Premio Racconti nella Rete 2013 “Mentre gli altri dormono” di Simone Iacono
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013Un’altra giornata se n’è andata.
Eccomi finalmente solo nel tinello dove di giorno io e i miei genitori mangiamo, guardiamo la televisione, e che verso le ventidue, diventa camera mia, esclusivo territorio di me. O almeno dovrebbe, visto che qualcuno nel bel mezzo della notte, irrompe dove io dormo o fingo di dormire,spezzando quella solitudine, quella che solo chi è rimasto figlio unico può capire. Non ho una vera stanza.Non ho fratelli. Ho desiderato entrambi.Poi ho smesso. Lo spazio in cui dormo comunica con un cucinino, pochi metri quadrati, due finestre, uno spazio che comprende frigorifero, cucina a gas, lavatrice, lavandino, per molto tempo anche uno scaldobagno ( in futuro sarà spostato fuori, sul balcone, un rumore in meno ). La zona cottura è vicinissima a me, un paio di metri ci separa. Dormo in una camera “a ponte” che di giorno usiamo come divano. Mi sento protetto da quella struttura in legno che mi sovrasta. A volte ho pensato che mi tenesse caldo, io come avvolto da una carezza di un oggetto inanimato. Forse sono divagazioni ma che ci posso fare se la mia mente mi ha condotto a questo pensiero?
E ‘ mia madre a tenermi compagnia dopocena, davanti alla tv. Ma è stanca del lavoro di colf, di giornate frenetiche, si addormenta senza mai riuscire a terminare di vedere un film o un programma. Siamo coricati specularmente, i suoi piedi verso la mia faccia e viceversa. In inverno condividiamo la coperta. Siamo entrambi freddolosi. Il contrario di mio padre, che ha sempre caldo, anche se secondo me qualche volta sente freddo pure lui, ma non lo vuole ammettere. Mi domando perchè. Che senso abbia negare di avere freddo? L ‘ ho capito più in là che molti considerano poco virile che un uomo ammetta di sentire freddo. Come quelli che piuttosto di indossare sciarpa-guanti-cappello andrebbero a piedi in Alaska in maniche corte. Io quando fa freddo e ho freddo, mi copro e me ne frego di ciò che qualcuno potrebbe pensare o insinuare. Sono sempre stato così: non mi sono adeguato alle convenzioni ( spesso assurde ) dettate dalla massa. Lo so, ho di nuovo divagato. Vagabondo da una parte all ‘ altra dei miei infiniti pensieri. Ero rimasto al momento in cui mia mamma si appisola in quello che tra poco sarà il mio letto. Le dico: ” Stai scomoda qui, vai nel tuo letto “, ma non glielo dico sempre perchè mi dispiace svegliarla e mi fa piacere averla vicina. Abbasso il volume della tv, non troppo altrimenti se ne accorge e si sveglia, perchè quello in cui è caduta è un sonno debole, un dormiveglia. Ogni tanto la guardo. Guardo mia madre che dorme. Penso a quando la vedrò dormire sapendo che sarà per sempre. Scaccio quel pensiero che mi uccide. Lo rimando il più indietro possibile. Non so perchè, ma presto si è attaccata a me l’ idea della morte, il pensiero che tutto finisce. Ho letto che quello è il segnale che si è diventati adulti, una maturazione interiore ha fatto di noi degli esseri meno bambini, più consapevoli e pertanto un po’ più tristi. Forse anche per questo mi sono allontanato precocemente dai cartoni animati. Quasi non me li ricordo. Mi sembra di non averne mai visti. Un po’ per predisposizione innata, un po’ per esperienze di vita, la mia infanzia è stata corta. Ho iniziato prima di molti miei coetanei a dare peso alle cose, a scegliere di occuparmi, cercando di capire, quelle meno divertenti. Non pensate a quei bambini prodigio, odiosi e tristi, non sono stato uno di loro. In me quella tensione a cercare, criticare, dubitare, lottare contro le ingiustizie, non mi ha portato a risultati immediati, non ha fatto di me un enfant prodige. E menomale. Perchè l’infanzia va rispettata e non deve subire brusche accelerazioni in direzione della vita adulta. Il mio è stato un apprendistato lungo, insidiato da molti bastoni fra le ruote. E l ‘ immagine delle ruote mi pare tra le più opportune per descrivere il delinearsi di un giovane che pensa. La ruota come il pensiero in movimento, che si muove perchè cerca.
