Premio Racconti nella Rete 2013 “Mihret” di Paolo Pobbiati
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013La trovò ad aspettarla sulla porta di casa. Aveva ancora gli occhi gonfi. “Mi dispiace di averti fatto venire. Eri in giro per lavoro?”
Si abbracciarono. “Non ci pensare” la rassicurò. “Adesso sono qui. Come sta Mihret?”
Adem la fece entrare in casa. “Sta meglio, oggi non ha quasi più febbre. Adesso è di là che dorme”.
Maryam abbandonò su una poltrona la stanchezza del viaggio e la tensione. La loro famiglia era emigrata a Roma quando erano piccole, ma avevano entrambe poi scelto di ritornare lì, l’una per lavorare in università, e l’altra per sposarsi. Da allora aveva percorso centinaia di volte la strada polverosa che collegava Addis Abeba a Nazareth, la cittadina dove la sorella viveva, ma quella volta il viaggio le era sembrato interminabile. Adem si affacciò alla porta che dava sulla cameretta dove dormiva la figlia, e la accostò in modo che le loro voci non la disturbassero. Poi accese un fornello sul quale mise a scaldare un bricco per il tè.
“Ma come è successo?” Maryam non ce la faceva proprio a rimanere ferma e si era di nuovo alzata per avvicinarsi ad Adem mentre stava ancora armeggiando nervosamente con il fornello.
“È stato l’altro ieri. Ero al lavoro e come al solito avevo lasciato la bambina da mia suocera dopo la scuola”. Tirò su con il naso mentre, volgendo le spalle a Maryam, cercava di preparare le tazze per servire il tè. “L’ha portata da una vecchia del posto che pratica il megrez. L’hanno tagliata! Me l’hanno tagliata, capisci? E io che gliel’avevo affidata. Ero riuscita a non farglielo fare quando era piccola, e credevo di averla scampata, ma quella megera non ha pensato ad altro in questi anni”. Scoppiò di nuovo a piangere.
“Cazzo!” Maryam si strinse a lei. “Ma non avevi avuto nessun sentore che aveva in mente di farlo?”
“Ma no, niente, aveva combinato tutto a mia insaputa. Si è messa d’accordo con altre tre donne e sono andate lì insieme con le bambine”.
“Cosa le hanno fatto?”
“Per fortuna solo l’escissione del clitoride, come era stato fatto alle mie cognate e alle loro figlie. Almeno il resto non l’hanno toccato”.
“Naturalmente ha usato lo stesso coltello per tutte e quattro le bambine” fece Maryam con raccapriccio.
Adem annuì. “Quando sono tornata a casa le faceva molto male e aveva la febbre, ma per fortuna non ha perso molto sangue. Le ho fatto una medicazione e le ho dato un antibiotico. Oggi comincia a stare meglio. Povera la mia bambina”.
“L’ha vista un medico?”
“Sì, è venuta una dottoressa che lavora con me in ospedale. Ha detto che non c’è pericolo immediato di setticemia e che la ferita dovrebbe richiudersi nel giro di qualche giorno. È lei che mi ha prescritto le medicine”.
L’acqua aveva cominciato a bollire. Adem spense, vi versò il tè e lo zucchero, tirò fuori dalla credenza dei biscotti e si risedettero entrambe.
“Ma tuo marito come ha reagito? Che cosa ha detto quando lo ha scoperto?”
Lo sguardo di Adem si abbassò. “Conosci Bogalé, sai come è fatto. Anche lui era contrario a far mutilare la bambina, ma non si metterà mai contro i genitori. All’inizio si è arrabbiato, ma poi ha cominciato a dire che si tratta di sua madre, che in fondo viviamo nella casa dei suoi genitori e dobbiamo loro della gratitudine e che anche se lei ha sbagliato lo ha fatto a fin di bene. Insomma per lui la questione è chiusa”.
“Già, non è mai una questione che riguarda gli uomini” sibilò con rabbia Maryam.
Una vocina flebile che chiamava la mamma giunse dall’altra stanza. Adem si affrettò a raggiungere la figlia. “Come stai?” Le sentì la fronte: era ancora calda.
“Mi brucia ancora” si lamentò Mihret.
