Premio Racconti nella Rete 2013 “Il sospetto” di Rossella Zaniboni
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013Due carabinieri sono in piedi accanto ad un letto d’ospedale, stanno facendo delle domande ad un giovane mediorientale, Naval, riguardo all’aggressione che ha subito. Lui sembra restio a rispondere. Ha il torace fasciato e una flebo al braccio. Entra il medico che invita i militari ad uscire poichè il giovane deve risposare. Rimasto solo, Naval chiude gli occhi. E’ notte. Musica a tutto volume e luci stroboscopiche che illuminano un’area della pineta di Torre del Lago. Naval, camicia bianca un pò aperta e jeans strappati, si allontana dal centro della musica per raggiungere un’auto parcheggiata sul ciglio della strada dove c’è pochissima luce. Qualcuno lo assale. Qualche pugno per stordirlo poi spunta un coltello che lo colpisce al costato. Le mani insanguinate premono sulla ferita mentre lui scivola pian piano a terra. Sente voci sopraggiungere, qualcuno gli solleva la testa e pronuncia più volte il suo nome. La stessa voce lo sta svegliando proprio in quel momento. Naval appare ancora spaventato dal ricordo dell’aggressione. Il nuovo arrivato, che gli sorride e gli tiene la mano, è Alex, un giovane biondo che s’informa prontamente sulla sua salute. Naval sorride a sua volta e gli chiede subito se Marco è con lui. Un pò imbarazzato, Alex risponde che l’amico non se l’è sentita di venire e torna con la conversazione alla notte precedente. Vuole sapere se Naval conosceva i suoi assalitori. Lui scuote la testa, non essendo riuscito a vederli. Alex rimane in silenzio. Naval, insospettito da quell’atteggiamento, lo costringe a parlare. Alex confessa di aver visto due persone scappare con la testa fasciata da copricapi a disegni bianchi e neri come quelli che si vedono in tivù nei servizi dal medioriente. Naval, impaurito, s’informa se lo abbia già riferito ai carabinieri. Alla risposta negativa, lo prega di non farne parola con nessuno. Le successive insistenze di Alex per far luce sull’accaduto cadono nel vuoto. Naval si è chiuso in un suo mondo, inaccessibile agli altri. Chiude nuovamente gli occhi. E’ in una piccola camera arredata con pochi e semplici mobili. A terra, sopra due pile di libri, un vecchio stereo. Mentre si veste con canotta bianca con scritte in inglese e un paio di jeans, balla al ritmo di uno dei successi dei Queen. Un uomo di mezz’età irrompe nella stanza, seguito da due più giovani. A differenza di Naval hanno tutti e tre barba e baffi, larghe camicie sopra ampi pantaloni scuri. Sotto i loro sguardi duri carichi d’odio, Naval stacca immediatamente lo stereo e cerca di giustificarsi. “Padre…io…”. “Sei la vergogna della famiglia!” sono le uniche parole dell’uomo più anziano che esce dalla stanza mentre gli altri due, i fratelli di Naval, gli si avvicinano minacciosi. Uno lo tiene fermo da dietro, l’altro, tirando fuori un coltello a scatto, gli lacera la maglietta senza preoccuparsi della possibilità di ferirlo. Prima di uscire gli lanciano pesanti minacce. Sul letto d’ospedale Naval sta piangendo. Alex se n’è andato. Seduto di fronte al maresciallo dei carabinieri c’è Marco. Mostra al graduato un foglio che ha raccolto sul luogo dell’aggressione e che rivendica l’agguato. E’ di un gruppo omofobo che già in passato aveva compiuto atti violenti durante raduni o manifestazioni gay. Il maresciallo lo ringrazia per il coraggio che ha dimostrato. “Non sono un eroe” risponde, “…l’ho fatto solo per amore.”