Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2013 “Buona Vita” di Lucia Pelz

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013

Il telefono squillò alle 3,30 del mattino. Clelia ci mise qualche minuto per capire che non era un sogno e il telefono stava davvero squillando nel cuore della notte. Assonnata com’era fece fatica a trovare il cordless e a rispondere. Ma ciò che le era stato detto la riportò gelidamente alla realtà: sua nonna era morta.

Ore 5,00. Clelia si era messa alla guida della sua auto, direzione Santremoli, una ridente cittadina di mare che d’estate si riempiva di turisti e in inverno vi rimanevano quattro gatti. Era lì che sua nonna aveva deciso, senza dare nessun tipo di spiegazione, di trascorrere gli ultimi anni della sua vita. Con questa decisione aveva lasciato tutti un po’ perplessi, perché così avrebbe vissuto a 500 Km dalla sua unica nipote; ma sua nonna era un tipo tosto e quando si intestardiva su un qualcosa, era veramente difficile farle cambiare idea.

Aveva davanti a sé un lungo viaggio; e sebbene fosse frastornata dal dolore che in quel momento la stava trafiggendo, non riusciva a smettere di pensare a quello che la polizia le aveva riferito: su segnalazione della vicina di casa della nonna, preoccupata di non aver più visto sua nonna da qualche giorno, i poliziotti finalmente si erano decisi a forzare la porta di ingresso dell’abitazione dell’anziana e l’avevano trovata così, distesa su una poltrona, con una tazza di the ormai freddo appoggiato sul piccolo tavolino dipinto a mano dalla nonna stessa, e il suo libro preferito tra le mani, Il Profeta di Gibran. Una morte improvvisa, imprevedibile. Sua nonna era una donna anziana, aveva 70 anni, ma era in forma e godeva di ottima salute. Questo dramma Clelia adesso proprio non se l’aspettava, o comunque non aveva mai avuto il coraggio di pensarci. Quando giunse a Santremoli, si sentì pervadere da un improvviso sentimento di malinconia: erano anni che non ritornava al paese, sua nonna, la sua unica parente rimasta in vita dopo la morte di sua madre, per le feste ‘comandate’ la raggiungeva a Roma, dove ormai si era stabilita, una volta accettato l’incarico di responsabile delle vendite per un famosa multinazionale americana. Sua nonna le aveva messo a disposizione tutti i suoi risparmi per farla studiare e Clelia non l’aveva delusa. Aveva fatto carriera e si era affermata professionalmente. Aveva un marito che amava e una splendida bambina. Era, tutto sommato, una donna felice.

Sua nonna era già stata trasportata alla camera ardente del cimitero, ma prima di raggiungerla Clelia sentiva il bisogno di passare da casa sua. Suonò alla vicina, di nome Annetta, che ancora sconvolta per la terribile notizia, la accolse con gioia e le fece strada verso la villetta di sua nonna. Amanda, così si chiamava, viveva in una piccola casa dalle persiane rosse e un piccolo giardino strapieno di fiori; sua nonna aveva sempre avuto passione per le piante e per i fiori e questo rispecchiava molto il suo carattere solare e pieno di vita, nonostante le amare delusioni e i dolori che la vita le aveva riservato. Clelia si fece coraggio ed entrò.

Spinse con forza il portone verde dell’ingresso e accese la luce. Nella casa regnava un alone spettrale di morte e rabbrividì pensando che poche ore prima sua nonna era morta proprio lì. Proseguì e andò a spalancare tutte le finestre della casa. La luce del sole filtrò e andò a illuminare la polvere sui libri e i vecchi soprammobili. Fece un giro nel salotto e poi d’istinto si sedette sulla poltrona in cui avevano trovato sua nonna morta. Rimase qualche minuto così, immobile, e si sentì pervadere da un brivido. Poi vide sul pavimento, vicino alla poltrona, una boccetta di Valxium, un potente sonnifero e, sotto al vaso di fiori ormai appassiti c’era una busta bianca. La prese in mano e lesse a voce alta: “Per Clelia, la mia amata nipote”.

Con gli occhi pieni di lacrime e le mani tremanti Clelia l’aprì, non sapendo che quello che stava per leggere avrebbe cambiato totalmente la sua esistenza.

Cara Clelia,

quando leggerai questa lettera me ne sarò già andata. Non essere triste per me: non c’è cosa più bella di poter decidere del proprio destino. L’ho fatto in maniera consapevole perché, arrivati alla mia età, e difficile avere ancora voglia di vivere. Sono vecchia ormai, e il dolore che la vita mi ha inflitto si fa ogni giorno sempre più pressante. Pensa pure che sono una vecchia egoista, e forse hai ragione perché con questa decisione penso soltanto a me. Ma non ce la faccio davvero più Clelia, davvero…

Prima di andarmene, però, devo confessarti una cosa. E’ da 35 anni che mi porto questo peso sul cuore e che ti prendo in giro. Ma, giuro, che l’ho fatto solo per te, per il tuo bene. Ma ormai sei una donna grande, una madre ed è giusto che tu sappia.