“Non ti preoccupare, adesso ti do io una cosa che ti farà sentire meglio. Intanto guarda chi è venuta a trovarti”. Le indicò la porta, dove Maryam si stava affacciando.
La bambina appoggiò sul letto la bambola che aveva fra le braccia e si mise seduta aprendosi in un ampio sorriso. “Ciao zia!”
Maryam si avvicinò e la abbracciò con tutta la delicatezza di cui era capace, rimanendo stretta a lei sino a quando non riuscì a ricacciare indietro le lacrime che in quel momento le premevano sugli occhi. “Ciao Piccolina”. Avrebbe voluto dirle che adesso era lì con lei, che nessuno le avrebbe più fatto del male, che l’avrebbe protetta, ma non poteva: nessuno le avrebbe fatto più nulla, perché tutto era già successo e non c’era nessuna possibilità di tornare indietro. E né lei né sua madre erano state in grado di proteggerla quando era stato il momento.
“Che bella bambola che hai”.
“Me l’ha regalata la nonna”.
Ovvio, pensò Maryam.
“Sai zia, sono stata brava al megrez: non ho pianto e non ho avuto paura. Invece Luam ha strillato tantissimo, non voleva farsi tagliare e hanno dovuto tenerla ferma”. Aveva pronunciato quelle parole tutte d’un fiato. Poi si fermò e abbassò gli occhi, stringendo fra le mani la bambola. “Be’, hanno tenuto ferma anche me, ma mi hanno messo un fazzoletto in bocca e non ho gridato, e la nonna mi ha detto che mi sono comportata come una grande”.
“Certo Piccolina. Sono molto orgogliosa di te. Ma adesso come stai?”
“Mi brucia lì dove mi hanno tagliata e mi fa male quando devo fare la pipì, ma la mamma dice che poi mi passa”.
Adem era tornata nella stanza con dell’acqua ossigenata, del cotone idrofilo e delle garze. “Mihret, dobbiamo rifare la medicazione, adesso”. Le sollevò il lenzuolo, facendo attenzione a non farle male. Le levò con delicatezza la garza sporca di sangue, scoprendole la piccola piaga aperta e le disse di andare in bagno e provare a fare la pipì. “Vuoi che venga lì con te?”
Mihret non rispose, chiuse la porta del bagno alle sue spalle e dopo pochi attimi la sentirono urlare. In quel momento Adem si sentì morire, e cercò rifugio fra le braccia della sorella. Quando la bambina uscì, un paio di minuti più tardi, aspirava l’aria dalla bocca tenendo i denti serrati, e due grossi lacrimoni le scivolavano sulle guance: “Mamma! Brucia, brucia ancora da morire!” Adem la lavò dentro un catino e iniziò molto delicatamente a tamponarle la piccola macchia rossa in corrispondenza della ferita con l’acqua ossigenata. Poi la ricoprì con una pomata antibiotica prima di riapplicare la garza. Il bruciore sembrò calmarsi un poco.
“Sei davvero bravissima, Piccolina” cercò di consolarla Maryiam.
“Adesso mettiti giù e prendi la medicina”. Adem le porse una pastiglia e una tazza con una tisana di erbe che l’avrebbe aiutata a riposare, poi uscì dalla stanza riportandosi via il vassoio.
“Sai tenere un segreto, zia?”
“Certo Piccolina, dimmi pure” rispose, incrociando due volte gli indici davanti alle labbra per indicare che sarebbero state sigillate per sempre, come aveva imparato a fare da bambina quando condivideva i segreti con le compagne di scuola al Pigneto.
“Non dirlo alla mamma e alla nonna, ma io non volevo farmi tagliare. Tu non l’hai fatto e neanche la mamma, ma fa malissimo e ho avuto anche tanta paura. Però la fanno tutte le bambine qui. Nella mia classe eravamo soltanto in cinque a non essere tagliate e le altre ci prendevano in giro perché dicevano che poi diventavamo come dei maschi. Ma tu e la mamma non sembrate uomini”.
Maryam la accarezzò teneramente sulla fronte. “Certo che no, ma molte persone pensano che sia così. Lo so che fa male e fa paura, ma adesso è davvero tutto finito. Devi pensare a guarire, ora”.
