Racconti nella Rete 2009 “In ricordo di Cleopatra” di Lorenzo Puccinelli Sannini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009
Ricordo come nel mese di ottobre 1993 entrasti in casa nostra e nella nostra famiglia, piccola
Cleopatra.
Avevamo da poche settimane perso Sansui, lo Shi-tsu che per più di 14 anni era cresciuto al fianco
di mio figlio Vincenzo come un fratello minore ed aveva condiviso la vita della famiglia nel bene
e nel male, viaggi e vacanze compresi.
Eravamo quindi prostrati dal dolore ed avevamo concordemente deciso che per un po’ non avremmo avuto altri cani.
Poi Mamma Grazia entrò in quel fatale negozio, ti vide e non resistette all’impulso di portarti a casa.
Ti chiamammo subito Cleo, un diminutivo che ci sembrava meno impegnativo e più adatto alle tue sembianze.
Eri una cosa minuscola e, già da allora, freddolosa. Mamma tagliò opportunamente un calzino
e ti ci infilò dentro come se fosse un cappotto.
Sembravi e forse eri la meticcina più bella del mondo.
Per tutti noi fu facile volerti bene da subito.
Eri allegra, affettuosa e rompiscatole , come tutti i cuccioli, ma in più avevi con quelli orecchi, uno tenuto sempre ritto e l’altro sempre abbassato, una carica di simpatia eccezionale ed i tuoi occhietti vispi brillavano di intelligenza.
Ed infatti ti sei sempre dimostrata una canina intelligente e spesso anche troppo furba.
Quante volte hai fatto finta di non capire quello che ti dicevo di fare, per la semplice ragione che non avevi voglia di farlo !
Quando invece desideravi qualcosa non avevi alcuna difficoltà a farti comprendere. Un “bau” accanto alla porta per dirmi che volevi uscire; un altro “bau” ad un quarto all’otto per ricordarci che era giunta l’ora della pappa.
Quello che non sono mai riuscito a capire è come facessi a sapere quando il film alla televisione era finito.
Ti ricordi, piccola Cleo, ti prendevo sulle ginocchia quando iniziava lo spettacolo televisivo e tu
dormicchiavi per tutto il tempo, indifferente agli intermezzi pubblicitari, all’intervallo fra il primo ed il secondo tempo ed alle mie brevi assenze di carattere diuretico. Ma quando sullo schermo
iniziavano a scorrere i titoli di coda saltavi per terra tutta fremente e pronta ad uscire per fare la
tua passeggiatina serale.
Certo mia cara anche per te la vita non è sempre stata solo rose e fiori.
Ricordo quando quel mascalzone di Chico, di proprietà dei miei con suoceri, dopo una corte assidua
riuscì finalmente a metterti incinta. Era un cane troppo più grande di te e quindi i futuri cuccioletti che crescevano nella tua pancina non trovavano spazio e nutrimento a sufficienza.
In questi casi di solito provvede Madre Natura con un provvidenziale aborto. Nel tuo caso invece
la natura fu matrigna; i feti morirono dentro di te e ti causarono una drammatica infezione.
Ricordi, piccola, ci accorgemmo che avevi la febbre alta perché bevevi in continuazione.
Al veterinario non rimase altra alternativa che farti una isterectomia totale e fortunatamente riuscisti
a sopravvivere.
Quando tornai a prenderti che eri ancora per metà sotto l’effetto dell’anestesia, ti trascinasti con fatica verso di me e lessi nei tuoi occhi un muto rimprovero per averti lasciata sola in un momento così doloroso. Cercai di spiegarti che ai proprietari dei cani non è permesso l’accesso in sala operatoria, ma non credo di averti convinta.
Comunque, recuperasti presto la salute; solo che, senza più ovaie e conseguentemente senza estrogeni, andasti in menopausa precoce e, complice un appetito da canina del terzo mondo,
cominciasti ad ingrassare a dismisura.
