Premio Racconti nella Rete 2013 “Lei e lui” di Marco Bugliosi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013Sara poggiò con cautela i piedi nudi sul pavimento freddo e il contatto le diede un brivido lungo la schiena, riportandola in un attimo alla realtà. Percepì subito l’alito caldo ed umido di Joy sul dorso della mano destra che ritrasse, piacevolmente infastidita.
Avrebbe volentieri passato almeno un altra ora nel dormiveglia, sepolta dal caldo abbraccio della coperta e rassicurata dal corpo tiepido del suo animale che, anche quella notte, eludendo gli insegnamenti, aveva conquistato un giaciglio più confortevole distendendosi sul letto, a stretto contatto della gamba sinistra della padrona.
Ma non poteva restare. Non oggi: prima di recarsi al lavoro avrebbe dovuto far sosta al laboratorio di analisi dove era in lista per il prelievo del sangue e lì avrebbe perso almeno mezz’ora
Al buio Joy le saltò sulle gambe e le leccò il viso, sicuro che, come ogni mattina, non avrebbe disatteso le sue aspettative.
Sara si liberò dalle effusioni del cane e ad occhi chiusi allungò la mano verso il maglione ed i jeans, che aveva preparato sulla sedia accanto al letto la sera prima e li indossò il più velocemente possibile tanto erano gelidi e poi, altrettanto velocemente, in punta di piedi, si spostò in bagno e raccolse l’urina nel contenitore di plastica trasparente che ripose nella scatolina di cartone.
Joy già l’attendeva di fronte alla porta, ma lei aveva assolutamente bisogno di prendere un caffè prima di uscire. La caffeina avrebbe interferito minimamente sui risultati delle analisi mentre a lei avrebbe dato una piccola ma indispensabile sferzata di energia.
Accese la moka e in meno di cinque minuti la miscela diffuse un sommesso gorgoglio che bastò a rompere il silenzio nell’ appartamento, procurando altresì un effetto condizionato sul suo cane, che si stese di nuovo, in attesa che la sua padrona terminasse l’incomprensibile rito quotidiano.
Poi indossò il cappotto di montone e si arrotolò la sciarpa attorno al collo, agganciò il guinzaglio al collare di Joy e quindi aprì la porta, che era solita chiudere con tutte le mandate durante la notte.
Fece un passo sul pianerottolo illuminato dalle luci condominiali a neon, che rendevano ancor più malinconica l’atmosfera.
Sarà alzò come ogni mattina il dito medio, in irriverente segno di sfida verso l’uscio della dirimpettaia, con cui vi erano state nel recente passato accese discussioni per via di Joy che, in sua assenza, attanagliato dalla solitudine e dalla noia, aveva preso l’abitudine di raschiare la porta d’ingresso disturbando, a dire dell’altra, la tranquillità del condominio.
Scese le scale quasi trascinata dal cane rischiando di inciampare e, una volta fuori, affrontò il freddo umido che le ghiacciò la fronte, svegliandola definitivamente.
Attraversarono in fretta la strada e salirono quasi correndo le scalette che li portarono al piccolo parco di fronte casa, da cui poteva vedere anche il suo balcone.
Era in anticipo rispetto alle altre mattine e c’era ancora un po’ di bruma, che rendeva la piccola area verde un po’ minacciosa. Sara toccò istintivamente il pacchetto di sigarette che teneva nella tasca e ne accese subito una.
Liberò Joy e guardò verso casa, aveva lasciato di proposito la luce della lampada sul suo comodino accesa e poteva vederne da lì il debole chiarore che, per qualche sconosciuto motivo, la rincuorava.
Aspirava ritmicamente il fumo senza perdere d’occhio il cane, che procedeva in piccoli cerchi concentrici, annusando ed alzando la testa di tanto in tanto per controllare a sua volta la padrona.
Lo richiamò dopo una mezzora e quindi risalirono a casa dove, come ogni mattina lo lasciò solo, non senza averlo prima accarezzato un po’ e avergli rivolto qualche frase sottovoce che sapeva avevano su di lui un effetto rassicurante prima dell’abbandono.
Chiuse a chiave l’uscio e quindi partì in auto.
Erano passate da poco le sette quando la guardia giurata le fece un cenno distratto e alla sua domanda, altrettanto distrattamente, pronunciò il numero che contraddistingueva il laboratorio, indicandole con la mano destra la direzione, quasi senza guardarla..
Sara allora si avviò ed attraversò due corridoi vuoti illuminati a giorno e, una volta raggiunta la porta indicatale, si accorse non c’era nessuno oltre a lei ad attendere il proprio turno.
Si sedette di fronte alla porta, in attesa che qualcuno si facesse vivo.
