Premio Racconti nella Rete 2013 “Non so cucinare” di Julia Mich
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013Sono a letto e dormo, ma non trovo pace perché faccio sempre lo stesso sogno. Sogno di essere a testa in giù, con gli occhi aperti sott’acqua. Fondale sabbioso, schiuma, piedi che si muovono in circolo, voci foderate, qualcosa che mi sfiora una gamba, una palla sulla testa. Appoggio le mani sulla sabbia e tiro su la schiena, sputo. Le onde che si abbattono mi trascinano a riva, cerco di lottare con i piedi per restare a galla e vedo mia sorella vicino alla boa che mi fa un gesto con la mano.
<< Fi-fo-na, fi-fo-na, fi-fo-na>>, urla.
Mi alzo in piedi e la saluto con il dito medio. Non posso distrarmi un attimo con lei perché è sempre pronta a farmi qualche scherzo, si prende gioco di me.
Mi sveglio e tiro un sospiro di sollievo.
Per fortuna era solo un sogno, penso. Ho voglia di chiamare quella stronza, ma mi accorgo che è troppo presto perché dalla porta finestra che vedo alla mia sinistra non passa la luce.
Ma dove sono?
Nella penombra vedo un uomo accanto a me che dorme di spalle, abbracciato al cuscino.
Salto dal letto. Sto lì immobile per qualche minuto, poi finalmente mi sento a mio agio e tutto mi ritorna familiare. Entro nel bagno, mi guardo allo specchio, apro il rubinetto e mi lavo la faccia. C’è un profumo che mi tranquillizza, l’odore mi riporta alla mia infanzia, e penso a mia madre quando mi portava in bicicletta in campagna a raccogliere la lavanda. Lo stesso odore, un ricordo che mi culla e mi fa male. Non ho mai detto a mia madre quanto la amo.
Mi asciugo le lacrime con la manica della camicia da notte. Torno nella mia stanza con mio marito che dorme profondamente. Mi sento meglio. Per riaddormentarmi ripenso alla filastrocca che mamma cantava quando andavo a letto e mi rimboccava le coperte: Stella, stellina, la notte si avvicina. La fiamma traballa, la mucca è nella stalla. La mucca e il vitello, la mucca e il vitello, la mucca e il vitello, la pec…
Sto di nuovo sognando il mare, ma questa volta sono al largo e sto nuotando. L’acqua è cosi trasparente che riesco a vedere il fondale, e la sabbia, e i pesci. Nuoto, nuoto, nuoto fino a che mi stanco e voglio tornare a riva. Mi giro ma non vedo nient’altro che mare. Comincio a bere, andare giù, poi riemergo, e bevo ancora, e vado giù, e sto affogando, e riemergo e …
<< Cazzo>>, urlo.
<< Che succede?>> Dice mio marito.
<< Mi manca l’aria… >>
Accende la luce. Ora, lo vedo chiaramente il suo volto sereno che mi calma.
<< Prova a sollevare le gambe>>, dice accarezzandomi il viso.
Con l’elastico che ho al polso tiro su i capelli e gli chiedo di passarmi gli occhiali perché senza sono persa, non riesco neanche a capire quando mi parlano.
<< Hai sognato di nuovo che stavi affogando?>> Dice preoccupato.
<< Che strano… Mi sembra di affogare anche ora. Sento le lenzuola bagnate, com’è possibile?>>
<< E’ solo una tua impressione.>> Mi tocca le gambe e capisco dal suo sguardo che è tutto a posto.
<< Torna a dormire, sono appena le quattro del mattino. Prova a girarti di lato>>, dice.
Tolgo gli occhiali, scivolo sulle lenzuola e mi giro. Lui spegne la luce. Non chiudo ancora gli occhi e la mia vista si abitua alla semioscurità arancio della stanza.
