dialettale che riesce a rendere benissimo l’atmosfera. La trama poi, lascia senza parole.
    Complimenti Marta, complimenti davvero!

  4. …splendido Marta..quanto duro! Scusami se non l’ho letto prima…COMPLIMENTI PER LA VINCITA MERITATISSIMA!!

  5. Scusa Marta se io ancora non lo avevo letto ….ne sono arrivati uno dopo l’altro, tantissimi, di racconti, e se qualcuno lo abbiamo intercettato solo in ritardo, non significa affatto, come vedi, che non si sappia dirne tutta la sua grandezza!
    Hai scritto davvero e davvero bene un grande racconto!
    Un tema duro, attuale, passato, di sempre, purtroppo,da te trattato in un modo molto finemente singolare e molto capace!
    Molto brava, grazie!

  6. Cara Marta, hai scritto un racconto molto bello e meritevole.

  7. Vittoria a dir poco meritatissima, complimenti!
    Racconto sempre più coinvolgente a mano a mano che si svela, anche lo stile mi piace molto, adatto a una tematica del genere.

  8. Complimenti per il tuo bellissimo racconto, Marta! Bella storia (purtroppo sempre attuale), e stile coinvolgente, mai noioso, mai scontato.

  9. Bello, Marta.
    Molto. Commovente e toccante oltre ogni dire, per quanto duro e angoloso.
    Stile realistico, brusco e diretto, come si conviene a vicende del genere.

    Tema che sento molto, moltissimo – si sarà capito, oramai; finale antitetico al mio – ‘giustizia che si fa da soli’ (piuttosto che vendetta), contro il perdono.
    Tutto può accadere, a un bimbo spezzato.
    Che trovi dentro di sé la forza di liberarsi attraverso il perdono; ma anche che quella determinazione la si trovi nel gesto del tagliarle via, quelle mani, da ‘quel corpo che spingeva per fare uscire il male’.

    Che dire, Maria, se non brava, bravissima?…
    Chapeau.
    Accesso alla passerella di Lucca meritatissimamente guadagnato.

    Nikki

  10. Bellissimo racconto. Complimenti.

  11. Impressionante. Nelle diverse accezioni del termine.
    Mi ha impressionata la storia, cruda e drammatica.
    Mi ha impressionata la tua scrittura, realistica e asciutta.
    Mi rimarrà impressa questa lettura, difficile da dimenticare.
    Mi ha fatto pensare questo Don che hai chiamato Angelo… il contrasto con il titolo… la Luce e il Buio.
    Congratulazioni.

  12. Molto bello, molto, condivido il pensiero di Nikki. Anche io ho giocato in serie A con gli abusi, da piccino, comprendo e chino il capo per tutti. Il finale non è il perdono come nella bimba spezzata di Simonetti, pezzo straordinario pure quello, ma la vendetta. Io propongo una terza via, uccidere un terzo uomo, un altro esterno al cerchio del Male. Ne dico nel mio racconto “Le mani di Eva” che va letto ascoltando la musica del duetto Hamari Donath che c’è nel video alla fine. Un saluto CEMF

  13. solo il titolo non va bene, è troppo per la gente. non il diavolo ma l’uomo. l’uomo porta Luce e Nero, Bene e Male. e il Male, in questo mondo rotto e non redento, lavora per il Divino come il Bene. CEMF

  14. Permettimi CEMF, il titolo va bene per la gente. Il Male altro da Sé. Avrei voluto aggiungere la Luce e il Buio in un solo uomo, come in tutti gli uomini. E’ questo che spaventa tutti, me compresa che mi sono fermata e ho messo un punto.

  15. troppo per la gente intendevo troppo conformato su di loro. quindi sono d’accordo con te, marcellì. 🙂 CEMF

  16. scusate, intervengo perchè stiamo toccando un punto delicato.
    vi ringrazio tutti per il tempo che state dedicando al mio racconto, per le suggestioni e l’entusiasmo.

    il titolo può andare bene, o meno, ma forse cambia poco: è una copertina, quello che ti fa decidere se fare click ed entrare o saltare alla prossima voce.

    ma noi siamo già qui dentro.
    l’uomo o la divinità (buona o cattiva che sia), l’altro dall’uomo, questo mi interessa.
    stiamo parlando di qualcosa di molto umano, che ha abbandonato la propria natura.
    è dis-umano, come dalla sua radice etimologica greca.
    è un uomo che si distacca dall’uomo, diventa qualcosa di difficile, cattivo, peggiore, lontano.
    diabolico, infine.
    ci fa paura, ci fa male per questo.
    perchè è l’uomo che degenera, degrada, abusa di se stesso prima che della propria vittima.
    diventa incontrollabile quanto una forza extra-umana, si eleva a questa forza.
    ma alla fine è ancora un uomo.
    e, come ogni uomo che sbaglia, paga.

  17. mica vero che chi sbaglia paga. troppo semplice. pagano il Mondo, le generazioni future, quasi mai o non sempre l’attore del Male. chi compie un crimine orrendo puo dire a ragione al boia:”Qualcuno doveva pur compierlo, il Male.” CEMF

  18. ci sono milioni di modi per pagare.
    non è detto che sia quello che ci aspettavamo noi.

  19. il problema secondo me è che alcuni (pure ad immaginare le punizioni più bizzarre)
    proprio NON pagano per i crimini commessi. in alcun modo. quando questo avviene, poichè l’ordine d’Amore deve sempre essere ristabilito ( si esiste per questo, no?) la sanzione si sposta nel futuro, cade sui nuovi nati e sul Mondo. CEMF

  20. e son cazzi, vorrei aggiungere con la consueta eleganza. perchè tutto diventa incontrollabile, piu profondo e segreto, mai riducibile alle equazioni colpitore/colpito umano/disumano bene/male. queste cose sono solo i diversi spartiti di un coro. si intenda. chiedo scusa ad autrice e altri per l’insistenza ma il tema è Tema. CEMF

  21. Non ci sarebbe dovuto essere un finale diverso. E’ impossibile perdonare un individuo che viola un innocente. Questa brutalità viene vissuta anche nelle mura domestiche, bambini vittime di abusi dei genitori o di altri adulti su cui ripongono la propria fiducia perché troppo soli. Piccole creature rotte nell’anima e nel corpo, avvelenati dalla troppa vergogna e dai sbagliatissimi sensi di colpa per sempre. Bravissima e complimenti per la meritata vittoria.

  22. Cara Marta, mi sto prendendo il tempo per leggere i racconti vincitori che non avevo letto e ..complimenti. Vittoria meritata davvero! Non aggiungo altro a quanto già scritto sulla forza che può avere la degenerazione dell’uomo, del male che può fare, del prezzo che paga (o non paga), ma sottolineo la tua capacità di descrivere con poesia sensazioni profonde come “Io cercavo di non sentire che rumore fa essere abbandonati a se stessi”. Brava!

  23. […] quelli con cui ha partecipato a Subway Edizioni nel 2012 e nel 2013. Ci sarebbero poi il pezzo per Racconti nella Rete 2013 e quello del Premio Straparola 2014. Se ancora siete titubanti, andate a farle delle domande di […]

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