Premio Racconti nella Rete “Come i venti selvaggi lo spinse” di Nadia Bianco
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013– Nick ora è meglio che smetti. Si è fatto tardi, dobbiamo chiudere. – provò a convincermi Edna, terminando di sistemare le bottiglie dietro il bancone.
– Fammi almeno finire – bofonchiai, trangugiando la birra che era rimasta sul fondo. Avevo trascorso le ultime tre ore vuotando bicchieri ed ero piuttosto stanco.
– Metti sul conto. Buonanotte. – le dissi, prima di fare un lungo respiro, poi iniziai a sollevarmi appoggiandomi allo schienale della sedia. Gettai uno sguardo intorno, erano rimasti ancora un paio di avventori oltre a me, nel mentre ripresi fiato. Infine abbozzai i passi che avrebbero dovuto condurmi all’uscita. Incappai in un tonfo, mi scontrai con il pavimento, assi di legno imbevute di cenere e polvere. Maturai la convinzione che sarei anche potuto restare lì, posato in un angolo, a soddisfare il mio bisogno di sonno. Inutile, sentii una mano che mi afferrava per le spalle e mi scrollava con poco riguardo. Prima di potermene rendere conto ero fuori dal Fox & Drop.
Carl mi urlò dietro – Non voglio rivederti prima di un paio di giorni, vedi di darti una ripulita.
Avevo l’impressione di aver fatto l’ennesima pessima figura. Carl, dopo avermi accompagnato all’uscita, si era fermato sulla porta, con il suo grembiule nero, a fare la guardia.
Mi incamminai sul marciapiede, con passo malfermo, insofferente all’acqua che scendeva e convinto che non mi sarei mai rassegnato a indossare un cappello. Prima della fine della strada la pioggia cadeva meno fitta, dopo un paio di svolte era cessata del tutto. Scrollai la testa, faticavo ad abituarmi all’aria pungente che si respirava a quell’ora.
Trascorrevo buona parte del mio tempo nel pub, al Fox & Drop ormai mi si poteva considerare parte dell’arredamento. Nelle serate buone stringevo tra le dita un carboncino, come fosse una sigaretta, parlavo e lo muovevo nell’aria cercando di convincere qualche cliente a farsi fare un ritratto. Era una sfida persa in partenza ma in fondo a me non importava; in quelle serate, per essere felice, mi bastava avere a disposizione della carta. Mi mettevo in un angolo e iniziavo a disegnare. Sul foglio prendevano vita: Edna che serviva ai tavoli portando con destrezza anche quattro boccali per volta, Carl intento a spillare birra e asciugare bicchieri o il vecchio Murphy che se ne stava appoggiato al bancone, sonnecchiando, una sera sì e l’altra pure. A volte mi facevo catturare da qualche sconosciuto, senza neanche rendermene conto iniziavo a tracciarne le linee del volto, mi soffermavo sugli occhi, mi divertivo a immaginare che vita potesse fare fuori di lì. Quando avevo finito, passandogli accanto, gli lasciavo scivolare tra le mani il suo ritratto e me ne andavo fischiettando qualche vecchio motivo irlandese.
Le serate cattive erano più numerose. Entravo, mi sedevo al bancone e sbottavo in un:
– Edna, dammi qualcosa di forte.
Lei si avvicinava con il suo passo svelto, l’espressione preoccupata. – Devo proprio?
Io ripetevo – Edna, danni qualcosa di forte. – la mia voce saliva di tono, alcune persone iniziavano a voltarsi.
Edna, dopo aver lanciato un occhiata a Carl, che muoveva la testa in segno di assenso, si rassegnava a versarmi un whisky, in un bicchierino, con due cubetti di ghiaccio, e mi diceva a mezza voce – Nick non ne vale la pena, ti fai male…
Non le lasciavo il tempo di terminare la frase, svuotavo il bicchiere e glielo porgevo.
– Dammene un altro.
Dopo un po’ perdevo il conto di quanto avevo bevuto e dei motivi per cui avevo iniziato. Veleggiavo indisturbato nei sogni che mi ostinavo a coltivare, continuavo a bere come se quella fosse l’unica benzina che potesse farmi alzare da terra.
Quella sera nemmeno ci volevo andare al pub, stavo camminando per i fatti miei perso a guardare la luce che, al tramonto, disegnava i palazzi del mio quartiere. Rimpiangevo di non avere con me una matita e un foglio di carta. Sentii la tasca che vibrava e poi le note di The Irish Rover salire velocemente di tono. Afferrai il telefonino e premetti il tasto verde. Venni investito da un impersonale voce di donna:
– Nicholas Burns?