Stella, stellina, la notte si avvicina. La fiamma traballa, la mucca è nella stalla. La mucca e il vitello, la mucca e il vitello, la mucca e il vitello, la pec…
Sento urlare, ma non vedo nessuno e inizio a cercare nel buio… “Dove sei? Fatti vedere! Posso aiutarti, non piangere.” Seguo il suono del pianto, che cessa all’improvviso. Mi fermo. E poi di nuovo disperato, a singhiozzi… “ Ma dove sei?” Ora sento una risata e poi di nuovo un pianto. Sono confusa e smetto di cercare. Il pianto continua ma le mie orecchie si sono abituate a questo chiasso e mi allontano.
Un rumore mi sveglia. Dalla porta finestra entra un po’ di luce, e capisco che è giorno.
Ma la radiosveglia? Non l’ho sentita.
Sono settimane che mi alzo sempre tardi, e ho un gran sonno anche oggi. Mi metto seduta sul letto e mi tocco le gambe, ma è come se non mi appartenessero. Mio marito si è già alzato. Che strano, di solito viene a darmi un bacio prima di uscire.
Giro la testa e guardo l’ora.
Dio come è tardi… ma tardi per cosa?
Cerco di pensare alle cose che devo fare oggi però non mi viene in mente nulla: nessun appuntamento, nessun treno da prendere, nessuno da vedere, nessuno da chiamare.
Devo parlare con qualcuno altrimenti impazzisco.
Mi alzo dal letto e mi metto gli occhiali, cerco le ciabatte ma non le trovo. Ho bisogno di guardare fuori e sperare che ci sia il sole oggi.
Ti prego, ti prego… fa’ che sia bello.
Apro le tende e mi schermo gli occhi con la mano.
Alleluja! Il cielo azzurro, finalmente.
Spalanco la finestra perché nella stanza c’è un odore che non mi piace. L’aria mi punge il viso. Tossisco. Mi giro.
<< Gesù Cristo!>>, urlo.
Sul divano a fiori di fronte a me c’è uno sconosciuto che mi sta fissando.
Inizio a balbettare, lo faccio sempre quando ho paura: lo facevo quando mia sorella mi metteva i ragni sulla testa, lo facevo quando la mamma spegneva la luce della stanza, l’ho fatto quando mio marito mi ha chiesto di sposarlo.
Comincio a fare allo sconosciuto una serie di domande, ma lui non mi risponde, io insisto, ma lui mi ignora. Non parla, sorride, fa dei gesti scoordinati con le mani, ride, aggrotta la fronte, mi guarda come se gli dovessi qualcosa.
Mi appiattisco al muro appoggiandoci le mani, e piano cerco di raggiungere la porta. Riesco a uscire dalla stanza e corro verso la cucina. Afferro il telefono, ma prima di comporre il numero, mi affaccio per vedere cosa fa lo sconosciuto. E’ lì, immobile che continua ad aspettare.
Mi aspetta.
Inizio a mangiucchiarmi le unghie, vado avanti e indietro nella stanza, e a un tratto sento il rumore della porta d’ingresso che si apre. Entra mio marito seguito da una processione di parenti e amici. Ha invitato tutta quella gente senza avvertirmi e c’è quell’estraneo che non so come giustificare.
I parenti e gli amici si dirigono in camera da letto, ignorandomi. Li vedo che si avvicinano all’estraneo, lo salutano, lo baciano, gli offrono dei regali.
Perché tutti sanno chi è, tranne io?
Mio marito si stacca dal gruppo e viene in cucina. Mi giro di spalle e faccio finta di preparare qualcosa. Fingere è la cosa che mi riesce meglio, da sempre. Da bambina fingevo di stare male per non andare a scuola, mi inventavo le bugie più assurde per giustificare i miei ritardi, i brutti voti, riuscivo addirittura a nascondere le riunioni genitori-insegnanti per evitare che i miei venissero a sapere quello che combinavo durante le ore di lezione. Mi viene naturale, creo una barriera contro il mondo, e lo sto facendo anche ora.
Mio marito si avvicina, mi bacia sul collo e dice: <<Amore, stai cucinando?>>
<<Secondo te?>>
Ora mi chiederà cosa sto preparando. Continuerà con: lascia faccio io, ti aiuto, non essere così nervosa, lo sai che se ti innervosisci è peggio, fai con calma, ci vuole tempo.