“La nonna dice che ci tolgono un pezzo di carne che c’è in più, e che sennò diventa come quello che hanno i maschi”.
Maryam trasalì, ma non disse nulla. Non poteva dirle che la nonna le aveva mentito, e che il male che aveva dovuto subire era assurdo e immotivato. Più avanti sì, ma non ora, in quel lettino, con la ferita che bruciava ancora così forte e la fronte che scottava.
“Ti fermi qui a dormire stasera?” le chiese prendendole la mano.
“No, non posso, ma ti prometto che torno prestissimo e che staremo un sacco di tempo insieme”.
“Zia”.
“Dimmi, Piccolina”.
“Allora adesso me la racconti una favola come quando ero piccola?”
Maryam le rimboccò le coperte e cominciò ad accarezzarla sulla fronte. La bambina sembrava più tranquilla. Iniziò a raccontarle la storia di una principessa alla quale i predoni avevano rubato un prezioso tesoro e dei viaggi avventurosi che aveva intrapreso per recuperarlo. Accolse con sollievo il momento in cui si accorse che Mihret si era addormentata, perché non aveva idea di come avrebbe potuto terminare quella favola: non sarebbe riuscita a inventare nulla su come la principessa avrebbe potuto recuperare il suo tesoro, irrimediabilmente perduto. Baciò la bambina sulla fronte prima di uscire dalla stanza. “Mihret significa ‘perdono’” le sussurrò con rabbia, “ma tu questa cosa non la perdonare, non la perdonare mai”.
Trovò la sorella in cucina che lavava le tazze del tè. “Mandala in prigione!”
Adem la guardò e scosse il capo.
“Denunciala!” la incalzò Maryam. “Abbiamo faticato tanto perché ci fosse una legge che impedisse di tagliare le bambine. Non poteva farlo! Non doveva farlo! Vai alla polizia a denunciarla”.
“E a che cosa servirebbe? Vuoi che mio marito mi rinfacci per tutta la vita di avere mandato in prigione sua madre? Vuoi che mi cacci di casa?”
Maryam sentiva venire a galla tutta la sua rabbia e la sua frustrazione: “Preferisci vivere ancora accanto a lei e continuare ad affidarle tua figlia? Dopo quello che le ha fatto?”
“Maryam, non posso farlo. Viviamo nella casa dei miei suoceri, sai che non possiamo permettercene una nostra. Se facessi come dici tu distruggerei la mia famiglia, e Mihret sarebbe la prima a soffrirne. Davvero, non posso”.
“Sai che se volete potete venire da me ad Addis, vero? Quella casa è tua quanto mia e questo vale anche per tuo marito, se sceglie di stare con te”.
Adem la abbracciò. “Lo so, ma è davvero troppo per me, non me la sento di affrontare una cosa così grande, e Bogalé non mi sosterrebbe mai contro sua madre”. Fece una lunga pausa. “E poi sono io a non sentirmela. Mia suocera vuole davvero bene alla bambina: se ha sbagliato lo ha fatto in buona fede”.
“Buona fede un cazzo!” Maryam si avviò decisa verso la porta.
Adem provò a fermarla, senza troppa convinzione. Sapeva che non ci sarebbe riuscita e, in fondo, non lo voleva nemmeno. Appoggiò la schiena alla parete, con il viso fra le mani, singhiozzando.
La famiglia di Bogalé viveva sull’altro lato della palazzina. In un angolo del cortile vi era un fornello realizzato con un bidone di metallo: lì la nonna di Mihret stava preparando dell’enjera[1]. Maryam le si piazzò davanti. “Cos’hai fatto a mia nipote, brutta strega?”
La vecchia alzò appena lo sguardo, strizzando gli occhi per identificare la sua interlocutrice. “Chi sei tu che vieni a parlarmi in questo modo in casa mia?” Fece una breve pausa. “Ah sì, sei la sorella della moglie di mio figlio”. Riabbassò lo sguardo e riprese a versare l’impasto dell’enjera sulla padella.
“Allora?” la incalzò Maryam
“Non devo rendere conto a te. Ho fatto la cosa giusta per lei”.