Dal nulla apparve una infermiera dall’aspetto stanco e disordinato che all’improvviso ruppe quel silenzio e la invitò ad entrare. Le disse di stendersi sul lettino, di liberarsi degli abiti troppo ingombranti e di scoprire il braccio sinistro e di rilassarsi, che avrebbe fatto tutto in un attimo.
Chiuse gli occhi, sentì l’ago conficcarsi nella pelle e poi entrare nella vena e fu allora che si mosse inavvertitamente, cosicché un po’ di sangue finì per colarle sull’avambraccio e gocciare sul pavimento bianco.
Quando vide il suo braccio ed il pavimento macchiati di rosso Sara ebbe un sussulto e per un attimo rivide quella la scena di due anni prima: il corpo di suo padre riverso sul asfalto, il rivolo di sangue che scorreva verso il bordo della carreggiata, scomparendo sotto l’automobile in equilibrio sul cric.
L’agente della Polizia Stradale le spiegò che probabilmente un camion lo aveva investito, mentre stava cambiando una ruota e forse l’autista non si era neppure accorto di averlo travolto.
Aveva già perso la madre un anno prima, un tumore l’aveva divorata in pochi mesi e non aveva fratelli, così adesso, a ventotto anni, era rimasta sola. Ricordò che quella fu la prima riflessione che fece.
Tornò in se e si scusò subito con l’infermiera. In piedi si rivestì velocemente, prese le sue cose ed uscì in fretta dal laboratorio e mentre percorreva in senso inverso i corridoi vuoti pensò a Joy, a come era entrato nella sua vita.
Subito dopo la morte del padre, un giorno tra tanti in cui la disperazione la portava a vagabondare in auto, lontano dalla città in direzione del mare, aveva notato sul ciglio della strada una scatola di cartone che sembrava inspiegabilmente animata di vita propria. Sara allora aveva accostato l’automobile a pochi metri dall’involucro, era scesa e lentamente si era avvicinata: attaccato ad una delle pareti di cartone c’era un foglio di carta bianco su cui era scritto IL SUO NOME E’ JOY, SALVALO!
Esitando un po’ Sara aveva allungato la mano ed aperto il cartone e allora lo vide: i loro occhi si incrociarono e fu in quel preciso attimo che capì che invece sarebbe stato quel cane a salvare lei.
complimenti.
non solo per la dolcezza con cui è descritto il rapporto uomo-animle, ma anche e soprattutto perché il personaggio femminile, l’ambiete in cui si muove e il silenzio che la circonda fanno pensare ad un passato traumatico, a qualcosa di freddo e triste. Ed in efetti, leggendo, scopriamo che è così.
L’accurata descrizione dei gesti e dei luoghi dà al racconto – credo volutamente -un ritmo lento e crea una nota di suspance che termina nella acuta scoperta del dolore.
Bravo!
Ti ringrazio Maria Grazia,
l’idea era proprio quella di creare un personaggio che vive un po’ ai margini, i cui affetti piu’ importanti sono stati sostituiti da quello di un cane.
Un po’ triste ma anche reale, un omaggio all’unico (forse) fedele amico dell’uomo e della donna, naturalmente.
Veramente un bel racconto nel quale per alcuni aspetti mi sono ritrovata. La vigilia di Natale ho trovato una cagnetta abbandonata e ci siamo adottate e, come giustamente concludi il racconto, è stata lei a “salvare” me da una tristezza profonda che mi assale nei giorni natalizi( ho subito alcuni anni fa la perdita del mio amato fratello nel giorno di Santo Stefano). Bravo Marco, complimenti per questo delicato racconto.
Grazie Annamaria,
sei molto gentile.
Credo sia molto importante avere conferma su ciò che si scrive e sul fatto che un racconto non risulti essere, agli occhi di chi legge, solo un esercizio di stile, ma anche qualcosa in cui potersi riconoscere.
grazie ancora.
marco
Anche a me è piaciuta molto la frase finale, bel racconto!!
Bel racconto, tenero ed assolutamente credibile. Bravo.
Non male, avrei osato un pò di più nel descrivere la protagonista e il cane, il lettore ama sempre dare un volto e un corpo proprii ma ha bisogno di particolari. Sei stato bravo bravo bravo e vorrei leggere altro e commentare insieme.
Bella questa storia di amicizia tra una donna sola e un cane che si fanno compagnia. Ci dai due personaggi vivi e reali; possiamo dire così anche per il cane? Credo di si, perché molte volte, parlando di un animale, diciamo “gli manca la parola”.
Ciao Marco.
Emanuele
Bellissima storia Marco e meno male per quanti crudeli insensibili che abbandonano animali ce ne sono altri pronti ad accoglierli ed amarli comprendendo il loro valore.