Alla tua snella silhouette dei primi anni si andò sostituendo un bel pancione e, soprattutto
vista da dietro, apparivi piuttosto buffa con il codino avvoltolato all’insù e quelle quattro esili zampette che sembravano poco adatte a sostenere il nuovo e non trascurabile peso.
Quello che però non è mai mutato è stato il tuo musetto: anche se imbiancato per l’età è rimasto il più bel musetto che io abbia mai visto.
Il tuo aspetto era ormai profondamente diverso, ma l’amore che tutti noi ti abbiamo voluto è rimasto immutato nel tempo.
Credo quindi che, malgrado i gravi malanni che hanno funestato la tua esistenza, tu ti possa
considerare una cagnetta fortunata: hai rischiato all’inizio il canile, ma poi hai trascorso la tua vita
in una bellissima casa con uno splendido giardino dove poter correre e giocare.
Certo, visto il tuo vizio di abbaiare agli estranei, non ti abbiamo mai portato con noi nei nostri
viaggi e nelle nostre vacanze, malgrado i tuoi ripetuti tentativi di infilarti, non vista, nelle valigie
ancora aperte: però non sei mai rimasta a casa da sola, c’è sempre stato uno dei nostri figli a farti compagnia.
Poi ti ammalasti di melanoma e noi tutti pensammo che ti avremmo persa nel giro di sei mesi.
Per pochi cani, credo, si sia pregato così tanto l’Onnipotente come per te.
Ed infatti sei sopravvissuta ed in salute ancora per molti anni, finché l’inesorabile trascorrere del
tempo ha avuto la meglio sulla tua forte fibra.
Con le metastasi non si ragiona e tu ne eri piena, amore mio. Alla fine malgrado tutte le cure, abbiamo dovuto prendere quella decisione che nessuno vorrebbe mai dover affrontare.
Alle sette di sera del sei di giugno 2008, mentre Vincenzo ed io continuavamo ad accarezzarti,
il tuo piccolo cuore si è fermato e la tua anima, perché sicuramente i cani hanno un’anima, si è
ricongiunta all’armonica energia universale che permea tutto il Creato.
Ora tu sei lassù accanto a Sansui ed hai cessato per sempre di soffrire ed io piango per la tua mancanza ma d’altra parte sono contento perché ho mantenuto la promessa che ti avevo fatto,
quella di non farti mai patire inutilmente.
Ti abbiamo riportato a casa ed hai trascorso la tua ultima notte in Villa sdraiata nel lettino che tanto
tempo fa Vincenzo ti aveva costruito. Ti ho coperta con lo scialle della nonna da cui spuntava solo
il tuo nasino: sembrava proprio che tu dormissi.
La mattina seguente poi, Vincenzo ti ha costruito una bella cassetta di legno di pino.
A mezzogiorno la cassetta è stata calata nella buca scavata ai confini di quel giardino su cui tanto hai giocato.
Mamma vi ha posto sopra una rosa ed io, com’è giusto visto che sono stato tuo padre, ho gettato il primo pugno di terra.
Ed ora che tutto sembra finito ed apparentemente rimane solo il dolore per la tua scomparsa,
lascia che ti dica due cose, due cose molto importanti che tu, non essendo capace di leggere, non
puoi sapere.
La prima è che nel libro che ho scritto, dedicato alla nostra famiglia, ho parlato molto di te.
Ora questo libro è stato pubblicato e quindi rimarrà per sempre nelle biblioteche e con esso anche il tuo nome non verrà mai dimenticato.
Ma la seconda considerazione è ancora più importante.
Dice un grande poeta in uno dei suoi versi più belli: “Sol chi non lascia eredità d’affetti poca gioia ha dell’urna;…….”.
E tu, cara Cleo, di questa gioia ne avrai tanta, perché tanto è l’affetto che hai saputo far nascere nei nostri cuori.
Ormai si è fatta sera e quindi devo darti l’estremo saluto.
Te lo porgo come ho fatto sempre in tutti questi anni.
“Buona notte, piccola Cleo, fai tanta nanna”.