Premio Racconti nella Rete 2013 “L’ascensore” di Elena Bini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013Aveva messo le calze smagliate quella mattina, ma se n’ era accorta solo dopo aver premuto il tasto tre dell’ascensore.
Colloquio di lavoro: “Salve mi chiamo Michela, ho trentadue anni e ho già lavorato come interior designer occasionalmente, cioè non proprio occasionalmente… Più per passa parola… Cioè… “.
Piegando il ginocchio aveva creato un enorme squarcio nelle calze, dal fianco si portava verticalmente fino alla caviglia, una meravigliosa linea dritta che faceva intravedere la pelle bianca, evidente segno che non era stata in vacanza quell’estate.
Ci riprovò: ” Buongiorno, grazie per avermi accettato al colloquio. Mi chiamo Michela ed ho lavorato come interior designer arredando non solo case private ma anche uffici, non solo quello di mio marito…ex marito… Eccoci, no, così non va proprio”.
Si passò la mano sulla fronte, la scoprì spostando il ciuffo rimasto giù, penzoloni sul lato destro; la coda di cavallo di capelli neri corvini era perfetta, ma il ciuffo era scomposto, ribelle, come se gridasse: ” Ehi, io non voglio confondermi nella mischia!”
“Dai su, riprovaci!” pensò. “Buongiorno, mi chiamo Michela Retini, sono qui per il colloquio. Ho molti progetti da proporvi… Si ma per favore non ho una, e dico una, idea valida “.
La sera prima Michela aveva provato a disegnare qualcosa, un abbozzo, quando Linda, affacciandosi dalla porta del suo studio pian piano aveva sussurrato: ” Mamma…
“Sì, tesoro?!”
“Sono le nove… Avevamo ordinato le pizze per le otto e mezzo”
“Otto e mezzo… Accidenti! Scusa tesoro, vado subito a prenderle!”
“Tesoro.. Linda, vieni ad aprirmi che ho le mani impegnate.”
Linda aprì distratta la porta e tornò davanti alla televisione.
“Linda! Cavolo! Potevi almeno apparecchiare!” Tono risentito.
Michela chiuse la porta con un calcio e lanciò le chiavi della macchina dentro un cestino apposito di vimini; poi accese la luce della stanza con un gomito e appoggiò le pizze, unte e gocciolanti di olio, sul tavolo….
“Linda! Dove sono i fogli che stavo disegnando?”
“Mamma, ma il cervello dove l’hai!? Sono sotto le pizze!”
Michela, occhi spalancati, levò di corsa le pizze vedendo subito che gli abbozzi assomigliavano oramai a enormi macchie… Simili a quelle che ti fanno vedere per diagnosticare le malattie psichiche, solo che non erano nere…
“Perfetto insomma..” Pensò.
“Dai, per l’ultima volta:
Salve mi chiamo Michela, ho trentadue anni e vorrei gridare: per favore assumetemi! Ho un matrimonio disastroso alle spalle, mio marito non mi passa gli alimenti per mia figlia, una quattordicenne meravigliosa che si meriterebbe tutt’altro che una madre che la fa andare avanti a pizze surgelate e insalate in busta perché è talmente distratta da non riuscire neppure a prendere in tempo una pizza da asporto al ristorante accanto a casa. Viviamo in un bilocale e dormiamo nella stessa stanza perché l’unica alternativa per dormire separate sarebbe che una di noi due dormisse in cucina. Ho le calze smagliate ed i capelli scomposti perché ho finito di vestirmi in macchina. Non ho sentito la sveglia e mi ha fortunatamente svegliato il mio Angelo prima di andare a scuola. I capelli li ho acconciati al primo semaforo rosso che ho trovato, ma questo non succederà più perché ho voglia di lavorare, di farmi il culo e farci la notte in questo studio, se necessario. Ho voglia di tornare a casa e potermi permettere di andare a cena fuori con mia figlia senza dover pensare che forse non mi basteranno i soldi per l’affitto; di trovare un piccolo appartamento di tre stanze, con una cameretta dove poter far mettere a Linda quel famoso letto a baldacchino che le piace tanto. Ho voglia di svegliarmi la mattina e pensare ‘ Ehi! Ho solo trentadue anni, una vita davanti per recuperare, per creare, per conoscere..’
Si aprì l’ascensore. Sospirò, uscì, si guardò a destra, poi a sinistra. “Scusi, lei è Michela?”
“Sì, buongiorno..” porse la mano stringendo forte, sicura, determinata. L’uomo in grigio sorrise:
“Che grinta! Lei è assunta.”