Premio Racconti nella Rete 2013 “Rumore” di Daniela Simeone
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013Ho sempre odiato le bambole quando ero piccola, preferivo i carri armati e i soldatini non perchè avessi istinti guerrafondai,sono una adulta molto pacifica anche ora, ma perchè si poteva fare rumore almeno con le parole:
” Ti ammazzo carogna” “Pum pam ti sparo sei morto”.
D’altronde il rumore, il fracasso gioioso dei bimbi era e doveva rimanere fuori dalle mura domestiche. Non mostrare, non lasciar trasparire le emozioni,rigore, educazione, controllo. Le regole…..le regole vanno sempre rispettate, i compiti portati fino in fondo,nessuna scorciatoia.
Io e mia sorella ci muovevamo cercando di conciliare i nostri istinti infantili, la nostra energia esplosiva con questa assenza di rumori, ci muovevamo cercando bambagia in una scatola di chiodi.
A casa mia mi sono sempre sentita inadeguata: troppo poco combattiva e colta per te mamma e troppo poco fantasiosa e artista per te papà. Insomma sempre troppo poco. E allora ho attraversato la vita cercando di scantonare, di evitare, per la paura di affrontare qualsiasi cosa, circondandomi di persone che conoscessero sempre la direzione,dove andare e cosa fare, sempre con la risposta pronta o bianco o nero io che da mio padre ho ereditato la passione per il grigio, la zona franca dove tutto è possibile.
Ora che tu papà sei “a dar fosforo all’aria”con indosso la tua camicia di flanella dove in un taschino abbiamo messo un robot giocattolo di latta e nell’altro i tuoi amati pennelli e tu mamma lotti tutti i giorni con me per fare il bagno o toglierti la dentiera al grido di “comando sempre io non ti credere” mi accorgo di quanto le nostre solitudini non si siano mai davvero incontrate.
Ognuno di noi portava dentro la sua infelicità, la mia mi insegue ancora anche se cerco di seminarla percorrendo strade tortuose.
Tu, mamma, elegante, sempre in ordine, con una serie di scarpe colorate con i tacchi alti che erano la mia musica sul pavimento, insegnante di latino con il bisogno di interrogare sempre qualcuno, alunni o figlie poco importa.
Mi ricordo le lezioni su De Andrè con relativa richiesta di spiegazione di questa o quella canzone , lezione che finiva immancabilmente con un brutto voto per impreparazione delle alunne ( e non potevamo nemmero giustificare). Per fortuna non ho odiato De Andrè ma c’è mancato poco.
Una mamma anaffettiva, distante, forse troppo dolorosamente segnata dalla vita per poter amare.
Tu, papà, dolce e bello con quello sguardo ammiccante di chiaro marchio “Quartieri spagnoli”, sgangherato e disarmante quanto basta per non saper amare, ma caldo e accogliente, sempre perso dietro pezzi di cose, oggetti di vite degli altri che raccoglievi per i tuoi quadri e che ci facevi sembrare fantastici.
Spesso, ancora oggi dopo tanti anni, il silenzio si fa strada dentro di me, nasce dal nulla a volte guardando dentro una stanza in una casa sconosciuta o anche camminando in mezzo alla gente.
E’ come se mi sentissi risucchiare dal silenzio, se si insinuasse dentro di me come una sottile nebbia mattutina autunnale. Di colpo la paura mi assale,una paura antica, paralizzante. non mi muovo, ascolto, ma non c’è rumore, solo un assordante silenzio, assenza totale, vuoto di emozioni e sentimenti.
… ma è curioso, no? paradossale, quanto un’assenza un vuoto una mancanza di possano toccarti il cuore. Come il tuo racconto.
Grazie, Daniela.