Arriva il momento in cui rimango solo. Mamma, morta dal sonno, si trascina lungo il corridoio che separa me dall ‘ unica vera stanza da letto della nostra casa, quella dei miei. Papà, qualche volta già dorme, qualche altra guarda la piccola tv sul comò mentre mamma dorme. Si danno il cambio. Mai che li abbia visti fare qualcosa all ‘ unisono, in completa armonia, Mi sono apparsi, fin da quando ho memoria, molto diversi fra loro. Due caratteri forti ma profondamente diversi. Inevitabile dunque lo scontro. E la notte, con il suo silenzio e i suoi rumori, più di una volta, ha ospitato i loro duri confronti, le tensioni di coppia, le cose non dette, portate dentro e poi vomitate durante una litigata, anche molto tempo dopo. Una notte sono stato svegliato di soprassalto dalle loro voci: urlavano. Nessuna chiacchierata notturna fra innamorati, parole lontane dall ‘ amore che era stato e non era più, parole che se fanno male a loro, figurati a un figlio, parole che mi sono sforzato di non ascoltare, ma che il più delle volte mi è stato impossibile allontanare da me, perchè il tono con cui erano espresse era troppo alto e chiaro per attutirne la forza e i colpi. E la casa era troppo piccola perchè i suoni potessero, come prevede la fisica, perdere d ‘ intensità, fino a farsi indistinguibili. Tra me e loro c’ erano pochi passi, pochi metri. Li ho sentiti anche sorridere, ma poche volte. Ha prevalso il conflitto. Ad alcuni accade di sentire il rumore dell ‘ amore dei propri genitori. Ci si tappa le orecchie, imbarazza, dà fastidio. E’ giusto così, che ai figli non importi e dia fastidio pensare ai genitori nella loro intimità, e che ai genitori accada lo stesso nei confronti dei figli. A me non è mai successo di sentire il suono del loro amore. Ho ascoltato il loro risentimento. L’ ideale sarebbe non sentire nulla, al limite, russare. Ma ho appreso presto che le cose ideali sono di solito irraggiungibili e impraticabili. La realtà vince su tutto. Puoi fingere che vada tutto bene, ma se non è così, il velo dell’apparenza cadrà sul pavimento o si trasformerà in un cristallo trasparente. Non ho soltanto brutti ricordi delle mie notti da figlio unico. Fra quelli belli, emerge mia madre che si alza facendo cigolare le molle del materasso, va in bagno e poi entra nella mia anomala camera, apre il frigorifero, mangia solo dolci, mai salato, cerca la sua, anzi la nostra adorata Nutella che teniamo fuori dal frigo, in un pensile. Dal frigo invece estae l’acqua frizzante, non beve mai quella naturale. Io bevo solo quella del rubinetto. Dobbiamo pur avere qualcosa che ci distingua! Talvolta scambiamo qualche parola, andiamo d’ accordo, il legame è stretto, forse in futuro la sentirò più lontana, ma ora è vicina, e anche se sarà mai lontana, so che cercheremo entrambi di tornare vicini, annullare la distanza. E’ questo quello che conta, la volontà di non perdersi di vista e qualora accada volersi ritrovare. Dopo la sua visita notturna ( ogni notte si alza, mangia dolci e rimane magra ) va via riuscendo a riprendere sonno quasi istantaneamente. Non so come faccia. “Buonanotte cioccolatino! “. Questo è il suo saluto unito a un bacino. Chiamarmi così dimostra il suo duplice amore per me e per la cioccolata. E quello per la cioccolata è un amore che mi ha trasmesso.Non le ho mai tenuto compagnia mentre di notte mangiava. Forse solo un paio di volte. Di rado mi alzavo la notte. Un osservatore coricato, questo ero.
