Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2013 “La bambola ed il pupazzo” di Stefano Pandolfi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013

LA BAMBOLA ED IL PUPAZZO

7 settembre 2007, quella maledetta sera di settembre. La mia grande passione per l’arte m’aveva inesorabilmente portato da te, dalla tua arte, dai tuoi occhi. Una calamita invisibile mi attraeva. Avevo anche lasciato i miei amici che spensierati in quel sabato di fine estate andavano a vedere la partita in qualche pub. La Lazio, la mia squadra del cuore, eppure quella sera passò in secondo piano. Li ringraziai per l’invito e mi inerpicai su per la ripida salita di Via Annunziata al termine della quale ci si trovava davanti all’antico palazzo dei de la Blanchere, oggi ristrutturato a galleria d’arte ed uffici dell’amministrazione municipale.
Il mio spezzato giacca e cravatta che usavo solitamente per presenziare ad iniziative che ritenevo importanti, mi dava decisamente un tono. Il vernissage era molto ben strutturato, diviso in due sezioni accuratamente separate tra di loro. Le opere pittoriche d’ispirazione religiosa e quelle d’arte contemporanea. L’autrice sembrava ben districarsi tra questi due ambiti così diversi tra loro quanto il giorno e la notte e ne faceva necessariamente notare la complessità dei periodi della propria vita che li avevano letteralmente ispirati. Seguendo l’invisibile percorso artistico che le singole opere suscitavano in me, incontrai il tuo sguardo…
– Vedo che è molto interessato – mi dicesti, interrompendo la meticolosa osservazione di un’opera d’arte per attirarne la mia attenzione verso un’altra – piacere, mi chiamo Annachiara e sono l’autrice – ebbi la netta sensazione di aver sbattuto contro un tir a duecento chilometri orari. Qualcosa m’aveva abbagliato in corsa facendomi perdere il controllo del mezzo su cui la mia anima viaggiava. Una luce, una luce che non scorderò mai. Una luce piena di vita e pulsante come un messaggio subliminale aveva lacerato quell’altrettanto invisibile quanto sottilissima membrana che solitamente protegge noi maschietti dagli attacchi esterni femminili…
– Stefano, piacere mio – feci di rimando cercando di non far trapelare il parkinson emotivo che aveva attaccato il mio essere ed ora aveva preso l’ascensore per contagiare anche la voce – stupefacente, soprattutto l’icona della croce.
L’anima incidentata di prima ed il mio essere tremante di adesso erano entrambi in preda alla sindrome di Stendhal che aveva mandato in corto cellule e neuroni vari.
Feci un notevole sforzo per tornare ad impadronirmi di me stesso e del mezzo non meccanico incidentato psicologicamente. Ti feci notare, in modo curioso ed originale come il tuo quadro della croce fosse deliberatamente accostabile al reale trittico di bellezze ed arte che si delineava nelle immediate vicinanze del luogo in cui ci trovavamo. La tua arte, la galleria che la ospitava, in qualità di palazzo storico e l’altrettanto storica Cattedrale di San Cesareo che troneggiava imponente a circa cinquanta metri da noi, sulla piazza del municipio.
Il tuo invito a visitarla insieme fu inaspettato e mi paralizzò completamente come fossi stato investito da una cascata di azoto liquido. Più davo ordine ai miei piedi di accostarsi ai tuoi per poterti accompagnare dove volevi, più mi rendevo conto che essi insieme alle gambe, alle ginocchia e alle caviglie mi si rivoltavano contro come una class-action di protesta. Mi chiedevo chi ne fossero i sindacati di base e dovetti promettere a qualche loro rappresentante una settimana alle terme purificatrici per riuscire a sbloccare la situazione. Tutto questo nel giro di qualche secondo.
La scena c’era tutta. Io e te, ben vestiti, entriamo mano nella mano in chiesa, ci facciamo il segno della croce con l’acqua santa ed attraversiamo la navata centrale fermandoci davanti all’altare, al cospetto di Lui. Scene da un matrimonio. Quante volte ho rivisto, rivisitato, immaginato nella mia mente quella scena. Quante volte tra le lacrime ho sperato che si realizzasse davvero quella scena. Quante lacrime ho versato per te, di notte e di giorno. Quanti pensieri ho scritto con esse, rivolgendomi ad un telefono che rimaneva sempre muto. Sono stato per te soltanto un visitatore della tua mostra, della quale l’ultima opera che ho visto è stata un tuo autoritratto. Ti eri immaginata come una bambola all’interno della sua sgargiante scatola personalizzata.
Dopo quella sera non ti ho più vista ne sentita.
Lo stesso Lui davanti a cui eravamo quella magica sera di settembre, ha giocato con me per qualche ora come fossi un suo pupazzo…

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