“La cosa giusta? I suoi genitori non volevano che fosse tagliata! Che cosa ti fa pensare di sapere cosa è giusto e cosa non lo è per gli altri?”
“I suoi genitori non sanno niente! Tu non sai niente! Qui non siamo a Roma e nemmeno ad Addis. Le bambine qui vengono circoncise: quelle che non lo fanno sono considerate male e non trovano marito. Lo sai che altrimenti quando crescono hanno un sacco di grilli per la testa, esattamente come i maschi, e diventano delle poco di buono”.
“Che accidenti stai dicendo? Io non sono stata tagliata, e neanche Adem. Ti sembriamo forse delle poco di buono?”
La vecchia alzò di nuovo gli occhi esibendo un sorriso beffardo: “Adem è stata fortunata perché ha trovato un uomo che l’ha sposata lo stesso e lei è una brava moglie, sottomessa come dev’essere, ma è un’eccezione. In quanto a te, guardati: hai trent’anni e sei ancora senza marito. Chiediti perché. Quando una ragazza è circoncisa gli uomini le corrono dietro per sposarla, altrimenti è lei che deve inseguirli. Ed è facile farsi una cattiva reputazione”.
Una cattiva reputazione. Da non crederci. Maryam si trattenne a stento: non era lì a parlare di lei ma della bambina. “E chi ti dice che Mihret vorrà sposarsi? O che vorrà rimanere qui? Chi ti dà il diritto di ipotecare così il suo futuro?”
L’enjera era cotta e la vecchia la staccò dalla padella per inserirla in un canestro di vimini. Prese di nuovo la brocca di plastica con l’impasto e versò quello che rimaneva facendo attenzione a distribuirlo uniformemente sulla padella. Poi rialzò lo sguardo verso Maryam e sentenziò: “Solo Dio sa cosa ciascuno di noi farà in futuro. Quello che so io è che nella nostra famiglia le figlie femmine vengono circoncise, tutte. Questo prova che provengono da una famiglia onorata”.
Una voce stridula giunse da dietro. “Come ti permetti di venire qui in casa nostra e rivolgerti così a nostra madre?” Era la figlia più giovane della donna, che si era affacciata dalla porta della casa. Si teneva con le mani un enorme pancione e ostentava quell’aria spossata e appagata che solo le donne incinte hanno, e una faccia che Maryam avrebbe volentieri preso a schiaffi. “Vattene, vattene subito! Non venirci a dire cosa dobbiamo fare delle nostre figlie. Tornatene da dove sei venuta!”
Prima di allora l’aveva vista soltanto un paio di volte, ma non l’aveva mai potuta sopportare. Capì che se avesse continuato in quella discussione avrebbe finito col dire o fare qualcosa di cui si sarebbe pentita, ma solo perché avrebbe messo sua sorella in una situazione difficile. Si augurò solo che la creatura nel grembo della donna non fosse una femmina. Per la rabbia diede un calcio alla brocca dell’impasto, oramai vuota, e tornò verso la porta della casa di Adem.
“Stronza maledetta!”
Trovò Adem che ancora piangeva, sommessamente. “Davvero non vuoi fermarti? Non sei in condizione di guidare così alterata. Ti prego, non lasciarmi qui da sola, almeno aspetta un po’, sino a quando torna Bogalé”.
“Per cosa? Per sentirmi ancora ripetere che è stato fatto per il bene della bambina? No, meglio di no. Preferisco andare via subito”. Fece un lungo respiro, per calmarsi. “Poi la strada è lunga, e non voglio arrivare troppo tardi a casa”. Abbracciò la sorella con tenerezza. “Spero che quello che ho detto non ti crei problemi con tuo marito”.
“Non importa” la rassicurò Adem, e un velo di tristezza le adombrò il viso. “Avrei dovuto avere io il coraggio per dire quelle cose, e non ne sono stata capace. Grazie per averlo fatto tu”.
Si strinsero forte. Poi Maryam prese la borsa che aveva lasciato sulla poltrona e uscì, mentre il sole cominciava ad abbassarsi.
[1] Focaccia morbida sulla quale vengono disposte varie pietanze, tipica della cucina etiope ed eritrea