Mio padre, per molto tempo, ha fatto i turni. Una volta la settimana, talvolta due, usciva prima di cena e rincasava in piena notte, per le tre o verso le prime luci dell’ alba.Sento la serratura mossa dalle sue chiavi, lui che si spoglia, qualcosa che gli cade o urta. Lui che si sforza, non sempre riuscendovi, di non fare baccano. Un’ infinità di monetine cadono dalle tasche dei suoi pantaloni. E poi un rito sempre uguale: mio padre che si prepara la colazione, anche se è stanco, non riesce a coricarsi senza avere prima bevuto il suo amato latte e biscotti. Il mio destino dev’essere quello di vedere persone che mangiano di notte. Papà si muove al buio, solo un lumino sopra il pentolino, papà mangia in piedi, girato di spalle. Non saprei dire che espressione avesse sul viso. Non l’ho mai visto verso di me. Anche in questo mia madre è diversa, più aperta, anche la sua postura fisica lo svela, non mangia dandomi la schiena.E poi mio padre non vuole che mi svegli. Solitamente fingo di dormire ( in quel caso i minuti sembrano ore, mi sforzo di stare fermo, mi fa male tutto il corpo ) ma capita che lo saluti, vorrei parlare, tenergli compagnia, senza mangiare, ma mi fa ” Dormi! “e il tono della sua voce sa di un tenero inperativo. A mamma sento che fa piacere parlarmi anche quando il giorno si è spento. Quasi spera di trovarmi sveglio. Papà è andato a riposare. Gli basteranno poche ore. Lasci a me l ‘ odore che gli resta del suo lavoro. Nella stanza sento qualcosa che ha portato da fuori. Papà lava i treni. Papà profuma di ferrovia. Papà non parte però, resta sempre nella stessa città, sono gli altri a viaggiare, lui rimane a terra, scende dai treni prima che partano, i treni che ha pulito con pochi colleghi e senza avere gli adeguati strumenti per pulire al meglio. E poi puoi pulire quanto vuoi, ma se dopo che lo hai fatto qualche incivile caga per terra, chi salirà sul treno, stai pur certo che incolperà chi lo ha pulito. Dipende tutto da dove le guardi le cose. Da una parte sembrano in un modo ma se ti sposti, scopri che forse non è come pensavi.
Quando dovevo sostenere l ‘ Esame di Stato, ho passato notti o buona parte di esse, a studiare, perchè al liceo artistico non c’è mai tempo. Sono state notti diverse da quelle steso nel letto. ma quella è stata una breve parentesi della mia vita.
Mentre penso, la notte, penso alle infinite opzioni delle notti altrui. C ‘è chi dorme, chi ama, chi muore, chi bada ai malati, chi lavora, chi studia, chi mangia, chi litiga, chi piange, chi fa festa, chi vomita, chi vaga per le strade, chi stupra, chi è struprato, chi ruba, chi è derubato, chi porta il cane a fare pipì, chi ubriaco pone fine a una vita, chi dorme su una panchina sempre che un maledetto non gli dia fuoco, chi si masturba pensando a chi non ha nel letto, e poi c ‘è chi come me pensa e scrive, mentre tutti gli altri vivono,mentre il mondo continua a girare, anche se è buio, e nessuno lo vede.
So cosa significa lavorare di notte. Questo racconto mi ha riportato indietro negli anni a quando mio figlio (unico ) rimaneva solo, di notte, mentre io ero in un ufficio mal riscaldato e sporco a riempire caselle e caselle di corrispondenza, quando si usava ancora molto scrivere lettere e cartoline. Quando rincasavo, mio figlio si doveva alzare per andare a scuola e io recuperavo tempo per la casa. Dormivo poco, e solo dopo aver fatto colazione come il padre del racconto. Che tempi!
Con questa narrazione mi sono rituffata nel passato. Grazie, Simone!
Angela Lonardo