Racconti nella Rete 2009 “Tangenziale” di Alberto Lavoradori
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009Tlen… tlen… tlen… tlen… Sbam!
Tom Morgan sbatté la portiera dell’auto. Il cicalio d’avviso delle luci accese l’infastidiva, aumentava solo la sua rabbia. Nella sfortuna d’aver forato si era fermato giusto nei pressi d’una piazzola d’emergenza. L’isterico sfrecciare delle auto l’esasperava. Oltre le barriere insonorizzanti le luci di…? Che città era quella? Tom non lo poteva sapere, non si ricordava, non gli interessava. Lui percorreva autostrade e tangenziali tutto l’anno… troppe per poterle ricordare. Tom, in testa, ora, aveva solo spazio per le imprecazioni. Tante e piene d’umano livore. Già; pur sentendosi distrutto dalla stanchezza, la giornata, da lui, recriminava altre energie. Non ne poteva più di quella vita.
Tom aprì il bagagliaio, sfilò la ruota di scorta e si piegò per osservare il misfatto. Gli occhi gli si sbarrarono! Le ruote forate erano due. Tom con uno scatto rabbioso scaraventò a terra la chiave a croce. Di rimbalzo l’attrezzo fini sotto la ruota anteriore, con una delle teste esagonali ad indicare un oggetto incarnato nel pneumatico. La cosa rifletteva un brillare opaco, come quello emesso dal bronzo.
Incuriosito, Tom allungò la mano. Sfiorò appena la cosa e un dolore lanciante gli sferzò indice e pollice. Copioso il sangue iniziò a sgorgare da una profonda ferita.
Gocce di sangue sul torrido asfalto.
Contemporaneamente un corpo fu scosso da un fremito, occhi grigi si aprirono immersi nel liquame. La sacca a tubero e tutti i legamenti aggrappati al cemento si mossero scossi da morbide onde interne.
Dalla vulva del tubero spuntò un braccio intriso d’olio scuro, una testa rasata, un mento sporgente, denti candidi e poi un tronco massiccio spinto da gambe muscolose.
Appoggiato ad un costone di cemento l’allucinante tizio si alzò in piedi, scrollò parte del nauseabondo liquame dal viso e annusò l’aria a fondo; più volte. Benzina, polvere, l’odore dell’afa impastata al bitume, al calcestruzzo… più… qualcosa di preciso, che lui ben conosceva.
Gocce di sangue sul torrido asfalto.
Stretto con una pinza, Tom osservò l’oggetto strappato a fatica dalla gomma. Non era certo un chiodo, tanto meno sembrava un residuo casuale. Pur asimmetrico aveva un suo preciso design, dove, da un centro grumoso, aggressive, si ergevano a tripode robuste lame ricurve. L’affilatissimo affarino “figlio di puttana rotto in culo”, qualunque posizione assumesse, non dava scampo. Allucinante. Che cazzo era quella cosa? Chi poteva essere il bastardo demente che costruiva e gettava pezzi del genere sulle strade. Potesse averlo avuto tra le mani, Tom l’avrebbe strangolato. D’istinto, osservò il pneumatico posteriore, aveva un brutto presentimento. Il sospetto si tramutò in realtà. Nella ruota posteriore c’era infilato un pezzo identico.
Tom ringhiò bestemmiando istericamente.
Un’ombra a spicchi, proiettata dagli asettici lampioni della tangenziale accarezzò improvvisamente la schiena di Tom. Lui si voltò. Dietro, la tuta blu, il casco giallo e il corpetto arancione di un operaio addetto alla manutenzione delle strade. Sicuramente uno di quelli del turno della notte. Finalmente un sospiro di sollievo. Stretti nei grossi guanti da lavoro, il tizio sorreggeva degli attrezzi che Tom non riusciva a distinguere. Gli oggetti, stranamente, scintillavano.
Tom non fece neanche in tempo a formulare una parola. La testa gli volò staccata di netto rotolando sul cemento, incastrandosi a bordo piazzola tra un cordolo d’asfalto e il guardrail. Altri terribili fendenti tranciarono il corpo di Tom. L’inquietante stradino infilò le affilate lame nella cintura; poi, avidamente, raccolse in un sacco della spazzatura tutti i pezzi della macabra esecuzione, salì nell’auto e svanì lungo la corsia d’emergenza.
Correndo quasi sui cerchioni, mezzo miglio dopo, l’auto uscì dalla tangenziale. Dopo aver svoltato nei meandri d’una periferia deserta, immersa tra distese di silenziosi capannoni, l’auto si fermò davanti un deposito rottami.
L’inspiegabile essere strappò le targhe, trafugò i documenti e gettò il tutto in un cassonetto, abbandonando -come sempre- l’auto davanti al cancello. Infine, con il sacco in spalla, l’operaio svanì nel lercio di polverose sterpaglie, diretto a nord, verso il rombo isterico della tangenziale.
Tutti i legamenti saldamente aggrappati alla trave di cemento furono scossi da un fremito. Ma nessuno lo vide. Dalla vulva spurgò un sacco della spazzatura, ossa e poltiglia organica cosparsa da rifiuti asimmetrici color bronzo, dotati di micidiali lame ricurve. In quella posizione la sacca e il suo inquilino erano invisibili. Gli unici spettatori: refoli di smog, l’arido calcestruzzo, il guano degli uccelli -scomparsi da tempo- e gli abiti d’uno stradino diligentemente ripiegati nei pressi d’una scaletta d’emergenza sotto un’anonima tangenziale.
fine
Di genere molto diverso dal mio, che ti invito a leggere, mi è piaciuto.
Mi ha tenuto incollata e mi ha opportunamente nauseato (per i contenuti, non la forma) nei tratti più crudi.
Anche la tensione è ben sorretta dal ritmo.