Tua madre non è morta in un incedente stradale come ti ho fatto credere fino ad ora. E tuo padre, MIO figlio, non è morto di cancro prima che tu nascessi. TUO padre, MIO figlio, ha ucciso tua madre. Sparandole con un colpo di fucile con cui amava andare a caccia. Tuo padre era molto geloso e tua madre era una donna bellissima. Si era ormai convinto che lei lo tradisse e in un raptus di gelosia ha premuto quel maledetto grilletto. Già da tempo non lo riconoscevo più, era diventato un uomo torbo e violento. Con me non parlava mai e vedevo tua madre ogni giorno più triste, che sorrideva soltanto quando stringeva al petto la sua bambina, ovvero tu. Ma non mi era mai davvero resa conto del dramma che stavano vivendo.

Io non ho mai saputo quello che in verità è successo quella sera. La polizia mi riferì soltanto che trovarono tua madre riversa sul pavimento di cucina, una valigia (che poi si scoprì essere di tua madre) vicino alla porta d’ingresso e tu, piccolo angelo di soli cinque mesi, tutta infagottata nel tuo passeggino. Tua madre stava per andarsene. Voleva lasciare tuo padre per salvarsi, per salvare te.

Poi fu il buio. Mio figlio era un assassino. Chiesi di accompagnarmi da lui in prigione, appena due ore dopo l’arresto che fu immediato in quanto i vicini sentirono un grido e uno sparo e chiamarono la polizia. Tuo padre era di fronte a me, in lacrime. Fu capace di dirmi soltanto: “Non volevo farlo” e io di rispondere “Per me non è morta lei, per me sei morto tu”. E me ne andai. Non lo rividi più. Fu condannato all’ergastolo.

Mi sarei uccisa se tu non fosti giunta in mio soccorso. Ero la tua unica parente e sei stata affidata a me. Ci trasferimmo a Roma e il resto della storia lo conosci.

2 anni fa mi sono trasferita in questo paese. Hai fatto di tutto per dissuadermi, ma non ci sei riuscita e soprattutto non capivi il perché della mia scelta. Adesso te lo spiego: dopo aver trascorso 35 anni senza più ricevere notizie da tuo padre, quel figlio maledetto che avevo tentato di dimenticare, un giorno ricevetti una telefonata dal carcere di Straminci. Era il direttore che voleva incontrarmi. Con la scusa della vecchia amica di scuola ritrovata, partii per 3 giorni (te lo ricordi?). Rabbrividii a rientrare in quel posto dopo così tanti anni. Il direttore mi spiegò che tuo padre era gravemente malato (quel cancro che ti avevo inventato si era davvero abbattuto su di lui) e che voleva vedermi. Rifiutai. E me ne andai.

Il giorno dopo tornai e decisi di vederlo. Fu terribile. Era un uomo di 50 anni pallido e smunto, ormai privo di vita umana. Ci divideva un vetro e la guardia assisteva al nostro colloquio. Quello non era più mio figlio. Mi chiese di te. Non posso riferire quello che ci siamo detti, è troppo doloroso.

Dopo 2 mesi ti comunicai la decisione di trasferirmi in questo paese. Adesso sai il perché. Pensai che avevo soltanto più poco tempo da trascorrere con lui e che era giusto che gli stessi vicino. Una madre è sempre una madre…e tu lo puoi ben capire.

Tuo padre sta morendo Clelia. I medici pensavano che non possa andare avanti per più di 2 mesi. Ieri mi ha chiesto di te. Ti vuole vedere Clelia, prima di morire.

E io non voglio vedere morire mio figlio. Sono egoista, lo so e fai bene ad odiarmi per per averti tenuto nascosto la tua vera storia e per averti mentito per tutto questo tempo. Ma l’ho fatto solo per te, per cercare di proteggerti. Ma ormai sei una donna Clelia, una donna coraggiosa, e sono sicura che ce la farai, che andrai avanti da sola. Io invece non ce la faccio più, non ho più il coraggio di vivere, preferisco andarmene così, in punta di piedi.

Non so che cosa farai, se vorrai davvero di rivedere tuo padre, l’uomo che ti ha portato via tua madre. So che sei una donna intelligente e sicuramente prenderai la decisione giusta.

In fondo ricordati che Per arrivare all’alba, non c’è altra via che la notte (Gibran)

Buona Vita.

Nonna

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