Eccolo che parte, ma io sono più veloce e lo precedo.
<< Mi vuoi spiegare che ci fa tutta questa gente in casa nostra?>>
<<Sapevano che sarebbe arrivato. Sono venuti a conoscerlo.>> Lo dice con naturalezza.
Con un movimento brusco del braccio faccio cadere la bottiglia dell’olio, ma l’afferro al volo senza far uscire neanche una goccia.
Pericolo scampato!
Sono un po’ scaramantica. Chi mi conosce bene sa che, attaccato alla spallina del reggiseno ho un cornetto portafortuna, me lo ha regalato mia nonna molti anni fa dicendomi: “ Figlia mia… nella vita non si sa mai.”
E se non si sa mai, meglio averlo che no.
Il rumore delle pentole, la cipolla che frigge, il pane bruciato nel forno, tutto comincia a darmi fastidio, non voglio più stare lì e mentre sto per uscire, lo sento dire: <<Guarda che hai lasciato il fornello acceso>>.
Mi fermo sulla soglia.
<<Ma che ore sono?>> Domando.
<<Hai sentito quello che ti ho detto?>>
Eccomi di nuovo con la testa tra le nuvole, persa tra i miei pensieri. Guardo più volte l’orologio ma non lo vedo realmente.
<<Ti ho chiesto che ore sono?>>
<<Sono le tre e dieci.>>
Cosa devo fare, cosa devo fare, cosa devo fare… Con i polpastrelli mi premo le tempie e chiudo gli occhi. Qualcuno mi afferra per le spalle, mi volto e vedo la folla di parenti intorno a me. Iniziano a baciarmi a turno, a congratularsi, mi danno delle pacche, mi parlano ma non riesco a capire cosa dicono perché le loro parole mi rimbombano nelle orecchie, poi mi salutano e vanno via.
Mia madre resta, e prende possesso della cucina. Lei è una cuoca bravissima, quando inizia a cucinare potrebbe preparare roba per un reggimento intero. Io uso i guanti in lattice per maneggiare qualsiasi ingrediente, il contatto col cibo mi infastidisce. Lei, si preoccupa sempre del mio appetito, e insiste con: << Mangia, mangia figlia mia che ti sei sciupata>>. Io posso stare giornate intere senza sentire fame.
Io e mia sorella eravamo le ragazzine più grasse della classe alle elementari, facevamo merenda con pane e frittata, e i nostri compagni facevano di tutto per rubarcela. Grasse e alte, due montagne che dettavano legge, i capi della tribù dei nanerottoli. Mentre ci penso, sorrido.
<< Mamma!>> Urlo.
Lei fa un salto. << Che c’è?>>
<< Non ti azzardare a cucinare!>>
<< Ti dico come si fa.>>
<< No.>>
Mia madre esce dalla cucina senza fiatare mentre mio marito prova a farmi ragionare. Finalmente capisce che ho bisogno di stare sola e se ne va anche lui. Resto ferma davanti al fornello a gas, ma non riesco a combinare nulla, sono troppo scossa.
Decido di tornare in camera e risolvere la questione. Prendo coraggio e vado.
Sono nel corridoio e comincio a respirare affannosamente.
Entro nella mia stanza e guardo lo sconosciuto che, ora, sta dormendo sul mio letto.
Mi avvicino senza far rumore per osservarlo meglio. Lo scruto.
Appoggio le mani sulla coperta e mi chino per annusarlo.
Ha un buon odore.
Mi avvicino di più e gli sfioro il viso con la mano.
Che bella pelle.
Lui apre gli occhi, mi spavento e mi allontano.
E’ lui che mi scruta, ora.
D’improvviso sorride e allunga le braccia verso di me.
Mi viene voglia di abbracciarlo.
Lui ride.
Lo prendo e lo avvicino al mio seno.
Lui si divincola.
Io lo stringo forte.
Piange.
Lo tengo stretto.
Finalmente si calma, apre la bocca e inizia a mangiare.
Sorrido. E di colpo, capisco.
Ho imparato a cucinare.