– Si, sono io.
– Mi duole informarla che i disegni da lei fatti pervenire alla Roth, Wils & Sons non rientrano nel target della nostra rivista. Il plico è a sua disposizione per il ritiro a partire da domani. Buonasera.
Poi sentii solo il clic della linea caduta. Neanche il tempo di ribattere. Mister Roth, quando avevo presentato i miei lavori, sembrava così entusiasta.
– Non si è degnato di comunicarmelo di persona – mi ripetevo – ha mandato avanti la segretaria.
Mi ritrovai davanti al Fox & Drop prima di essermene reso conto. Non doveva andare così.
– Sei uno smidollato, non combinerai mai nulla nella vita. Cosa vuol dire artista? Non è mica un lavoro. – mio padre me l’aveva ripetuto talmente tante volte che avevo l’impressione di sentire la sua voce, risuonarmi nelle orecchie, anche adesso.
Aveva tentato in ogni modo di estirpare la mia passione per l’arte. Strappava tutti i disegni che gli capitavano a tiro, li bollava come assurdità e mi diceva – Nick non puoi perdere tempo con queste sciocchezze, non ti porteranno da nessuna parte. – poi mi porgeva un libro, affermando – Questo è quello che ti serve.
Io, per reazione, fin da quando mi ricordo, disegnavo dappertutto: sui giornali prima ancora che lui li leggesse, sulla carta del pane, sulla tovaglia della cucina, anche su una parete di camera mia che coprivo con un mobile.
Quando me ne sono andato di casa gli ho detto – Mi basterebbe un po’ di fiducia papà, solo un po’ di fiducia. Puoi?
Lui mi aveva guardato per un lungo momento come a volermi soppesare, infine mi aveva risposto – Ti do un mese Nick, un mese, poi tornerai a casa e non avrai più scuse. Accetterai il lavoro che ti ha proposto Carter e lo ringrazierai. Ti comporterai da uomo, allora si che potrò avere fiducia in te.
Si era voltato, era uscito dalla stanza senza darmi il tempo di ribattere. In questi mesi la lontananza era stata interrotta da brevi telefonate in cui entrambi avevamo tenuto il punto in attesa che l’altro desse segni di cedimento.
Tramite un vecchio compagno di scuola, con cui ero rimasto un contatto, avevo trovato un buco in cui abitare. Era un sottotetto capace di assorbire tutta la luce del mattino, il posto giusto dove fermarsi a cercare l’ispirazione, poco importavano gli spifferi e i quattro piani da salire a piedi. Avevo appeso dei tappeti alle pareti, ravvivano la stanza con le loro trame orientali e tenevano a bada il freddo.
Il cavalletto l’avevo messo di fronte alla finestra dove si apriva una vista spettacolare sui tetti della città che si spingeva a sfiorare, nei giorni puliti, le montagne che la circondavano.
Mi ero iscritto a un paio di corsi all’accademia e mi mantenevo con quel che capitava. Avevo iniziato a proporre i miei lavori a gallerie d’arte, riviste ed agenzie. Ero riuscito a piazzare solo un paio di illustrazioni.
Arrivato davanti al mio palazzo cacciai le mani nelle tasche, trovai la metà di una gomma, un biglietto del tram, il cellulare ma delle chiavi neppure l’ombra. Mi sentivo ancora un po’ annebbiato, avevo sonno, sentivo solo quello, guardai in su il cielo di pece poi mi voltai verso l’altro lato della strada. – La panchina sarà il mio rifugio. – pensai. Quando mi sedetti sentii l’acqua che si mescolava alla stoffa dei pantaloni. Un brivido percorse la mia schiena, infine mi addormentai.
Edna mi trovò, la mattina dopo, disteso sulla panchina, con il corpo piegato, che russavo – diceva – tanto forte da far crollare le porte.
– Ero preoccupata per te, sembravi talmente malconcio ieri sera. – proseguì, mettendomi sotto il naso un caffé fumante.
Studiai il suo profilo – Edna, vuoi posare per me?
Bellissimo…gran bel personaggio Nick!
Nadia, rendi molto bene l’atmosfera del pub e il personaggio di Nick è molto credibile. Bel racconto!
Mi piacciono le storie che lasciano un senso di speranza. il racconto è bello e la trama molto particolare e .. dolce. Complimenti.
Il freddo e la solitudine di Nick che si sciolgono nel calore di un gesto vicino, di poche parole e del caffè.
Bello.